Gli equilibri mondiali che hanno caratterizzato gli ultimi cinque anni hanno dato origine a un’impennata dei prezzi alla produzione e al consumo che non si vedeva da circa trenta, il che ha imposto la reazione della politica monetaria.
Allo stesso tempo, la prospettiva di un possibile impatto del rialzo dei tassi di deposito e di rifinanziamento sulla crescita ha comportato un ribasso relativo dei tassi a lungo termine, trasformatosi gradualmente in un’inversione della curva ad aprile 2022, quando il tasso americano a 2 anni ha iniziato a salire più del decennale.
Il differenziale di tasso si è ulteriormente ampliato quando la tanto attesa recessione non si è materializzata. Anche le difficoltà di una serie di banche regionali americane nella primavera 2023, pur determinando un movimento di panico sui mercati obbligazionari, hanno dato origine soltanto a un breve episodio di irripidimento della curva dei rendimenti. Rimane aperta la questione su quale sia il giusto valore del tasso di equilibrio, laddove l’inasprimento monetario non è bastato a cambiare rotta all’economia mondiale, ma invertendo la curva.
La chimera della recessione imminente. Storicamente le inversioni della curva si sono rivelate eccellenti segnali precursori di recessione. Tuttavia, negli ultimi anni, i rialzi dei tassi hanno dovuto fare i conti con la benevolenza dei Governi, nel caso degli Stati Uniti spinto anche dal rafforzamento del comparto militare.
Una constatazione simile può essere estesa anche al Vecchio Continente, già interessato da una ripresa dell’economia che ora presenta indicatori economici in miglioramento dopo avere evitato la recessione alla fine dell’anno scorso.
Peraltro sembra illusorio che gli Stati Uniti possano continuare a crescere all’infinito a un ritmo due volte superiore al loro potenziale. Anche se lo spettro della recessione non sembra ancora aleggiare, non si può escluderlo per il futuro.
Guardando all’andamento del differenziale tra i tassi sovrani a 2 e 10 anni negli Stati Uniti, come trarre beneficio? Al momento gli operatori sembrano convergere sulla prospettiva di due tagli dei tassi nel 2024 e di un atterraggio sopra la soglia del 3,5% in un orizzonte di 18 mesi.
Questo scenario sembra ottimistico, tenuto conto del livello elevato dei tassi reali statunitensi, sopra al 2%, e dei segnali di rallentamento. Inoltre, queste aspettative sui tassi non tengono conto di un “Fed Put” che potrebbe materializzarsi se la calma economica si trasformasse in tempesta e il mercato del lavoro dovesse deteriorarsi bruscamente orientando fortemente al ribasso i tassi a breve.
Anche se il sentiment è costruttivo sulla parte a breve della curva, non è da escludere una sottoperformance dei tassi lunghi che potrebbe generare una certa volatilità nell’obbligazionario. Questi ultimi hanno beneficiato finora di una prospettiva entusiastica in termini di traiettoria disinflazionistica a medio termine, uno scenario reso oltremodo incerto dalla fase di stallo dei conflitti armati e commerciali. Oltre alla volatilità dell’inflazione attesa, anche l’aumento dell’indebitamento mondiale in un momento in cui le autorità cercano di ridurre i bilanci è un fattore di fragilità specie per le scadenze lunghe.
Lo scenario più probabile sostiene un graduale aumento della duration dei portafogli. Se da un lato l’implementazione di una marcata convinzione direzionale in questa fase del ciclo può ancora riservare brutte sorprese, dall’altro c’è convinzione nella capacità dei tassi a breve di sovraperformare quelli lunghi. Dunque, il balzo in avanti dei mercati avverrà con un nuovo irripidimento della curva.
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