La semantica non è tutto, e non deve mai esserlo o diventarlo, ma può sicuramente avere un ruolo. Oggi più di quanto non fosse vero sino a qualche anno fa. Del resto se il mondo bancario è profondamente cambiato, per motivi esogeni ma noti, le persone sono bene o male rimaste le stesse, come l’elevata età media dei suoi addetti sembra voler confermare, dunque a doversi essere adeguare alle mutate circostanze sono le parole. Oggi più che mai importanti. E chi meglio di un avvocato potrebbe coglierne le molte sfumature?
«La nostra è una banca particolare, giovane ma molto legata alle tradizioni, piccola ma proprio per questo le persone hanno un peso specifico maggiore, in cui a contare è sempre il gruppo, in ogni sua funzione, non fosse che siamo a nostra volta parte del Gruppo BancaStato. Non abbiamo un Ceo, ma un Presidente della Direzione Generale e prendiamo quindi le decisioni a maggioranza senza forzare la mano, siamo una squadra che è solita ‘fare la corsa’, vinciamo ma tutti insieme, senza lasciare spazio a protagonismi, ed è per questo che guardiamo al futuro sereni, con fiducia», esordisce così Marco Tini, avvocato e Presidente della Direzione Generale di Axion Swiss Bank.
In un cantone ove i vertici bancari con reale potere decisionale si sono ridotti nel corso degli anni a una sparuta manciata, sembra però curioso che uno di questi sia un avvocato, già dai tempi in cui le normative non avevano il peso che hanno poi assunto. Un caso? «Non credo. È una scelta mirata voluta da un board lungimirante. Scelsi giurisprudenza per una passione per il diritto che mi accompagnava sin dai primi anni di scuola. Ottenni nel 2000 il brevetto di avvocato e l’interesse per il diritto bancario mi spinse a raggiungere un istituto bancario, Credit Suisse, presso il Servizio Giuridico, dove sono rimasto sino al 2006. Raggiunsi poi Société Générale quale responsabile del Dipartimento Legal & Compliance: dopo pochi anni, avendo nel frattempo compreso di possedere anche doti manageriali, divenni nel 2011 Ceo della Filiale di Lugano», prosegue l’avvocato.
Sono sempre stato convinto che il Capitale umano èl’unico a poter fare la differenza, specie in una banca piccola, ed è lì dove investire. La nostra è un’industrianon più giovanissima, soprattutto al fronte,il che acuisce molti problemi
Se in Europa la coda lunga del 2008 non era ancora arrivata, di lì a pochi anni tutto sarebbe cambiato, e dove se non all’interno di un Gruppo internazionale i molti cambiamenti in atto, anche sottotraccia, sarebbero stati percepibili? «Il 2011 è stato l’anno di molte svolte: inizia la mia vita manageriale; il processo di centralizzazione delle decisioni a Parigi accelera fortemente, e si avvia a divenire totalizzante; il quadro normativo evolve rapidamente anche in Svizzera. Coincide però anche con la presa d’atto che per avere una qualche possibilità di successo dovessimo trovare un nuovo azionista, sì più locale, ma che ci garantisse autonomia decisionale, ed è lì, nel 2014, che si apre la trattativa con BancaStato che darà vita alla Axion che conosciamo oggi. Dunque una banca, piccola ma dal profilo internazionale, in cui sono confluite le masse delle filiali svizzere di Unicredit, e di Société Générale, insieme a una parte del personale, tutt’ora in squadra», evidenzia Tini.
L’Est. All’interno di un percorso tortuoso, in un settore scosso da profondi cambiamenti in tempi stretti, le svolte non mancano. Il 2016 è una data spartiacque, anche in termini di strategia. «Entrambi i Gruppi, francese e italiano, servivano dalla Svizzera diversi mercati dell’Europa orientale. Avevano dunque i numeri, ma anche l’expertise, ossia i team di specialisti che ci hanno consentito di conservare questa peculiarità. Disponiamo di un team d’eccellenza attivo su quei mercati: trattasi di undici collaboratrici, tutte donne. Entrambi i Gruppi avevano anche deciso di avere istituti completamente avulsi dal territorio, che conservassero un profilo molto basso, per concentrarsi esclusivamente nell’offrire servizi di alto Private Banking a una clientela sofisticata. Dunque, un perfetto allineamento. Ad acquisizione perfezionata, nel 2016, il cambio radicale di strategia: sì una boutique specializzata all’interno di un Gruppo, sì concentrata su clientela estera, ma anche molto più vicina al territorio, con una nuova veste», rileva l’avvocato.
La vicinanza anche culturale tra le due diverse anime iniziali sotto molti aspetti ha del clamoroso, al pari delle coincidenze che l’hanno portata a confluire in un’unica realtà; dunque, perché il cambio di strategia? «Siamo un istituto di persone, e ci riconosciamo nel nome. Axion è una derivazione dal greco, e racchiude perfettamente l’idea di ‘valore’, quello che vogliamo creare con i nostri servizi per altre persone, i nostri clienti. Per quanto non sia un mistero che in termini di raccolta facciamo molto bene in Europa orientale, sono stati notevoli i progressi per diversificarla. Oggi le masse sono per un terzo orientali, per un terzo svizzere, e per un terzo italiane, ossia miriamo alla clientela proveniente da queste aree geografiche, da qui la nuova strategia e il cambio di filosofia, l’essere più presenti e visibili, in un Gruppo locale», riflette Tini.
Nel corso del tempo, a dipendenza della geografia, alcune cose sono cambiate, altre molto meno. «Oggi in Europa orientale l’industria bancaria elvetica è percepita come lo era in Italia nel secolo scorso, quando il banchiere svizzero era sinonimo idealizzato di sicurezza, ed efficienza. Ai tempi l’imprenditore italiano con orgoglio ti guidava nelle sue aziende, ti mostrava il suo lavoro, ti invitava a trascorrere del tempo insieme. Oggi sarebbe impensabile in Italia, e non solo per motivi giuridici, ma è molto comune nell’Est, dove questa percezione della Svizzera non è cambiata. A essere trasversale è la sensibilità che le persone hanno maturato nei confronti del loro capitale», nota l’avvocato.
Le regole del gioco. Nell’arco di pochi decenni molto è cambiato, a partire dalle società dei Paesi occidentali, ma sotto altri aspetti molto meno di quanto si penserebbe. «Ai tempi gli imprenditori italiani, per fare un esempio, non avevano tempo da dedicare a null’altro che non fosse il loro lavoro. Erano industriali, che facevano e progettavano tutto il giorno e ogni giorno. Oggi i clienti sono diversi, sono più competenti in materia finanziaria, vogliono essere più partecipi nel processo d’investimento, e vi dedicano più tempo e risorse, e ovviamente la digitalizzazione li facilita molto. Sono meno inclini a lasciare carta bianca all’istituto disinteressandosene completamente, come avrebbe fatto invece un loro genitore. In questo l’evoluzione delle normative ha giocato un ruolo», riflette Tini.
Ma sino a che punto le regole sono cambiate, e quanto hanno inciso sull’attività di un addetto ai lavori dell’industria è più difficile da dirsi: «Le normative cambiano, anche ogni anno, ad esempio nell’antiriciclaggio. È dunque indispensabile essere aggiornati, e certificati, da qui il ruolo preminente della ‘formazione continua’, che specie dalle figure Senior è spesso percepita come un peso significativo. Ieri, forse, lavorare in banca aveva molti risvolti piacevoli, oggi è diventato sicuramente più impegnativo e complesso. Al proposito circola una battuta che esemplifica l’attuale situazione. Una volta i colleghi si salutavano con l’usuale ‘come va, tutto bene?’, oggi l’incipit di un incontro è ‘quanto manca?’ (con riferimento alla pensione)’. L’attrattività della professione si sta riducendo, e ciò rappresenta un problema nel medio-lungo termine», mette in evidenza l’avvocato.
Ma quanto è cambiata l’operatività quotidiana di un consulente? «Il lavoro amministrativo è decuplicato rispetto a vent’anni fa. Forzando un po’ il discorso, oggigiorno il dipendente deve tenere traccia di tutti i ragionamenti che lo hanno portato a prendere una determinata decisione. In ogni momento deve esserci prova liquida del perché di una decisione d’investimento e del retroscena economico di un’operazione. Anni fa il fardello amministrativo era minore. È aumentata anche la pressione, laddove oggi il consulente è costantemente misurato nella sua attività e questo può incidere sul suo benessere. Il legislatore ha introdotto fattispecie di rilevanza penale nell’attività dei consulenti, laddove vi fossero delle carenze di controllo legate ad attività criminogene dei clienti», prosegue Tini.
Le persone. Quando l’acqua si abbassa, iniziano i problemi, o più semplicemente affiorano, dove erano sempre stati. Vale anche nel caso della Piazza ticinese. «Quello che bisogna capire è l’esigenza di aprirsi a nuovi mercati, guardando quindi oltre l’Italia. È il primo passo per poter crescere, e diversificare le entrate. Sono profondamente convinto che è giusto affrancarsi dalla dipendenza con l’Italia. Noi siamo avvantaggiati in questo, avendo una vocazione internazionale. Penetrare nuovi mercati, e nuovi continenti, è operazione assai onerosa, non solo in termini economici. Occorre una disponibilità a tutti i livelli nell’apprendere nuove specificità di mercato e quindi nuove regole. Occorre anche uscire da una certa comfort zone, e quindi ritornare ad esempio a viaggiare per conoscere nuove realtà», precisa l’avvocato.
A mancare, specie a determinate latitudini, sono però le persone, che trovano a loro volta altre persone, e non c’è tecnologia che tenga. «Sono sempre stato convinto che il Capitale umano è l’unico a poter fare la differenza, specie in una banca piccola, ed è lì dove investire. La nostra è un’industria anagraficamente non più giovanissima, soprattutto al fronte, il che acuisce molti problemi, in primis la ricerca di giovani talenti, che non sono troppo interessati ad apprendere i segreti del mestiere. A crescere è però anche la competitività delle Piazze estere, altro elemento su cui riflettere», precisa Tini.
Se dunque il contesto è non certo dei più semplici, come si deve guardare al futuro è l’altra domanda. «A livello locale la situazione è innegabilmente complessa, e richiederà nervi saldi. Un consolidamento è inevitabile, e avverrà a prescindere dal regolatore, che sarà però decisivo nel determinarne tempi e portata. Mi devo ripetere, per quanto complessa la soluzione è evidente: occorre guardare a nuovi mercati. La Piazza svizzera è invece in una posizione molto diversa, ha da sempre una vocazione internazionale, ha già maturato il know-how necessario e diversificato il business, e soprattutto ha un accesso diverso al mondo del lavoro e ai giovani talenti. L’industria soffre ancora dello stigma, vero sino a un decennio fa, che il banker dovesse portare un portafoglio clienti per sperare di entrare in banca. Oggi questo non è più vero, ma l’idea è rimasta», nota l’avvocato.
Dunque, che dire di una piccola realtà bancaria locale e cosa aspettarsi? «A patto di portare a buon fine il passaggio generazionale, sono personalmente sereno delle prospettive di Axion per i prossimi anni. Siamo una banca piccola, ma solida, efficiente, e miriamo a raggiungere il traguardo dei 10 miliardi di franchi di masse. Possiamo contare su un capitale umano di qualità, competitivo, e soprattutto ben bilanciato tra ‘hunter’ e ‘farmer’. A fronte dei risultati straordinari di bilancio dell’ultimo biennio oggi potremmo investire e crescere molto, acquisire nuovi team e aprire nuovi mercati, ma per farlo bisogna anche avere la certezza che siano replicabili e durevoli nel tempo, e questo è il pensiero che ci accompagna quotidianamente», conclude Marco Tini, Presidente della Direzione Generale.
Il tema è dunque come bilanciare una necessaria prudenza, con il bisogno di continuare a crescere. Trovare il giusto equilibrismo non è dei più scontati, ma è anche l’unica soluzione davvero percorribile. Chi si ferma, è perso.
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