All’avvicinarsi dell’età del pensionamento ci si trova sempre di più a confrontarsi con amici e conoscenti sulle decisioni previdenziali. In particolare parlando del II pilastro, la discussione finisce spesso sulla scelta tra rendita o capitale. È capitato ancora una volta a cena, di recente, con un amico: Marco per semplicità. È un professionista, coniugato con figli ancora a carico. Mancano alcuni anni al pensionamento ma lo sta giustamente pianificando. Già all’antipasto, la conversazione prende una piega assai personale.
Negli anni ha avuto la possibilità di fare parecchi riscatti, con versamenti volontari nella Cassa pensione. Vista la professione, capisco che il capitale previdenziale accumulato è assai cospicuo e che le domande sono importanti anche se, giustamente, si è già informato sull’argomento.
Tra l’antipasto e il primo si arriva ai riscatti futuri. Marco vorrebbe farne ancora, ma è cosciente che negli ultimi due anni prima del pensionamento non sono più fiscalmente deducibili. Per di più vorrebbe ridurre la sua percentuale di attività, iniziando una fase di prepensionamento scaglionato. Mi chiede cosa ne penso.
La materia è abbastanza complessa. Il regolamento dei fondi pensione specifica di quanto può essere ridotto il carico di lavoro per ogni scatto. Nella maggior parte dei casi, le riduzioni devono essere almeno del 20-33%, con un massimo di tre fasi di riduzione consentite. Contemporaneamente alla riduzione del carico di lavoro, è possibile ritirare una parte dell’avere previdenziale o rimandare il ritiro all’età di pensionamento effettiva.
Marco preferisce la prima opzione: vuole passare dal 100 al 70% all’età di 63 anni e allo stesso tempo ritirare il 30% del suo capitale. All’età di 65 anni un’ulteriore riduzione del 20% e al prelievo di un altro 20%, per infine azzerare tutto ai 67.
Finendo il risotto, ribadisco che i contributi alla Cassa continuano a essere versati finché si lavora e questo è positivo perché aumenta il capitale. Tuttavia puntualizzo: i contributi sono più bassi a fronte di una riduzione del carico di lavoro, inoltre negli ultimi anni viene versata una percentuale più alta del salario, per cui la sua diminuzione è ancora più penalizzante in un ottica di accumulo.
Insieme all’arrosto, arriva la domanda chiave: Se prendo il capitale come lo gestisco? Ha evidentemente già vagliato le altre questioni; considerato che la maggior parte del capitale è in regime sovra-obbligatorio non gli conviene la rendita, considerate anche le aliquote di conversione della Cassa, e nemmeno una soluzione mista capitale/rendita. Ha anche verificato che il suo tenore di vita può essere mantenuto, grazie a un utilizzo graduale del capitale, ipotizzando una speranza di vita compresa tra gli 85 e i 90 anni.
Ecco arrivare il dessert, e l’ultima domanda con il caffé: Pensi che sarei in grado di gestire da solo il capitale, con le indicazioni che mi hai dato? Una risposta interlocutoria, occorrono infatti una serie di condizioni che non sempre sono presenti contemporaneamente: interesse per gli investimenti, equilibrio rispetto alla Gestione del capitale previdenziale ma soprattutto molta disciplina nel rispetto della politica d’investimento, in special modo durante le fasi negative di mercato.
La risposta prende spunto dai ragionamenti che spesso mi trovo a fare, posto che al momento è l’ipotesi più probabile anche al momento del mio pensionamento. Nel mio caso stimo che l’utilizzo di capitale sia decrescente, ossia nei primi anni si tende a spendere di più rispetto agli ultimi, perché la capacità di spesa (viaggi, acquisti, attività varie) tende a decrescere nel tempo. Definiti i prelievi annui, si tratta di impostare la Gestione patrimoniale vera e propria, che deve partire da una politica d’investimento scritta. Questo elemento è importante perché si può ritenere di essere in grado di ‘gestire’ il capitale, ma vanno considerati gli imprevisti: qualora decadessero le facoltà cognitive chi prenderà le decisioni d’investimento? Se ne avrà ancora voglia? Per questo la delega o la sua possibilità è importante, con chiare indicazioni gestionali.
La politica d’investimento deve definire la percentuale nel tempo di rischio azionario e obbligazionario, con la possibilità di utilizzare eventualmente veicoli di Gestione più sofisticati e meno correlati alle due asset class. In ogni caso il rischio complessivo del portafoglio deve decrescere nel tempo, si riduce ovviamente l’orizzonte temporale e potenzialmente, a causa dei prelievi, il capitale stesso.
Il rischio di cambio deve essere attentamente considerato e minimizzato, perché il franco tende a rafforzarsi costantemente, sarebbe peccato perdere a causa dell’esposizione eccessiva a euro o a dollaro. Infine i costi devono essere attentamente considerati, sia valutando ogni singola voce, sia riducendo al minimo necessario la movimentazione di portafoglio.
Ecco arrivare il dessert, e l’ultima domanda con il caffé: Pensi che sarei in grado di gestire da solo il capitale, con le indicazioni che mi hai dato? Una risposta interlocutoria, occorrono infatti una serie di condizioni che non sempre sono presenti contemporaneamente: avere interesse per gli investimenti, mantenere equilibrio rispetto alla Gestione del capitale previdenziale ma soprattutto molta disciplina nel rispetto della politica d’investimento, in special modo durante le fasi negative di mercato. Marco è pensieroso, riflette su queste ultime considerazioni. La serata è giunta a conclusione. Ci congediamo. “Bella chiacchierata, grazie Fabrizio”..
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