TM   Novembre 2023

Straordinarietà e rischio

Con una sentenza dello scorso 30 agosto, il Tribunale federale ha chiarito un importante aspetto inerente al rischio aziendale in relazione alle chiusure decretate durante la pandemia. Un’analisi di Marco Robbiani, avvocato e notaio, studio legale Barchi Nicoli Trisconi Gianini, a Lugano.

Marco Robbiani

di Marco Robbiani

Avvocato e notaio, studio legale Barchi Nicoli Trisconi Gianini, Lugano

Senza voler oggi troppo rievocare uno dei momenti più difficili e grigi della nostra storia recente, appare utile porre brevemente l’attenzione su quanto statuito dall’Alto Tribunale federale con sentenza attraverso deliberazione pubblica del 30 agosto 2023 (4A_53/2023, la cui motivazione scritta non è ancora stata redatta), laddove – in poche parole – è stato stabilito che, in caso di chiusure aziendali decretate dall’autorità pubblica per combattere il coronavirus, il datore di lavoro non è tenuto a continuare a versare il salario agli impiegati, se la perdita di salario non è coperta dall’indennità per lavoro ridotto.

Innanzitutto, prima di entrare maggiormente nel merito di quella puntuale fattispecie, il primo spunto è di carattere temporale e di reazione di dottrina e giurisprudenza a determinati accadimenti straordinari. Come infatti spesso succede, anche in momenti caratterizzati da urgenza e instabilità, sia sociale, sia giuridica, non vi sono purtroppo – ma è inevitabile che sia così – linee guida giuridiche granitiche, ma piuttosto delle norme, si spera almeno basate su buon senso, coerenza del diritto e pragmatismo, da interpretare e applicare in base alla situazione di fatto, quindi con successiva evoluzione e impatto potenzialmente ancora da definire.

Esempio ne è questo caso, laddove oltre tre anni dopo gli accadimenti, con una crisi sociale e sanitaria percepita ormai lontana, vengono definiti dei parametri giuridici sicuramente determinanti per quel momento storico, forse ora vissuti nello specchietto retrovisore, ma da non dimenticare anche in ottica futura.

Come si può ben apprendere dal comunicato stampa rilasciato dal medesimo Tribunale, il caso concerne tre docenti di una scuola privata del Canton San Gallo, i quali nel gennaio 2020 hanno disdetto il proprio contratto di lavoro con effetto a partire da fine agosto 2020. A metà aprile, in piena emergenza sanitaria, la datrice di lavoro li ha informati della sospensione delle attività scolastiche nell’ambito delle misure decretate dall’autorità pubblica per combattere il coronavirus, con precisazione che il loro salario sarebbe stato ridotto proporzionalmente al lavoro non effettuato, ciò che la datrice di lavoro ha poi effettivamente applicato. Una particolarità della fattispecie in esame sta nel fatto che, ritenuto come i tre docenti interessati avevano già rassegnato le dimissioni, non era più possibile pretendere, e quindi ricevere, una corrispondente indennità per lavoro ridotto.

Il Tribunale federale, accogliendo il ricorso del datore di lavoro, non ha chiuso definitamente la procedura, ma ha rinviato il tutto per nuovo giudizio al Tribunale cantonale sangallese, il quale dovrà ancora chiarire se a suo tempo sarebbe stato possibile svolgere comunque tutte le lezioni, ad esempio online, evitando così di fatto una riduzione dell’attività aziendale nonostante le chiusure decretate. Questo sì, era compito del datore di lavoro

L’iter procedurale in prima e seconda istanza ha visto, dapprima il Tribunale distrettuale di San Gallo e il Tribunale cantonale poi, accogliere l’azione dei tre dipendenti, con ingiunzione alla datrice di lavoro di versare i salari arretrati. La motivazione è stata piuttosto semplice, ovvero che la chiusura di un’attività rientra nel rischio aziendale, pertanto i tre docenti avevano diritto alla continuazione del pagamento del salario.

Il Tribunale federale è stato però di altro avviso e, seppur abbia condiviso che la dottrina è concorde nell’affermare che una chiusura aziendale decretata dall’autorità non rientri nella sfera di rischio degli impiegati, ha pure indicato che non era tuttavia manifestamente intenzione del legislatore far ricadere necessariamente sui datori di lavoro qualsiasi rischio non attribuibile ai lavoratori. In questa interessante analisi, l’Autorità giudicante di terza e ultima istanza ha precisato che rientrano nella sfera di rischio aziendale, quindi del datore di lavoro, motivi inerenti alla persona del datore di lavoro, ma non invece motivi oggettivi che concernono tutti allo stesso modo, e quindi non solo specificamente il datore di lavoro stesso. Tra questi motivi oggettivi, quindi esterni alla sfera di rischio aziendale, sono già stati in passato riconosciuti i disordini bellici o le misure d’economia di guerra.

In ragione di quanto sopra, e a mio modo di vedere correttamente, è quindi stato definito che anche le chiusure aziendali decretate dall’autorità per combattere il coronavirus sono da considerarsi un motivo oggettivo, poiché coinvolgevano tutti e i datori di lavoro si sarebbero esposti a rischi legali notevoli se si fossero opposti alla misura disposta dall’autorità. Da ciò, l’Alto Tribunale federale desume quindi sia un dovere di competenza della Confederazione, ad esempio con l’utilizzo dello strumento del lavoro ridotto, compensare laddove possibile gli svantaggi economici subiti dai lavoratori a causa delle chiusure aziendali decretate.

Per dovere di cronaca, è altresì corretto indicare che Tribunale federale, accogliendo il ricorso della datrice di lavoro, non ha chiuso definitamente la procedura, ma ha rinviato il tutto per nuovo giudizio al Tribunale cantonale sangallese, il quale dovrà ancora chiarire se a suo tempo sarebbe stato possibile svolgere comunque tutte le lezioni, ad esempio online, evitando così di fatto una riduzione dell’attività aziendale nonostante le chiusure decretate. Questo sì, era compito del datore di lavoro.