Le ragioni per cui il Fine Wine dovrebbe entrare a far parte di un portafoglio d’investimento, e nemmeno troppo ricercato, sono molteplici, e intercettano un trend in atto già da diversi anni. Non fosse altro il vino si colloca tra gli Alternatives, nello specifico tra i Collectibles, dunque al pari di opere d’arte e orologi, pur presentando anche nei loro confronti qualche atout significativo.
Anche la singola bottiglia può essere venduta, si conferma essere un mercato particolarmente liquido, mescendo con rara abilità una dimensione di consumo, a una d’investimento, che gli regala ad esempio diverse carte da giocare anche in un contesto a elevata inflazione. Se è dunque possibile cedere una singola bottiglia, rispetto a un’intera cassa, ciò non è possibile nel caso di arte e orologi, spesso parte di collezioni, e che dunque devono essere ceduti in blocco, complicando e allungando l’intero processo di vendita.
Le note positive, anche in questo ristretto confronto, non sono però finite. Non è soggetto a sviluppo tecnologico, anzi, e non è facile preda di mode o simpatie del momento, come invece avviene soprattutto nel caso di arte e artisti, che in un battito di ciglia possono finire dalle stelle alle stalle.
L’offerta è strutturalmente molto poco elastica, i vini d’investimento provengono infatti da una manciata di regioni molto ristrette del globo, concentrate prevalentemente in Francia, Italia e Stati Uniti, con qualche altra rara eccezione. Al tempo stesso è un bene facilmente deperibile, che acquisisce valore nel corso degli anni, periodo durante cui le bottiglie possono finire con il perdersi, il rompersi, o più semplicemente essere anche bevute, il che riduce ulteriormente l’offerta, spingendo il valore della preziosa e ricercata rimanenza.
La domanda è invece destinata inevitabilmente a crescere, anche grazie all’aumento del benessere in molte regioni del mondo, particolarmente popolose, che vedono negli ‘orpelli europei’ nuovi oggetti del desiderio, siano essi orologi, accessori di moda o anche vino.
Entro il 2025 le masse gestite a livello globale (AuM) raggiungeranno i 145 trilioni di dollari, stando a recenti stime di PwC, di questi circa il 15%, dunque 21 trilioni, sono già oggi investiti nel vasto universo degli alternativi, che pur avendo registrato qualche difficoltà nell’ultimo biennio, a fronte dello stabilizzarsi del quadro inflativo, e il ritracciamento dei tassi d’interesse, dovrebbero tornare a correre presto.
Prendendo in considerazione il vino d’investimento, dunque una piccola nicchia del totale della produzione vitivinicola mondiale, a distinguersi su tutti sono fondamentalmente due dati: rendimento medio annuo del 5,3%, volatilità attesa del 4,5%. Un unicum rispetto a tutte le altre asset class, dalle più innovative (Bitcoin a 5 anni registra una volatilità media del 73%), alle più tradizionali (il solido S&P500 Total Return registra un altrettanto significativo 18%), pur tralasciando anni eccezionalmente negativi, come di recente accaduto nel caso del mercato obbligazionario, la classica ciambella di salvataggio dell’investitore medio europeo. Ulteriore surplus una correlazione negativa con tutte le altre asset class.
Se dunque l’obiettivo è stabilizzare il portafoglio, in una fase particolarmente incerta e rischiosa, come l’attuale, confrontata con grane geopolitiche, bucce di banana economiche, e qualche incidente finanziario sempre dietro l’angolo (vedi i mercati americani e giapponesi di agosto), allora il vino può essere davvero un’alternativa. Nel lungo periodo i vini migliori, catturati ad esempio dall’indice Liv-Ex Investables, uno di diversi, fanno decisamente meglio della concorrenza, pur rimanendo estremamente liquidi. E dunque, considerando l’arco temporale dal 1988 al 2024, il rendimento dell’indice è stato superiore al 2000%, rispetto a un altrettanto ragguardevole 1600% dello S&P500, e di un ben più modesto oro, fermo invece al 500%.
Se dunque il vino può a tutti gli effetti essere o diventare un bene d’investimento, dove custodirlo non è solo una questione di sicurezza. Una condizione necessaria per conservarlo tale. «Sono oltre 15 anni che siamo attivi in questo settore, ci occupiamo dell’intera logistica di opere d’arte, gioielli, e anche del vino. Abbiamo caveau blindati dove conservarlo nelle migliori condizioni, e garantiamo anche un servizio affidabile per consegnarlo e spedirlo, anche laddove si tratti di collezioni importanti. Prendiamo la sicurezza molto sul serio, ma abbiamo comunque capacità per ospitarne sino a 100mila bottiglie, tra la nostra sede di Chiasso e quella di Hong Kong, hub ideale per tutto il mercato cinese», commenta Riccardo Fuochi, Presidente di Swiss Logistic Center di Chiasso.
L’equilibrio di domanda e offerta è sempre un tema spinoso per moltissimi mercati, nel caso del vino si inserisce il terzo incomodo. «La domanda di Fine Wine sta crescendo stabilmente, l’offerta inevitabilmente è stazionaria, dunque i prezzi incrementano. Parimenti sta aumentando la domanda di luoghi adatti alla conservazione, ma le strutture adatte non sono molte. A livello globale non esiste un framework normativo o di certificazione per custodirlo, solo Hong Kong impone una serie di requisiti. La nostra clientela tradizionale sono banche, fondi d’investimento, rivenditori di livello e collezionisti. Sono quest’ultimi il segmento dalla crescita più elevata e che crede fortemente nel vino. Forniamo a tutti i nostri clienti regolarmente, anche su base quotidiana, i grafici con tutti i valori delle condizioni climatiche di conservazione, sia quando il bene è stoccato, sia quando è in movimento, che solitamente avviene per via aerea», conclude Fuochi.
L’arrivo alla spicciolata di investitori dai Paesi emergenti ha scombussolato molti equilibri degli ultimi anni, ma è sicuramente solo l’inizio. A scendere in campo sono infatti due pesi massimi della demografia mondiale, più benestanti di prima, almeno in una loro piccola parte che però, trattandosi di Cina e India, implica comunque l’interessamento e l’avvicinamento a questo mercato di qualche milione di potenziali investitori. Se a questo si sommano i cambiamenti climatici, che qualche minaccia alla produzione sicuramente potrebbero porla, ci sono tutti gli ingredienti necessari per concludere che nei prossimi anni il vino continuerà a correre, ma che soprattutto ne verrà generosamente versato sempre meno.
Indipendentemente da che sia stata una buona o pessima annata, stappata l’ultima bottiglia è dichiarata definitivamente finita, e non c’è alcun mezzo per tornare indietro. Diversamente da qualunque altro bene di consumo e d’investimento, dove qualche aggiunta è pur sempre possibile, e per certi versi anche migliorata rispetto all’originale.
© Riproduzione riservata