Democratizzare la finanza, anche quella più alta e privata, che si contraddistingue ad esempio per strategie d’investimento sofisticate, gestori di fama e il ricorso a strumenti complessi, attingendo non da ultimo a mercati che per loro stessa natura sono privati, è un tema andato imponendosi nel corso degli ultimi anni, tra una crisi finanziaria e l’altra. Nonostante il tanto parlarne è però molto più ardito determinare se sia poi davvero successo. All’alba del 2023 la finanza è divenuta più accessibile di quanto non fosse un decennio fa?
Indipendentemente da che questo sia successo, con ogni probabilità un salomonico ‘dipende’ si confermerebbe essere la migliore delle risposte; le modalità con cui molte opportunità oggi si prestino anche agli investitori più piccoli e retail hanno dato una forte spinta all’innovatività del settore, stimolando la nascita di soluzioni spesso anche molto creative. In diversi casi inaspettate.
«Gli investitori oggi più che mai cercano semplicità, anche nella gestione dei propri risparmi, ma al tempo stesso sicurezza, dunque vogliono avere un portafoglio sufficientemente diversificato, senza doverlo però ribilanciare più volte durante l’anno. In presenza di un quadro normativo in costante evoluzione, e sempre più restrittivo nei confronti degli operatori, ma indirettamente anche dei clienti cui questi possono rivolgersi. Ci siamo quotati essenzialmente per sciogliere questo nodo gordiano: raggiungere tutti i profili di investitori potenzialmente interessati a quanto possiamo offrire, garantendogli però tutte le prerogative e sicurezze dell’essere azionisti di una società svizzera quotata, in primis trasparenza sul nostro operato», esordisce così Thibault Leroy Bürki, fondatore e presidente del board di Haute Capital Partners.
Una soluzione inusuale, ma sicuramente innovativa, che consente effettivamente di raggiungere quel target di mercato che sarebbe stato altrimenti troppo impegnativo, legalmente ed economicamente, raggiungere. Uno spirito, questo, che ha trovato anche altre conferme. «Mi sono appassionato di imprenditoria e investimenti già in tenera età, e sin da adolescente la gestione dei miei pochi risparmi era stata al centro della mia prima avventura. Seguendo dunque un percorso poco ortodosso, sono poi entrato nel Private Equity, e ho iniziato a capire gli equilibri dell’industria finanziaria dall’interno. È molto complesso trovare il partner giusto per le proprie esigenze, specie in questo settore, e l’obiettivo di Haute è stato sin dal principio aiutare privati e istituzionali a farlo. Siamo un team dinamico, alla costante ricerca di innovazione, capace di reagire e adattarsi al mercato molto più rapidamente dei grandi istituti, ed è questa una delle nostre più grandi forze», prosegue il manager, che ha fondato la società nel 2017 a Bienne.
Agilità e snellezza sono del resto due elementi destinati a viaggiare in coppia, con ottimi risultati garantiti nella maggior parte dei casi, e che in alcuni settori sono anche in grado di fare la differenza. Finanza inclusa. «Il nostro è un team di 10 persone, facilmente estendibile ad altre 10, per un totale di circa 20 figure. Si tratta dunque di numeri estremamente contenuti, specie rispetto alle altre realtà del settore. Diversamente da queste, però, noi abbiamo un contatto molto diretto con gli azionisti, siamo sempre raggiungibili, e senza il bisogno di essere rimpallati telefonicamente da un consulente all’altro. Al crescere dell’azionariato, l’organico deve dunque seguire di pari passo, come nel caso delle sedi. La società è nata a Bienne, la mia città natale, un crocevia strategico tra Berna, Losanna, Basilea e Zurigo, ma in quest’ultima abbiamo appena aperto un nuovo ufficio per continuare ad avere un rapporto il più diretto possibile con gli azionisti, cresciuti velocemente soprattutto in quest’area, mossa che dovrà probabilmente essere presto replicata in Svizzera francese», riflette Bürki.
Una società giovane, specie se paragonata a istituti che possono vantare centinaia di anni di storia, ma comunque molto vincolata ai principi fondamentali del settore, e dunque per certi versi molto tradizionalista, almeno in quello che conta davvero. «Il nome stesso nella parola ‘Haute’ vuole dare l’idea di un che di sofisticato e prestigioso, in linea con un tocco di esclusività che pensiamo sia insito nel nostro approccio. Innovazione non significa però predominio della tecnologia in ogni dimensione. Nel cuore della nostra filosofia è insita la dimensione umana, quel rapporto tra persone che crea le premesse affinché germogli la fiducia, e dunque una relazione durevole nel tempo. La tecnologia è una perfetta alleata nell’efficientare i processi, e ottimizzare l’uso delle risorse, ma non può essere sostitutiva delle persone; dipendiamo del resto da cosa chiedono i clienti, dobbiamo adeguarci alle loro richieste, e nella maggior parte dei casi non stanno domandando solo più tecnologia», rileva il fondatore di Haute Capital Partners.
Cliente che vai, esigenze che trovi. Non tutta la clientela è la stessa, anzi, e dunque la formula del successo può essere radicalmente diversa caso per caso, ma spesso un minimo comune denominatore è facilmente individuabile: le persone. «Il 95% dei nostri azionisti rientra nella definizione di investitori privati qualificati, ma dall’avvenuta quotazione abbiamo anche registrato un forte aumento di giovani curiosi ed entusiasti di investire a medio lungo termine, con tutti i vantaggi dell’azionario. Non c’è un importo minimo da investire, è aperto a qualunque tipo di investitore, ed è incredibilmente liquido. Molte persone non sono più soddisfatte delle soluzioni tradizionali del passato, e guardano a soluzioni come la nostra con maggior facilità. Siamo del resto nati quale società di Private Equity, e siamo oggi una d’investimento diretto, dopo aver iniziato nel 2019 a offrire una strategia diversificata al mercato. Volevamo aprire il capitale a nuovi azionisti, gettando le fondamenta della fiducia indispensabile per investire, e quotarsi è stato il modo più naturale per farlo», commenta Bürki.
Una struttura societaria dunque a sua volta altrettanto liquida, in grado di conciliare esigenze diverse, nell’interesse della società stessa, oltre che della clientela azionista. «Cresciamo grazie all’aumento del numero di azionisti, ma anche grazie ai risultati dell’attività d’investimento, particolarmente attiva. L’aumento dell’azionariato garantisce infatti di poter sostenere lo sviluppo dell’azienda, ma anche di espandere il portafoglio d’investimento, inserendo nella strategia sempre nuovi tasselli, coniugando dunque crescente diversificazione con facilità di cambiare rapidamente l’asset allocation in caso di necessità, che si scaricano in una buona performance dell’azione. In qualità di azienda giovane e dinamica ben interpretiamo il sentiment del mercato, ma siamo anche sensibili alle componenti più innovative, come la blockchain, che offrono ottime opportunità d’investimento, affiancandole ad asset class più tradizionali, quotato, Private Equity e immobiliare», evidenzia il fondatore.
Sono del resto le tematiche più giovani a essere spesso anche quelle più promettenti. Almeno sin tanto che l’esplodere di una qualche bolla, o una brusca correzione non smentiscono. «Nonostante abbiano acquisito una certa notorietà, e interessino molto, quali saranno le sorti dei crypto-asset è ancora presto per dirlo, anche in relazione all’emergere di un’alternativa governativa a quelli attualmente quasi solo privati. Ben più rosee le prospettive invece per la tecnologia sottostante, la blockchain, che nei prossimi anni farà molto bene. Un tema però altrettanto importante sono sicuramente l’impiego e le applicazioni dell’intelligenza artificiale, ad esempio in finanza. Gli investitori agiscono e prendono decisioni sulla base di dati e metriche, ma è bene non dimenticare che i mercati non siano espressione della sola razionalità, ma anche di una certa emotività tipica delle persone, e l’Ia può dare certo il suo contributo. La chiave del successo è però nel saper attingere il giusto dall’uno, l’uomo, e dall’altro, la tecnologia. Un equilibrio delicato e molto variabile di settore in settore, ma dai risultati potenzialmente straordinari», rileva il fondatore.
La domanda di una cosa che funziona è destinata, nel corso del tempo, ad aumentare. Una semplice legge di mercato che molto difficilmente può essere smentita, e anche in questo caso sembra volersi dimostrare quantomeno valida. «Siamo pronti ad aumentare ulteriormente il capitale, è una naturale conseguenza del successo dell’Ipo. Vogliamo raddoppiare il volume d’investimenti, e dar seguito a un cantiere di nuovi progetti, anche in ambito immobiliare, tutti allo studio ormai da tempo. Abbiamo un team interno che è attualmente chino sullo sviluppo di algoritmi che consentano di automatizzare almeno una parte delle nostre strategie d’investimento, il che ci permetterà di preoccuparci di svilupparne di nuove, dedicandovi più tempo e risorse, di reagire più rapidamente ai segnali avversi del mercato, ma soprattutto di cercare nuove opportunità. Siamo passati in pochissimo tempo da essere una società decisamente ‘privata’, a una quotata, è giunto dunque il momento di concentrarsi maggiormente su marketing e comunicazione, sostenendo il percorso di crescita che siamo sicuri, grazie all’esperienza e all’expertise maturati, ci consentirà di continuare a generare valore aggiunto per un numero crescente di azionisti nei prossimi anni», conclude Thibault Leroy Bürki.
Alla base di quello che è un successo l’idea, forse rivoluzionaria, di garantire l’accesso ai mercati privati percorrendo una strada certo insolita, ma molto meno rischiosa di quanto molti altri si propongono, ben più ortodossamente, di fare, a quelli che sono a tutti gli effetti non più semplici clienti, ma azionisti.
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