La struttura del mercato finanziario americano è radicalmente cambiata dal 2008, ma molti non l’hanno considerato. Wall Street è oggi più un’attrazione turistica che un mercato azionario; i volumi trattati sono solo il 30% dei volumi giornalieri, la maggior parte transita ora su mercati Otc.
Il ‘tempio della finanza’ ha oggi un ruolo simbolico, non è più il mercato di riferimento della finanza mondiale. Per uno che ha iniziato il proprio percorso professionale nel 1984, dunque passando dalle ‘grida’ sul floor agli scambi elettronici, molto è cambiato. L’efficienza del mercato era sempre stata collegata a tre principi: concentrazione degli scambi, liquidità e trasparenza dei prezzi.
Oggi il 70% dei volumi giornalieri transita su piattaforme elettroniche possedute dalle grandi banche internazionali, le quali incrociano gli ordini di vendita e acquisto dei loro clienti istituzionali e lasciano a Wall Street quello che avanza, il risultato di forti pressioni lobbistiche.
Paga sempre pantalone?
Esistono oggi oltre 10 mercati elettronici, sono aumentate le commissioni, a detrimento della liquidità, dato che nel frattempo è sparito il ruolo di market maker. Nuovi intermediari sono entrati nel mercato, e oggi il 70% dei volumi sono fatti da società di High Frequency Trading e algoritmi. Il loro ruolo è quello di fornire liquidità ma in realtà i meccanismi operativi sono finalizzati a massimizzare gli utili derivanti dallo spread tra bid e ask.
Tali operatori hanno accesso all’intero book di ordini che transitano sulle piattaforme. Sono quindi in grado di modificare in anticipo i livelli di bid e ask a seconda dei flussi attesi e di ampliare lo spread dei prezzi. Se vedono entrare un importante ordine di vendita possono spostare al ribasso il bid prima dell’esecuzione, viceversa nel caso di un acquisto, l’offer si alza ancora prima che venga eseguito.
Oggi il 70% dei volumi giornalieri transita su piattaforme elettroniche possedute dalle grandi banche internazionali, le quali incrociano gli ordini di vendita e acquisto dei loro clienti istituzionali e lasciano a Wall Street quello che avanza, il risultato di forti pressioni lobbistiche
Questo ha procurato in particolare notevoli danni agli Hedge Fund e ai Mutual Fund, che spesso operavano con grandi volumi in un unico ordine. Questo fa scendere e salire i prezzi ancora prima che gli ordini vengano eseguiti. I prezzi che si vedono sul mercato sono quindi spesso limitati a importi molto modesti e si spostano in modo rapido. Il risultato è illiquidità, scarsa trasparenza dei prezzi, peggioramento della best execution e facile manipolazione dei prezzi.
Un altro problema è lo strutturale shift verso la Gestione passiva e l’esplosione degli Etf. Più si acquistano Etf più si concentra il mercato, dato che la parte rilevante del capitale raccolto viene allocato sulle società a maggiore capitalizzazione. Si provoca così la distorsione del capitalismo, da un sistema in cui il capitale si distribuisce in modo differenziato a un sistema in cui il capitale si distribuisce in modo concentrato, il che dà luogo a oligopoli o monopoli, e viene meno anche la diversificazione di portafoglio.
Gli istituzionali hanno cercato di sfuggirvi dirottando ingenti risorse sui Private Market (9 trilioni di dollari), ma la fuga ha creato una bolla speculativa anche in questo segmento illiquido. Ma a venir meno è quindi stata anche la liquidità.
Il risultato accentua l’emergere di nuove crisi finanziarie. Dal 2008 decine di trilioni di dollari dei contribuenti hanno tenuto insieme un sistema che produce ricchezza per pochi, e perdite per molti. Nel 2021 le banche americane hanno fatto lobby su Congresso e Fed per minimizzare l’impatto sui ratio patrimoniali degli investimenti in titoli di stato, il conto per il contribuente è arrivato ora. L’eccesso di deregulation avviene a costi marginali crescenti… prevalentemente a carico di chi non ne ha alcun beneficio.
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