TM   Luglio/Agosto 2023

Ennesimo referendum

Nel 2024 ci sarà un ritorno alle urne in ambito previdenziale, nonostante le possibili alternative scarseggino. Come migliorare la sostenibilità del sistema è sempre meno evidente.

di Ignazio Bonoli

Economista

La riuscita del referendum contro la riforma della Legge sulla previdenza professionale riapre un più ampio discorso, molto complesso, sulla riforma della previdenza. Come noto il sistema svizzero si basa su tre pilastri: l’Assicurazione vecchiaia e superstiti (Avs) che è l’assicurazione basata sul sistema a ripartizione (anche se non completamente), la previdenza professionale (Lpp) che si basa, invece, sulla capitalizzazione, nel senso che ogni assicurato costituisce un proprio capitale di vecchiaia; infine, a complemento dei primi due, il risparmio privato, fiscalmente favorito.

Il referendum, su cui il popolo sarà chiamato a votare il prossimo anno, è stato lanciato contro una riforma del secondo pilastro che, tanto il Governo quanto il Parlamento, hanno tentato in tutti i modi di evitare, creando un complicato sistema di compensazioni per le classi d’età più colpite. Dalla sinistra è però partito un malcontento, sfociato nel referendum e, quindi, nel voto popolare che rischia di mandare a monte gli sforzi. Alla politica si rimprovera soprattutto la diminuzione del tasso di conversione del capitale di vecchiaia in rendita, che passerebbe dall’attuale 6,8 al 6%. La riduzione è motivata dal fatto che i rendimenti degli investimenti non sono spesso più sufficientemente elevati, e che il periodo di versamento delle rendite si sia notevolmente allungato. A questa importante modifica seguirebbe un aumento del 3% dei contributi da versare.
I risultati finanziari 2022 delle Casse pensioni confermano le crescenti difficoltà dei rendimenti. Globalmente il capitale è diminuito dell’8,8%. Si è, in sostanza, trattato dell’anno peggiore dal 2008.

I motivi principali di questa evoluzione vengono visti in un aumento del tasso di inflazione, nell’aumento dei tassi d’interesse e nella difficile situazione politica. Non va, però, dimenticato che, dopo la Crisi del 2008 (anno in cui la copertura media era scesa al 96,7%), le Casse hanno potuto realizzare buoni rendimenti, costituendo così un solido capitale di base. Allora si temeva, invece, un persistere della sottocopertura, che avrebbe creato grossi problemi. La situazione è, però, migliorata nei primi tre mesi del 2023. Secondo Ubs, il rendimento dei capitali investiti sarebbe migliorato al 3,51% e, secondo Credit Suisse, al 3,86%.
Sulla base della legge, le Casse godono di ampi margini di manovra, con dunque anche rendimenti molto diversi. Secondo Swisscanto, mentre la peggiore perde il 16,2%, la migliore ha potuto contenere la perdita all’1%. Differenze significative anche per il passato, nel confronto tra le migliori e le peggiori. Nel 2022 le migliori hanno subìto una perdita del 3,8%, mentre le peggiori del 12,7%.

I risultati finanziari 2022 delle Casse pensioni confermano le crescenti difficoltà dei rendimenti. Globalmente il capitale è diminuito dell’8,8%. Si è, in sostanza, trattato dell’anno peggiore dal 2008. I motivi principali di questa evoluzione vengono visti in un aumento del tasso di inflazione, nell’aumento dei tassi d’interesse e nella difficile situazione politica.

Ovviamente una cattiva prestazione nel settore degli investimenti si ripercuote sul grado di copertura degli impegni di ogni singola cassa. Lo scorso anno, il grado di copertura è sceso in media del 12%, attestandosi attorno al 110%. Per il primo decile è stato in media del 116,5, mentre per l’ultimo del 102,9%.

La banca ginevrina Pictet calcola i rendimenti delle Casse sulla base di un capitale che si componga di una percentuale di azioni. Se questa quota fosse del 25%, il miglioramento sarebbe del 3,3%. Se fosse invece del 40% di azioni, sarebbe del 3,8%. Grazie a queste performance, anche il grado di copertura sarebbe già salito al 112,5% in media alla fine di marzo. Nel 2022, si constata che le Casse con una prevalenza di investimenti nell’obbligazionario abbiano subito le perdite maggiori. Meglio sono andate quelle molto esposte a immobiliare e alternativi.

Una recente inchiesta svolta dalla Sotomo per Zurich ha, ancora una volta, rilevato che la popolazione svizzera non dà troppa importanza al proprio capitale assicurato. Le maggiori attenzioni sono rivolte al costo della vita, piuttosto che alla silenziosa svalutazione dei risparmi e alla perdita di potere d’acquisto del capitale di vecchiaia. Una leggera maggioranza ritiene inoltre corretto che le giovani generazioni finanzino le rendite dei pensionati. E questo benché il principio della previdenza professionale voglia che ognuno provveda a finanziare le proprie rendite di vecchiaia.

Lo scetticismo riguardo al principio della distribuzione (come per l’Avs), anche per il secondo pilastro, sta calando. Segno anche, secondo l’inchiesta, che una buona parte della popolazione senta una responsabilità sociale, garantita dallo Stato, piuttosto che una responsabilità individuale nel campo della previdenza professionale. Quando, però, si presenta una diminuzione dei rendimenti del capitale di vecchiaia, gli animi si riscaldano e torna in auge il principio della copertura del proprio capitale, che non deve essere usato per altri scopi. Ci si rende conto che il previsto 60% dell’ultimo stipendio non basta più per offrire una pensione serena e dignitosa. Si dovrà perciò tornare a contare sui propri risparmi anche nel secondo pilastro, eventualmente completato dai risparmi privati del terzo.

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