Se la prima circumnavigazione del globo richiese alla spedizione di Magellano – o perlomeno non a lui, deceduto durante il viaggio, ma ai 18 superstiti che giunsero in porto il 6 settembre 1522 – 2 anni, 11 mesi e 17 giorni, ci sarebbero voluti altri tre secoli prima che, dal 1869, l’apertura del Canale di Suez, insieme all’inaugurazione della prima linea piroscafi tra San Francisco e Yokohama, oltre alla prima Ferrovia transcontinentale che univa Atlantico e Pacifico attraversando il Nord America, consentissero di effettuare il giro del mondo su regolari linee di trasporto, senza dover far parte di una spedizione scientifica o militare. Era l’alba di un nuovo modello di turismo, di piacere, che avrebbe cambiato la concezione stessa del mondo: si passava dalla conoscenza teorica, acquisita su mappe, atlanti, saggi e romanzi, all’esperienza diretta. La prima guerra mondiale avrebbe segnato un nuovo spartiacque, vedendo dopo la paralisi bellica un nuovo salto con l’apertura del Canale di Panama, e poi l’aviazione a svincolare dalle rotte terrestri.
A volte la fiction precede la realtà e simbolicamente la moda dei giri del mondo è stata lanciata da un romanzo, tra i maggiori successi del visionario Verne, quel Giro del mondo in ottanta giorni che è diventato immediatamente un vero e proprio bestseller e, tradotto in una quindicina di lingue – si era nel 1872 – del mondo fece il giro anche lui, fonte di ispirazione dichiarata di tutti coloro che sarebbero diventati i globetrotter dell’epoca. Molto prolifici a loro volta: sono 260 i récits de voyages scritti tra il 1872, data del primo giro del mondo all included organizzato da Thomas Cook, e il 1914.
A questi primi intrepidi e benestanti viaggiatori – non erano certo in molti coloro che potevano all’epoca permettersi di acquistare il biglietto e dedicare il tempo necessario, di fatto aristicratici o altoborghesi – è dedicato un progetto di ricerca finanziato dal Fondo nazionale svizzero, Faire le monde. Primi giramondo e tour turistici del mondo (1869-1914), coordinato dal professore di geografia Jean-François Staszak dell’Univesrità di Ginevra. Un programma transdisciplinare della durata di quattro anni, fino al 2027, che riunisce ricercatori provenienti da Svizzera (inclusa l’Usi), Europa, Stati Uniti e Giappone per esplorare la storia dei primi viaggi turistici intorno al mondo e capire come abbiano trasformato l’immaginario geografico.
Ginevrino fu uno dei primi globetrotter, Alfred Bertrand (1856-1924), giovane ereditiere, tra i venti turisti partecipanti a uno dei primi “viaggi di istruzione attorno al mondo”, a bordo del veliero Junon che salpò da Marsiglia nel 1877. Dopo che Cook aveva aperto le danze nel 1872, già nel 1876 erano ormai diversi i Paesi che offrivano questi pacchetti ‘tutto compreso’, come l’agenzia Stangen in Germania, la Ocean Steam Yachting Company in Inghilterra, James O. Woodruff negli Stati Uniti e, appunto, la Société des voyages d’études autour du monde in Francia, che all’exploit del giro del globo aggiungeva la componente culturale-formativa, ereditata dal Grand Tour: 15mila franchi in cabina tripla, 25mila in doppia (quando il salario di un operaio a Parigi era di 5,18 franchi alla giornata), comprese conferenze, escursioni e biblioteca di bordo, rifornita di saggistica e quotidiani. Oltre al ginevrino Bertrand, vi prese parte anche un altro svizzero, il ticinese Emilio Balli (1855-1934), di origini valmaggesi. Mentre Alfred avrebbe continuato per tutta la vita a viaggiare, Emilio invece si ritirò poi nella sua Locarno, mettendo a disposizione della comunità le sue conoscenze di appassionato naturalista e ricercatore. A differenza del libro di Verne, la sua di avventura ne durò 472 di giorni: da Panama, dove il dissidio finanziario interruppe la crociera, proseguì in autonomia con quattro compagni di viaggio, fra cui proprio Bertrand, visitando Stati Uniti, Giappone, Cina, Batavia, Penang, Malacca, India, Yemen ed Egitto, prima di riattraccare a Marsiglia.
Di quel suo viaggio Emilio Balli conservò quasi tutto, spedendo a casa una ventina di casse di cimeli – collezioni di conchiglie, erbe e fiori, animali impagliati, monete e oggetti vari frammisti a souvenir acquistati nei ‘curious shop’, oltre a una ricca documentazione con fotografie, guide, carte, menu, manifesti, biglietti – tenendo un meticoloso diario di viaggio e scrivendo centinaia di lettere ai suoi fratelli che hanno tenuto le copie e tutte le memorabilia. A distanza di 140 anni, sono stati i suoi stessi eredi, avendo scoperto l’interesse del Prof. Staszak e del suo team per l’argomento, a segnalargli questo immenso archivio privato non ancora sfruttato, eccezionalmente ricco e completo che è infatti stato subito posto tra i pilastri dell’attuale progetto di ricerca.
Un ‘bottino’ che in questi mesi – fino al 31 ottobre e, dopo la pausa invernale, nuovamente fra aprile e ottobre 2024 – proprio grazie alla preziosa collaborazione della Facoltà di geografia e ambiente dell’Università di Ginevra è anche accessibile al pubblico, al centro della mostra Il Giro del Mondo di Emilio Balli, allestita presso il Museo di Valmaggia a Cevio dalla curatrice Larissa Foletta, insieme a Jean-François Staszak e al suo collega Raphaël Pieroni. Una vera e propria chicca e una piacevole destinazione anche per un’escursione autunnale.
«Non ho potuto incontrare mio bisnonno Emilio, scomparso nel 1934, mentre io sono nato nel 1965, ma l’ho conosciuto attraverso le sue lettere, i suoi diari, la sua biblioteca, la sua passione per l’archeologia, la storia, le scienze naturali, la numismatica e anche attraverso i numerosi oggetti riportati dal viaggio intorno al mondo, che sin dall’infanzia, mentre leggevo Salgari e Verne, hanno nutrito il mio immaginario», racconta il pronipote Alessandro Botteri Balli. «All’epoca», prosegue, «non capivo perché non potessi giocare con i netsuke, gli inro o le katana che tanto mi affascinavano. La biblioteca, dove erano conservate collezioni e documenti, e la sua Wunderkammer erano zone ‘sacre’, vietate a noi bambini». Una fascinazione ha portato Alessandro a farsi promotore della collezione, in particolare insieme alla moglie Antonella Morlacchi.
«Nel tempo ho così scoperto indirettamente i tanti volti di Emilio: il naturalista appassionato fin dall’infanzia di malacologia con la sua collezione di 3000 conchiglie e coralli; l’esperto di numismatica; il fondatore, e poi direttore dal 1900, del Museo Civico di Locarno; il viticoltore con il suo Selva bianco, prodotto a Locarno… forse l’aspetto del bisnonno che ha sempre maggiormente attirato la mia attenzione è la sua passione per l’archeologia, da cui è nata una collezione di 1200 fra manufatti in vetro, bronzo e terracotta, oggetto di interesse non solo nel Ticino ma anche nel resto del mondo, i cui reperti principali derivano da scavi nel Locarnese da lui stesso diretti e finanziati tra il 1880 e 1881, a Tenero e durante la costruzione del Grand Hotel a Locarno. Fu lui a esigere che rimanessero nel Cantone», sottolinea il pronipote.
L’allestimento della mostra, curato nei minimi dettagli, prende le mosse dalla storia familiare dei Balli, costellata di esperienze migratorie e cariche politiche di rilievo, e illustra il delinearsi delle passioni di Emilio. Dopo una sala introduttiva che ha il compito di contestualizzare la nascita dei giri del mondo, si prosegue ripercorrendo alcune delle tappe più significative del viaggio attraverso gli oggetti che ne ha riportato: la traversata dell’America con la sua modernità, ma anche le riserve di indigeni e le colonie dei Mormoni; le meraviglie del Giappone con la sua arte che seduce l’Occidente; infine la Cina, meno accessibile culturalmente e fisicamente, ma dall’estremo fascino con la sua storia millenaria. Il tutto senza dimenticare il mezzo di trasporto, il veliero Junon. Presente, fra l’ampia documentazione, anche una selezione di preziose fotografie tratte dai 14 album composti da Emilio al ritorno dal viaggio.
Un progetto che avrà un ulteriore sviluppo: fra un paio di anni Emilio Balli ‘viaggerà’ alla volta del Castello di Prangins, dove il Museo nazionale svizzero ha in calendario dal marzo 2025 un’esposizione che sarà basata proprio sulle ricerche che sta conducendo l’Università di Ginevra, in particolare quelle sulle tracce delle esperienze dei nove primi globetrotter elvetici – incluse due donne – che hanno compiuto il loro tour in quel periodo, documentati da fonti in gran parte inedite come nel caso di Emilio Balli. L’analisi di questi materiali, parte di una microstoria globale, consentirà da un lato di interrogarsi sulla specificità dei giramondo svizzeri e dall’altra di meglio comprendere come sia evoluta, rispetto alla centralità di cui godeva nell’epoca del Grand Tour, la posizione all’interno di questi itinerari intercontinentali della Confederazione, che dell’industria turistica, quasi superfluo ricordarlo, è stata la culla con le sue montagne e l’intraprendenza dei suoi albergatori.
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