il 28 novembre 1974 la Svizzera, da undici anni Stato membro del Consiglio d’Europa, ha deciso di aderire alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo (Cedu) con il proposito di promuovere i diritti individuali e la solidarietà internazionale. Con questa adesione si è data facoltà a chiunque avesse ritenuto essere stato toccato nei propri diritti individuali da una decisione del Consiglio federale o del Tribunale federale di ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo sita a Strasburgo. Dal momento che l’impiego di questo strumento avrebbe potuto esercitare un’influenza non da poco sul nostro sistema giuridico, da più parti era stata sollevata la richiesta di sottoporre la nostra adesione al voto popolare.
Il Parlamento, seguendo in Consiglio federale, decise altrimenti ritenendo che la convenzione avrebbe comunque potuto essere disdetta in ogni tempo e che il nostro sistema giuridico era congruente con i principi ivi contenuti. Pertanto, secondo l’allora consigliere federale Pierre Graber, era da escludere il rischio che il nostro paese avrebbe potuto essere condannato in futuro per violazione della Cedu.
Puntualmente queste ottimistiche previsioni sono state smentite dalla realtà dei fatti. Ultima in ordine di tempo, la decisione adottata su ricorso del gruppo definitosi “Anziane per il clima”, in realtà diretta emanazione di Greenpeace, che si definisce “organizzazione non governativa dedita alla salvaguardia dell’ambiente”. Questo gruppo, ritenendo di essere particolarmente leso dalla politica federale che farebbe troppo poco nella lotta contro il (supposto) riscaldamento climatico, aveva ricorso al Tribunale federale il quale aveva respinto lo stesso essenzialmente sulla base di due motivi: da un lato per difetto di legittimazione ad adire la via del ricorso alla nostra massima istanza giudiziaria, dall’altro ritenendo che le richieste non erano giustiziabili e dovevano seguire le vie del percorso legislativo.
Nell’eventualità controversa e per niente provata che la crisi climatica sia provocata dall’uomo e non da eventi atmosferici estranei a un condizionamento umano, la parte che riveste la Svizzera nell’inquinamento globale si misura in millesimi e quindi interventi volti a una sua limitazione a livello nazionale non contribuirebbero di certo al benessere ambientale
La decisione della Corte europea, adottata da 16 giudici contro 1 (quest’ultimo non il giudice svizzero ma quello inglese), è basata sulla violazione dell’art. 8 della Cedu che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Ogni individuo avrebbe il diritto di essere protetto dallo Stato dalle conseguenze dannose che il cambiamento climatico potrebbe esercitare su salute, benessere e qualità di vita.
La decisione è controversa e risulta incomprensibile da più punti di vista. Si pone dapprima la questione di un’interpretazione e quindi di un’applicazione della convenzione non aderente al testo letterale, violando quindi un precetto giuridico fondamentale secondo cui non può esservi una condanna che non sia sostenuta da un preciso articolo di legge. In tal modo i giudici europei seguono una linea già adottata in precedenti decisioni che li porta a intrepretare la convenzione in maniera ‘creativa’, adottando una giurisprudenza che allarga il campo di applicazione della stessa a nuove fattispecie non previste nella convenzione.
In tal modo i giudici della Cedu travalicano il suo ruolo usurpando quello del legislatore. Essi non si limitano come vuole la Convenzione a tutelare i diritti fondamentali delle persone (diritto alla vita, alla libertà, alla libera espressione) ma vogliono esercitare un influsso sull’evoluzione del diritto in Europa con decisioni che non sono oggetto di revisione da parte di un’istanza superiore. E qui siamo al secondo punto critico: questa decisione si scontra con i diritti democratici che stanno alla base della politica degli Stati aderenti e ciò vale anche in materia di politica ambientale. In Svizzera questa politica viene adottata dai corpi legislativi cantonali e federali e sanzionata se richiesto dal voto popolare. Con la loro decisione i giudici della Cedu si sostituiscono al legislatore istituendo in pratica uno Stato nel quale non è più il sistema democratico a creare il diritto, ma il giudice.
Il terzo punto critico sta nel merito: nell’eventualità controversa e per niente provata che la crisi climatica sia provocata dall’uomo e non da eventi atmosferici estranei a un condizionamento umano, la parte che riveste la Svizzera nell’inquinamento globale si misura in millesimi e quindi interventi volti a una sua limitazione a livello nazionale non contribuirebbero di certo al benessere ambientale.
La condanna di Strasburgo non contiene sanzioni e quindi precisi obblighi ai quali sottostare. Il Consiglio federale sarebbe unicamente tenuto a esporre al Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa con quali modalità la Svizzera intende dare seguito alla sentenza. Aperta rimane la questione di un’eventuale disdetta della Convenzione da parte della Svizzera. Quello che è certo, per contro, è che questa sentenza di giudici stranieri non aiuterà gli sforzi di coloro che vorrebbero avvicinare di più la Svizzera alle istituzioni europee con la sottoscrizione di un accordo istituzionale che aprirebbe la porta all’intromissione di giudici stranieri, in casu la Corte Europea, ultima istanza giudiziaria nell’ambito della Ue.
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