Malgrado nel 2023 il mercato dell’arte abbia registrato una contrazione del 4% rispetto all’exploit dei due anni precedenti, si è comunque posizionato al di sopra del 2019, con 65 miliardi di dollari di vendite, e quest’anno dovrebbe poter approfittare di tassi d’interesse e inflazione in calo, insieme alla solidità dei mercati finanziari, tensioni geopolitiche permettendo. Punto di riferimento centrale del sistema, le fiere d’arte sono tornate a girare pressoché a pieno regime, Asia compresa. Se le più piccole o locali – ma anche qualche nome illustre come Masterpiece London, Fotofever a Parigi e Bruneaf a Bruxelles – hanno fatto le spese della pausa forzata e, soprattutto, di un’offerta che era cresciuta a dismisura, il calendario ha ripreso vigore con 359 eventi. Se i costi per la partecipazione obbligano le gallerie meno attrezzate a rinunce, spesso con reindirizzamenti verso il democratico online, per chi invece ha importanti giri d’affari i più prestigiosi fra questi appuntamenti rimangono irrinunciabili e profittevoli, non solo per le vendite concluse in loco, ma per curare il rapporto con i propri collezionisti e avviare nuove relazioni.
Nonostante un rallentamento del 4% su base annua, il mercato globale dell’arte ha dimostrato la sua resilienza nel 2023, con vendite per una cifra stimata di 65 miliardi di dollari, come rileva l’ottavo The Art Basel and UBS Global Art Market Report 2024, scritto da Clare McAndrew, Arts Economics, analizzando l’andamento dei diversi segmenti, dalle gallerie alle case d’asta, dalle fiere ai collezionisti. Se la fascia alta di mercato (fatturato annuo sopra i 10 milioni di dollari), dopo due anni di crescita, ha registrato una contrazione delle vendite, per contro quelle dei piccoli operatori (fatturato inferiore a 500mila dollari) hanno segnato un +11%, determinando un aumento del 4% del volume di transazioni (39,4 milioni).
Gli Stati Uniti hanno mantenuto la leadership, mentre la Cina ha superato il Regno Unito. Insieme questo terzetto rappresenta il 77% del mercato globale, seguito da Francia e Svizzera. Nonostante il calo annuale, i grandi collezionisti sono rimasti molto attivi e hanno contribuito a sostenere i prezzi, ma in un’ottica più orientata al valore e alla qualità. La maggiore partecipazione di acquirenti globali nuovi e spesso più giovani, insieme ai guadagni nel settore online, rivela alcune prospettive molto promettenti per il futuro del mercato.
Le vendite alle 359 fiere d’arte hanno rappresentato il 29% del fatturato totale dei dealer, in calo del 6% rispetto al forte ritorno registrato nel 2022, ma sopra il 2021 (27%). Malgrado i costi di viaggio e di partecipazione destino preoccupazioni, le fiere – soprattutto quelle internazionali – rimangono fondamentali per il posizionamento, in particolare per coloro che hanno un fatturato superiore ai 10 milioni Usd, che sono risultati anche i più ottimisti per il 2024: la metà infatti prevedeva un aumento delle vendite alle fiere.
Con le sue quattro fiere su tre continenti – la storica in casa, le ormai affermate Hong Kong e Miami, cui si è aggiunta Parigi – Art Basel si conferma regina dell’arte contemporanea, ben intenzionata a non limitarsi a difendere la leadership di mercato, ma anche a rafforzare anche il proprio ruolo di epicentro del dibattito culturale. Anche i profili selezionati nel recente rinnovamento dei vertici delle sue piattaforme, peraltro con ben tre donne sui direttori delle quattro fiere, confermano.
Dopo aver festeggiato en plein essor l’undicesima edizione asiatica, ci si prepara a inaugurare l’appuntamento chiave dell’anno: 285 tra le più importanti gallerie del mondo, fra cui 22 nuovi partecipanti, sono attese dall’11 al 16 giugno (con i Public Days a partire da giovedì 13 giugno) nella capitale renana per un evento che sempre più dimostra la volontà di sfondare il perimetro del quartiere fieristico. Se le due edizioni a Parigi, dove Art Basel era chiamata ad accreditarsi in un sistema geloso della sua cultura dimostrando di non essere solo una multinazionale accentratrice, hanno insegnato a coltivare le sinergie con la scena locale, la lezione trova applicazione pure in patria. «Sono particolarmente entusiasta dell’espansione del programma cittadino di quest’anno, a testimonianza della spinta culturale di Basilea. A partire dal progetto della Messeplatz, che presenta un’installazione site specific trasformativa, Honouring Wheatfield – A Confrontation (2024) dell’artista concettuale Agnes Denes, ridefinendo il dialogo tra ambiente, land art e il valore degli oggetti quotidiani», sottolinea Maike Cruse, che affronta la sua prima edizione da direttore di Art Basel a Basilea, portando in dote la sua esperienza sulla scena berlinese, dove in particolare per dieci anni ha diretto la manifestazione primaverile Gallery Weekend Berlin, che mette proprio al centro la relazione fra città e scena artistica. Inoltre già ben conosce l’ambiente basilese, responsabile della comunicazione di Art Basel dal 2008 al 2011.
Il programma pubblico ampliato prevede anche la riconcettualizzazione del settore diffuso per le vie cittadine, Parcours, affidato a Stefanie Hessler, direttrice dello Swiss Institute di New York: «Trasformerà Clarastrasse, che collega il quartiere fieristico al Reno, in una vera e propria mostra che esplora i temi della circolazione e della trasformazione in ambiti quali il commercio, la globalizzazione e l’ecologia, coinvolgendo attraverso progetti ambiziosi, molti dei quali di nuova produzione, negozi vuoti e in attività, un ristorante, una birreria e altri spazi, fra cui l’hotel Merian, situato sul Ponte di Mezzo, di fronte al centro storico di Basilea, che non solo per il trentennale della collaborazione fra Art Basel e UBS presenta un’installazione di Petrit Halilaj sulla facciata, ma estende la nostra presenza anche durante le ore serali e notturne con un programma continuativo, 24 ore su 24», aggiunge Maike Cruse.
A oltrepassare i limiti, Art Basel ha però iniziato ben prima. Complice un’arte contemporanea sempre meno riducibile alla modularità del tradizionale stand espositivo, già vent’anni fa veniva lanciata una nuova sezione per progetti oversize, Unlimited. «Ricordo bene la prima edizione che vistai per curiosità nel 2000: sebbene fosse ancora un tentativo improvvisato di rispondere a una necessità, un po’ punk nei suoi risultati, già suscitava grande interesse. Molto rapidamente si è professionalizzato e oggi è una macchina complessa e dagli ingranaggi perfettamente regolati, di grande impatto estetico e densità di contenuti. Un unicum all’interno di una fiera d’arte: una piattaforma che va al di là dei formati più commerciali, dando l’opportunità ad artisti e galleristi di presentare opere con particolarità tecniche e dimensioni che richiedono spazi specifici», sottolinea Giovanni Carmine, da quattro anni curatore di Unlimited.
Se non già iscritte al settore principale, le gallerie che si candidano devono presentarsi in collaborazione con una di queste. Costi logistici e tecnici – spesso elevati per questi progetti hors mesure – sono a carico degli espositori che in cambio usufruiscono dell’eccezionale cornice di Art Basel: know-how, servizio, network e brand giustificano l’investimento. Anche perché solo un contesto del genere sa convogliare la particolare tipologia di clientela per formati così ‘al limite’: se la provenienza è globale, come per tutta Art Basel, si tratta per lo più di acquirenti istituzionali oppure privati che hanno i propri musei o acquistano per poi donare in prestito le opere a un’istituzione, dunque una clientela non mossa da finalità speculative né ‘decorative’. Molto variato anche il range di prezzi, dal momento che artisti emergenti si affiancano a nomi storici.
Quello che era all’inizio uno slancio sperimentale, è oggi una delle sezioni di maggior risonanza, fra le più mediatizzate proprio per la sua spettacolarità che, nella parallela ascesa dei social media, ha trovato un canale ideale per opere facilmente instagrammabili. Ma non è certo questo il criterio che presiede alla scelta della settantina di progetti selezionati ogni anno: «Comincio a lavorarci già durante la precedente fiera, verificando quali gallerie potrebbero avere progetti adatti e stimolandone anche di nuove a presentarsi. La qualità delle candidature è sempre molto alta, una volta chiuse selezioniamo insieme al Comitato le proposte che ci sembrano più interessanti e pertinenti rispetto all’attualità, intesa in senso ampio: sia opere capaci di dire qualcosa in questo momento storico, sia artisti ricercati dal mercato o magari che rappresentano nello stesso periodo il loro Paese in un evento internazionale come la Biennale di Venezia», spiega il curatore.


Un’ incisività nel porsi in dialogo con l’attualità che si è fatta particolarmente apprezzare la scorsa edizione, con il monumentale video della barca in fiamme dell’algerino Adel Abdessemed, metafora delle tragedie che ci ardono accanto, accompagnato da molte altre opere che interrogavano il presente. «Non pochi sono gli artisti che dimostrano in maniera stupefacente e precisa di cogliere, se non anticipare, quello che accade attorno a noi. Quest’anno saranno presenti anche lavori di decenni passati che assumono un fortissimo significato alla luce dell’attualità, come il Progetto per la pace e non la guerra del 1969 di Mario Ceroli (Cardi Gallery). Più in generale, si osserva una tendenza a portare opere storiche, fino agli anni ’50, come riflesso di un mercato dell’arte che cerca sempre più un comprovato valore: ad esempio, avremo l’edizione completa della serie The Americans (1954-57), con cui l’allora giovane svizzero Robert Frank scardinava le regole del linguaggio fotografico e l’american dream (Pace Gallery and Thomas Zander). Ma si potrà ammirare anche una sezione significativa del murale del 1984 di Keith Haring (Gladstone Gallery e Martos Gallery) o la rievocazione della prima performance multimediale dell’artista afroamericana Faith Ringgold, del 1976 (Goodman Gallery in collaborazione con Aca Galleries)», anticipa Giovanni Carmine.


Con la sua spettacolarità e trasversalità di linguaggi, Unlimited è un settore facilmente accessibile al largo pubblico, capace di avvicinare all’arte contemporanea anche chi manca di una preparazione particolare, ma al contempo sempre interessante per direttori dei musei e collezionisti, che qui possono scoprire nuovi artisti o rivedere cose dimenticate. «A partire da un insieme di opere così eterogeneo per tecniche e tematiche, prima di tutto la sfida è riuscire a dare a ciascuna il giusto spazio e la collocazione più appropriata, muovendo dalla pagina bianca di una sala di 16mila mq. Pur senza voler proporre una mostra tematica, si cerca di generare un’atmosfera e dare un ritmo: lo si fa posizionando in punti chiave dell’esposizione determinate opere, proponendo degli accostamenti stupefacenti, esteticamente intriganti oppure a volte semplicemente logici. Un grosso puzzle, anche molto dinamico: avevo già finito a inizio maggio di disegnare l’allestimento, ma fino all’ultimo minuto bisogna mantenere la flessibilità per accogliere le richieste delle gallerie e risolvere quell’immancabile 10% di imprevisto», osserva il curatore di Unlimited. Un lavoro molto diverso da quello che Giovanni Carmine, di origini ticinesi, svolge come direttore della Kunst Halle Sankt Gallen, dove si concentra sulla produzione di progetti e mostre, lavorando a stretto contatto con gli artisti, in particolare la giovane scena svizzera, e sostenendoli nello spingere la loro pratica verso nuove direzioni.


Per gestire una logistica decisamente complessa occorre un’organizzazione perfettamente orchestrata: predisposti gli spazi entro inizio giugno, ogni espositore arriva con la propria squadra e in poco più di cinque giorni tutto è allestito. Un ingranaggio che il requisito della sostenibilità, sempre più tassativo, rischia di inceppare? «Fa parte degli aspetti su cui è necessario lavorare per rimanere al top. Per il settore fieristico il discorso non è semplice, soprattutto considerati gli spostamenti di persone e il trasporto delle opere. Insieme a una società di consulenza per la strategia climatica e a una task force interna, Art Basel sta sviluppando iniziative immediate e a lungo termine per ridurre la propria impronta di carbonio, oltre ad aiutare le gallerie e i collezionisti», commenta Giovanni Carmine. Ad esempio, l’intero sistema di pareti delle quattro fiere è completamente riutilizzabile e viene spedito in ogni location via nave, con una durata di vita di 7-10 anni, dopodiché verrà destinato ad altre fiere. L’illuminazione sta passando gradualmente al led e alla Messe Basel, anch’essa proprietà dell’Mch Group, l’80% del fabbisogno energetico è già soddisfatto con fonti rinnovabili.
Installazioni monumentali, sculture colossali, impressionanti pitture murali, serie fotografiche e proiezioni video di ampio respiro, sperimentazioni di arte digitale sono pronte a farsi ammirare e fotografare nei 16mila metri nella Hall 1 della Messe Basel. «Non manco certo di immaginazione, ma vedere la sala finalmente allestita è sempre una sorpresa. E quello che è incredibile è che Unlimited sia rimasto un unicum, non c’è evento paragonabile in ambito museale né fieristico, anche perché a livello di tempistiche nessuno riesce a garantire una finestra temporale così ottimale», conclude il curatore. A 20 anni dalla nascita, Unlimited dimostra concretamente come illimitata sia la potenza della multinazionale delle fiere. Stimolando a oltrepassare nuovi confini, perché oggi come ieri – nell’arte come negli affari – per rimanere leader occorre sempre essere all’avanguardia.
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