La cronaca dà conto di una proliferazione di azioni dimostrative sempre più clamorose degli attivisti per il clima: l’imbrattamento di opere d’arte e di edifici storici, l’occupazione di luoghi simbolici e i blocchi stradali, puntualmente ripresi e diffusi nei social media, sono la nuova frontiera della comunicazione che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi climatica. Queste azioni di protesta suscitano reazioni opposte: chi esprime nei confronti dei giovani manifestanti solidarietà e comprensione; chi irritazione e condanna. Le azioni di disobbedienza civile, anche se pacifiche, spesso configurano dal punto di vista oggettivo dei reati (danneggiamento, violazione di domicilio, perturbamento della circolazione pubblica o del servizio ferroviario ecc.) e c’è chi propone sanzioni penali più severe e chiede che gli attivisti, oltre a pagare multe, risarciscano eventuali danni provocati ad esempio agli automobilisti.
Ma in che misura la spinta ideale che muove queste azioni può costituire una giustificazione nell’ambito della giustizia penale? La Costituzione federale garantisce la libertà d’opinione e d’informazione, nonché la libertà di riunione delle persone che organizzano azioni o manifestazioni sul suolo pubblico. Tali norme sanciscono pertanto il diritto di utilizzare il suolo pubblico per organizzare manifestazioni dal contenuto ideologico. Tuttavia, soltanto le riunioni e le manifestazioni pacifiche sono protette dalla Costituzione, per cui in caso di reati tale garanzia costituzionale non è applicabile. Il giudice può però, in presenza di motivi onorevoli, attenuare la pena senza essere vincolato dalla sanzione minima comminata. Determinare quando questi motivi possono esseri considerati onorevoli è una valutazione giuridica per la quale occorre applicare una scala di valori etici comunemente riconosciuti. Non sono in effetti le convinzioni ‘soggettive’ dell’autore a essere determinanti, bensì unicamente le norme etico-sociali ‘oggettive’ che prevalgono nella nostra società. Inoltre la giurisprudenza si mostra generalmente restrittiva nell’ammettere motivi onorevoli quando il reo è mosso da ragioni di carattere politico.
Le preoccupazioni per le conseguenze dei cambiamenti climatici e sulla necessità di intervenire prontamente per ridurre i gas serra sono indubbiamente riconosciute come molto rispettabili nella nostra società. Pertanto le iniziative politiche degli attivisti del clima, nella misura in cui puntano a sensibilizzare la popolazione, possono considerarsi improntate da intenti idealistici e altruistici. Il carattere onorevole va per contro escluso in caso di azioni che, per la loro violenza, causano danneggiamenti o mettono in pericolo l’integrità fisica di terzi oppure per gli appelli alla disobbedienza civile. In uno Stato di diritto come la Svizzera, che offre ampie garanzie nell’ambito dei diritti politici e della libertà di espressione, azioni di tale natura non possono in effetti essere giustificate da ideali politici, per quanto rispettabili essi possano essere.
A seconda delle circostanze, si può nondimeno ammettere un’attenuazione libera della pena per motivi onorevoli in presenza di azioni non violente, quale un sit-in di protesta di durata molto breve organizzato sulla pubblica via, senza intralciare il traffico o minacciare la sicurezza pubblica. La giurisprudenza ha in passato ammesso una tale attenuante nel caso dei reati di violazione di domicilio dell’attivista di Greenpeace che è entrato senza autorizzazione in un deposito di scorie nucleari per arrampicarsi su una gru e srotolare uno striscione con uno slogan ambientalista o del gruppo di militanti che ha invaso pacificamente la hall di una banca per circa un’ora manifestando contro gli investimenti nelle energie fossili.
Alla conclusione contraria è invece giunto il Tribunale federale in una recente sentenza (6B_620/2022 del 30.03.2023), nella quale alla sbarra era uno dei partecipanti di una “Marcia per il clima” svoltasi nel 2018 a Ginevra. Staccatosi dal corteo insieme ad altre persone, l’attivista ha dipinto sulla facciata di una banca impronte di mani con vernice rossa a simbolizzare il sangue delle vittime del riscaldamento climatico. Nonostante avesse preso le precauzioni necessarie per evitare un danno permanente (l’uso di vernice non indelebile, lavabile con un’idropulitrice) e avesse agito in modo misurato, consapevole e senza sottrarsi alle proprie responsabilità (in particolare fornendo immediatamente le proprie generalità a differenza di altri partecipanti poi non identificati e quindi restati impuniti), il Tribunale federale ha ritenuto insufficiente la pena di 100.- Chf comminata dalla Corte cantonale e le ha imposto di aumentare tale sanzione. Determinante è stato nella fattispecie che il danno arrecato (costi di pulizia) fosse superiore alla soglia di 300.- Chf, importo che la giurisprudenza considera per ritenere il reato di poca entità, e che l’attivista climatico non si fosse proposto alla banca per procedere lui stesso alla pulizia delle pareti imbrattate.
© Riproduzione riservata