TM   Aprile 2025

Trump, i dazi e la Svizzera

Si è aperta una fase di mercato particolarmente fluida in cui molte certezze di ieri sono venute improvvisamente meno. Come potrà finire? Difficile a dirsi, complicato a farsi. L’Opinione di Ignazio Bonoli, economista.

di Ignazio Bonoli

Economista

Il ‘Liberation Day’ è arrivato. Il 2 aprile 2025 il presidente americano Donald Trump ha annunciato in gran pompa di aver iniziato la ‘guerra di liberazione’ degli Stati Uniti da quei Paesi che per anni hanno approfittato delle loro ricchezze senza rendere nulla. Paesi che Trump ha tacciato di essere ‘sfruttatori’, ‘saccheggiatori’, ‘violentatori’, a seconda dei momenti.

Probabilmente non si è accorto che potrebbe aver decretato la fine del multilateralismo che ha in sostanza favorito lo sviluppo economico di molti Paesi, tra cui gli Stati Uniti. Ora il pericolo evidente è che tutti i Paesi interessati reagiscano allo stesso modo applicando pesanti dazi alle importazioni dagli Stati Uniti. La Cina, che è ora il principale nemico dichiarato, lo sta già facendo decretando dazi analoghi per tutti i prodotti americani.

Invece Trump, non solo ha introdotto molti dazi, ma distingue fra prodotti e Paesi, in pratica applicando la tattica di ‘guerra’ più adatta al momento (secondo il suo insindacabile giudizio), nonché in una certa misura il principio antico del ‘divide et impera’. Si è così creata una situazione che costringe il resto del mondo a reagire, al di là e al di fuori di ogni trattato internazionale. Molti commentatori pensano che farà delle concessioni, anche se come ha già ribadito “solo di fronte a proposte fenomenali”, sempre a suo giudizio.

A questo punto è opportuno spendere due parole per vedere da vicino il metodo Trump. Il calcolo è, a dir poco, grossolano. Si prende in considerazione il deficit della bilancia dei pagamenti e lo si confronta con il totale delle esportazioni di ogni Paese verso gli Stati Uniti. La percentuale viene considerata come indice del ‘guadagno’ di ogni Paese. Lo stesso viene diviso per metà (per bontà di Trump) per ottenere il dazio da applicare, sottintendendo così che potrebbe anche essere superiore. Ne derivano situazioni assurde, come per esempio, un dazio ipotetico del 46% al Vietnam o del 31 per Lesotho e Svizzera, o del 44% per il disastrato Myanmar.

L’Europa viene considerata come un unico partner e spunta un dazio del 20%. Non è detto però che singoli Paesi possano ottenere dazi più favorevoli, per quanto non tutti i prodotti sono imposti uguali. Per la Svizzera sarebbe importante l’esenzione per i farmaceutici e l’oro.

Trump continua a credere che le importazioni ‘rubino’ qualcosa e che i deficit commerciali ne siano la prova. I dazi sembrano dunque lo strumento più adeguato per risolvere molti problemi, ma è davvero così che riuscirà a rifare grande l’America?

Mentre la Cina ha reagito subito, la Russia non è compresa tra i ‘puniti’, ma si vede minacciata per l’esportazione del petrolio e se non fa quello che Trump le chiede di fare. Le autorità svizzere, molto deluse, hanno reagito pacatamente e manifestato l’intenzione di discuterne con le autorità americane. Alcuni dati significativi potrebbero convincere dell’inopportunità di dazi elevati, basati sul fatto che il ‘guadagno’ svizzero sarebbe del 61%! È già evidente che una popolazione di 9 milioni di abitanti importa sicuramente meno di una di 350 milioni. Inoltre i rapporti economici non devono limitarsi agli scambi commerciali, ma tener conto della bilancia dei servizi, che è favorevole agli Stati Uniti. Ma i rimproveri americani non sono una novità. Basti ricordare la faccenda dell’oro degli ebrei o gli attacchi al segreto bancario o anche il recente inserimento sulla lista americana di Stati con “metodi commerciali non corretti” per capire che le discussioni potranno essere lunghe e difficili. Già oggi si constata, infatti, che il sesto investitore negli Stati Uniti, creatore di 400mila posti di lavoro diretti ben pagati, non viene preso in considerazione, come non conta nemmeno il fatto che la Svizzera non applichi più nessun dazio sui prodotti industriali.

Tutto è subordinato al giudizio del Presidente basato su dati molto fragili. Come potrà finire? Certamente vi sarà una qualche correzione, ma non si può sapere né come, né quando. Lo stesso Trump non ricorda quanto avvenuto negli anni Trenta, con misure analoghe per difendere l’industria americana che suscitarono una reazione che contribuì al periodo di depressione, poi sfociato nella seconda guerra mondiale. Non mancano già similitudini con la situazione odierna. Per esempio la media dei dazi sul tavolo, del 29%, è molto vicina a quella di allora. E le borse stanno chiaramente manifestando le loro preoccupazioni.

Trump continua però a credere che le importazioni ‘rubino’ qualcosa e che i deficit commerciali ne siano la prova. I dazi, oltre a procurargli i capitali per risanare il debito pubblico e rilanciare l’industria, gli sembrano adatti a risolvere il problema di un’economia che prima di lui sarebbe stata al collasso. Ma è davvero così che riuscirà a rifare grande l’America?

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