TM   Ottobre 2024

Soffiano venti di censura

Il Consiglio federale adotta un rapporto che, per contrastare la cosiddetta ‘disinformazione’, prevede misure che metterebbero a tacere tutte le idee ritenute non politicamente corrette. Un’analisi di Stelio Pesciallo, avvocato e notaio presso lo Studio 1896, Lugano.

Stelio Pesciallo

di Stelio Pesciallo

Avvocato e notaio presso lo Studio 1896, Lugano

Nell’edizione dello scorso numero di marzo avevo commentato il Digital Services Act emanato dalla Commissione Europea il mese precedente con il quale viene imposto alle società di messaggistica online come Facebook, TikTok o X l’obbligo di escludere dalla rete la pubblicazione di messaggi o notizie ritenuti ‘illeciti’ o ‘contrari ai valori europei’ o ‘dannosi’, pena la comminatoria di penalità pari al 6% del loro fatturato. Nel contempo mettevo in rilievo il pericolo che simili misure costituivano per l’esercizio della libertà di espressione.

Ora questa tendenza degli Stati e delle organizzazioni internazionali che li rappresentano sembra prender piede anche in Svizzera con la pubblicazione, nel mese di giugno, di un rapporto del Consiglio federale intitolato Attività di influenza e disinformazione, cui è seguito ad agosto un rapporto commissionato dal Dipartimento della difesa con cento “raccomandazioni” in materia di sicurezza, su temi centrali come la neutralità (che si vuole indebolita), la cooperazione con alleanze esterne (leggasi Nato) e l’apertura nella politica degli armamenti (leggasi esportazione anche verso paesi in guerra, vietata dalla vigente legislazione).

In ambedue i rapporti, ma in modo più puntuale nel primo, vengono espressi argomenti che, con il pretesto di supposte influenze esterne e della disinformazione, sottolineano la necessità di intervenire di imperio, limitando la libera espressione e la libera fruizione di tutti i canali di informazione.

Se riprendiamo qui questa tematica è perché, molto sorprendentemente, gli organi di informazione pubblici e di più ampia diffusione hanno stranamente sottaciuto il citato rapporto del nostro governo che, se attuato nei suoi intendimenti, porterebbe a mettere il bavaglio a idee ritenute non ‘politically correct’.

Il punto di questo rapporto è che determinate attività di influenza sarebbero volte a sabotare i processi politici, così come sarebbero atte a minare la fiducia della popolazione nelle istituzioni.

In particolare, il Consiglio federale ritiene che, a seguito della crescente insicurezza che si sarebbe instaurata in Europa e con le tensioni che si manifestano a livello globale, si sarebbe rinforzata la minaccia delle attività di influenza quali, appunto, la ‘disinformazione’. Queste attività sarebbero divenute più importanti con l’impiego dei mezzi tecnologici messi a disposizione della popolazione, segnatamente con l’impiego dei social, a dimostrazione che questa forma di democratizzazione dell’informazione costituirebbe una spina nel fianco di chi ci governa. L’impiego di questi mezzi porterebbe a un indebolimento della Svizzera a seguito di una modificata fruizione dei media, segnatamente a un’indebolita fiducia nei media tradizionali.

Chi si aspetta, a fronte di questa denuncia della ‘disinformazione’, che il nostro governo faccia autocritica per la tendenza alla ‘disinformazione’ proveniente da fonti della politica federale o della pubblica amministrazione rimarrà deluso.

In effetti per il nostro governo l’unica fonte di ‘disinformazione’ è esterna e proviene da ben identificabili forme statuali e sistemi politici. Secondo i guru della nostra politica di sicurezza, che stanno dietro a questo rapporto e che pedissequamente riprendono i mantra espressi dalle mosche cocchiere dell’Occidente, rilevanti a livello della nostra sicurezza sarebbero attori di Stati esercitanti attività di influenza che propaganderebbero in maniera attiva altri ‘valori’, norme o sistemi politici e che tenderebbero ad affossare le nostre istituzioni democratiche. L’identificazione di questi ‘pericoli’ diventa chiara quando in un altro passo del rapporto viene detto che “con l’aggressione russa dell’Ucraina la guerra è ritornata in Europa e l’ordine di sicurezza europeo risulta scosso” aggiungendo che “il settore dell’informazione gioca un ruolo determinante in conflitti come la guerra in Ucraina o in quella tra Israele e Hamas”, laddove non si è più precisi se in questo caso la ‘disinformazione’ provenga da Israele o da Hamas.

Più esplicito ancora è il rapporto quando dice che “le attività russe, ma anche quelle cinesi, costituiscono a medio/lungo termine i maggiori elementi di instabilità per la sicurezza della Svizzera” e, ulteriormente, quando sottolinea che “i canali di informazione russi tramite soprattutto i mezzi online offrono a un pubblico globale un’interpretazione alternativa, disinformazione e una falsificazione della realtà in Ucraina”.

E così argomentando, ritendendo evidentemente i cittadini svizzeri privi di maturità e incapaci di farsi un’opinione, il nostro governo celebra la lotta alla disinformazione lanciata dalle alleanze politiche e militari occidentali e perora l’adozione di misure di censura puntuali analoghe a quelle adottate nell’Unione europea con il divieto di determinate fonti di informazione e con l’instaurazione del Digital Services Act.

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