Al lettore il titolo potrà sembrare alquanto strano, ma non è così. I tre argomenti indicati sono oggi assolutamente interconnessi. Avendo vissuto tutto il periodo dello sviluppo della tecnologia dei semiconduttori, oggi indicata frequentemente come il mondo dei chip e microchip, non ho dimenticato quando, verso la fine della guerra in Vietnam, i militari americani esultarono per essere riusciti a distruggere il ponte Thanh Hóa nel Nord Vietnam. I piloti dell’aereonautica avevano cercato di abbattere quel robustissimo ponte in cemento armato sganciando centinaia di tonnellate di bombe senza mai riuscire a scalfirlo seriamente.
Fu quando la Texas Instruments realizzò i primi puntatori laser che con una sola bomba quel ponte fu abbattuto e il fatto lo ricordo bene perché fu riportato sulle riviste tecniche dell’epoca sottolineandone la complessa struttura elettronica basata sui semiconduttori di nuova generazione.
Negli anni Ottanta, quando collaboravo con Intel e frequentavo la Silicon Valley, partecipai alle numerose riunioni in cui il dramma della agguerrita concorrenza giapponese sembrava dovesse inesorabilmente distruggere le aziende di semiconduttori americane, per la loro elevata qualità unita al basso prezzo.
Fu in quel periodo che il Governo statunitense, spinto dai produttori, impose altissime tariffe doganali su buona parte di quei componenti, fatto che spinse molte aziende di sistemi occidentali, americane e non, a farsi assemblare sottosistemi utilizzando quei componenti in estremo oriente, a Taiwan, oggi in contestazione anche per essere diventata un produttore mondiale chiave di tali tecnologie.
Guardando a tutti gli eventi del mondo dei semiconduttori si è passati dal circuito integrato del 1958 con pochi componenti, al primo microprocessore sviluppato nel 1971 da Intel contenente poco meno di tremila transistor ai chip di oggi con ben oltre 10 miliardi di transistor… e non è finita! La famosa legge esponenziale di Moore con chip da 2 nanometri previsi per l’anno prossimo ci dice che ne conterranno fino a 50 miliardi e alimenteranno nuovi formidabili smartphone e sempre più performante intelligenza artificiale, oltre che formidabili armi in grado di colpire in modo autonomo.
Come la disponibilità d’acciaio è stata la base della produttività militare della Prima e della Seconda guerra mondiale, da tempo la stessa, e forse maggiore, importanza si è spostata sui semiconduttori: Geopolitica e Guerre quindi ne devono tenere grande conto.
A differenza del passato, quanto è accaduto per l’industria dei semiconduttori e che accadrà nel futuro è tutt’altro che chiaro. Con una certa quantità di acciaio si possono facilmente fare calcoli su quanti carrarmati e cannoni si possono costruire in un certo periodo di tempo, ma con i semiconduttori non è così: una piccola isola ai confini della Cina può tenere in scacco l’intero mondo con una sola fabbrica! E attenzione, quella fabbrica non è duplicabile facilmente altrove!
Naturalmente la si può distruggere, e qui sta tutta la questione oggi non ben chiara a molti; è questo il punto che diventa una complicazione enorme per gli studiosi di geopolitica e anche per gli estensori dei piani di guerra.
Il motivo profondo di questa strana situazione è molto semplice: la legge di Moore e le sue implicazioni. Semplificando molto, se con un ingente investimento un Paese riproducesse in tre anni la taiwanese Tsmc potrebbe anche riuscirci, solo che la nuova fabbrica risulterà arretrata di tre anni rispetto la Tsmc che nel frattempo avrà proseguito il suo sviluppo secondo la legge di Moore, e qui sta il punto.
La nuova arma ‘semiconduttore’ non dipende da fattori quantitativi, ma qualitativi, esattamente come uno smartphone di oggi è incomparabilmente superiore rispetto a uno prodotto tre anni fa.
Nella storia dell’umanità non si trova alcun prodotto che abbia avuto la pervasività dei componenti elettronici realizzati con silicio che sottostanno a uno sviluppo esponenziale. E non solo la geopolitica ne è influenzata, la riduzione della produzione di chip durante il Covid ha messo in crisi l’industria mondiale dell’auto, e non sarà facile per l’Europa risolvere il problema nonostante ingenti investimenti.
La potenza elaborativa di ogni specifico chip dipende dalla capacità di ottimizzare una serie di punti critici per mantenerne la competitività: strumenti, sostanze chimiche e software sono monopolio di poche aziende e talvolta, come la litografia ultravioletta estrema, solo di una, a livello globale. Nessun altro settore dell’economia è così concentrato, tant’è che i chip provenienti da Taiwan, ad esempio, riforniscono il 37% delle nuove generazioni di chip nel mondo.
Due aziende coreane producono il 44% dei chip di memoria. L’olandese Asml costruisce il 100% delle macchine di litografia più avanzate, le uniche in grado di permettere il passaggio dei fabbricanti dei semiconduttori di oggi alla futura tecnologia a due nanometri, macchine dal valore di centinaia di milioni di dollari.
La quota del 40% dell’Opec nella produzione mondiale di petrolio è nulla in termini di oligopolio al confronto con i semiconduttori. La rete globale di aziende che produce annualmente un trilione di chip su scala nanometrica è un trionfo dell’efficienza, ma anche una spaventosa vulnerabilità poco percepita!
Le interruzioni provocate dalla pandemia, che hanno ridotto le capacità produttive in diversi settori sono solo una modesta testimonianza, o forse un monito. Taiwan e la sua Tsmc si trovano su una faglia nota per i passati terremoti e anche se la fabbrica è realizzata con le migliori tecniche antisismiche al mondo, un terremoto come quello del Tohoku in Giappone del 2011 non la salverebbero.
Anche l’incredibile catena di partecipanti alla produzione di un chip è unica nella storia dell’umanità, un esempio reale? Un chip progettato dall’azienda giapponese Arm, con sede nel Regno Unito, utilizza un gruppo di ingegneri distribuiti in California e in Israele che utilizzano a loro volta un software progettato negli Stati Uniti. Il chip finale viene inviato a Taiwan per essere prodotto in serie utilizzando wafer di silicio ultra-purificato e gas, acquistati in Giappone.
Se uno qualsiasi di quei passaggi viene interrotto, l’approvvigionamento mondiale di nuova potenza elaborativa è a rischio. Nell’era dell’Ia, nonostante i dati siano il nuovo petrolio, senza i semiconduttori per elaborarli…
Per il 2023 Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) ha raggiunto il primo posto con un fatturato di 69,3 miliardi di dollari, al secondo posto Intel a 54,23 miliardi, Nvidia medaglia di bronzo con 59 miliardi; a seguire Samsung, ‘ferma’ a 51 miliardi. L’Europa insegue, ma si tiene ben lontana da quei numeri!
Su base nazionale, nel 2023 i fatturati del settore in miliardi di dollari risultano essere: Taiwan 69; Stati Uniti 208; Sud Corea 130; Giappone 47; Europa 57.
Per l’anno corrente 2024 si prevede un fatturato globale di 611 miliardi, in crescita annua del 16%, e precisamente: Stati Uniti +25%; Asia +17%; Europa +0,5%.
La guerra in Ucraina, oltre ad essere un’altra delle assurde guerre locali in cui dalla fine della Seconda guerra mondiale ci si impegna per non perderne l’abitudine, è diventato un campo di test per ogni tipo di tecnologia da parte dei contendenti dove i semiconduttori la fanno da padroni. Chiarissima a questo proposito è la pressione degli Stati Uniti verso la Cina per impedire a quest’ultima la fornitura alla Russia di qualsiasi prodotto, anche civile, che contenga semiconduttori trasferibili al campo di battaglia. Questo in aggiunta alle già molte limitazioni imposte dagli Stati Uniti all’esportazione in Cina di semiconduttori avanzati.
Non esiste arma che non sia piena di semiconduttori e che non ne richieda sempre di più complessi e intelligenti e le malaugurate guerre in corso ne forniscono una chiara evidenza.
La contesa tra Stati Uniti e Cina in quest’ambito, quindi, non è solo una questione di mercato, ma di controllo dell’intero pianeta e/o delle aree d’influenza.
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