TM   Novembre 2024

Rischi e precauzioni

La Piazza finanziaria elvetica teme di perdere posizioni nella concorrenza internazionale e si confronta con le onerose direttive per aumentare la resilienza al rischio delle banche.  L’Opinione di Ignazio Bonoli, economista.

di Ignazio Bonoli

Economista

Alcune settimane prima di lasciare, a fine settembre, la presidenza della Bns, in una lunga intervista di commiato rilasciata alla Nzz, Thomas Jordan rilevava come la Svizzera dovrebbe avere tutto l’interesse a rimanere una Piazza finanziaria di primo piano. Aggiungendo che occorre però favorire lo sviluppo di una grande banca internazionale (Ubs nel caso specifico) ed essere disposti ad accettare anche i rischi connessi, pur cercando di limitarli nella misura massima per il contribuente. Lo stesso quotidiano riportava anche un articolo dedicato proprio alla Piazza elvetica nel ruolo di offshore, constatando che nella gestione patrimoniale quale “Booking Center” la Svizzera è ancora in testa alla graduatoria mondiale con oltre 120 miliardi di dollari, davanti a Singapore (poco meno di 120), Hong Kong (oltre 70) e Stati Uniti (poco meno di 70). Seguono nell’ordine, con importi minori, Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Lussemburgo, le isole della Manica e quella di Man e le Bahamas.

La situazione mondiale sta però cambiando. Le banche asiatiche stanno guadagnando terreno: la banca privata Dbs di Singapore, per esempio, segnala un aumento del 24%, per un totale di 256 miliardi di franchi. La crisi dovuta al Covid e quella di Credit Suisse hanno avuto un grosso impatto sullo spostamento di capitali, in particolare nel Sud Est asiatico, come lo sta avendo anche la partecipazione della Svizzera alle sanzioni decise dall’Ue contro la Russia.

La Piazza elvetica sta ora mantenendo le posizioni, grazie ai capitali provenienti dall’Est Europa e dal Medio Oriente. Posizioni la cui durata è prevista dagli esperti fino al 2028. Dopo è possibile che venga superata da Hong Kong. Tuttavia la crisi economica che sta vivendo la Cina rallenta l’afflusso di capitali verso questa Piazza, per cui a trarne i maggiori profitti sembra essere Singapore.

Il pericolo di perdere posizioni nell’offshore era già stato segnalato da Sergio Ermotti. Ma proprio Ubs, rimasta la sola grande banca svizzera con un forte impatto internazionale, rischia di subire il contraccolpo della decisione delle autorità di sorveglianza delle banche. L’accenno alle dichiarazioni di Jordan andava proprio in questa direzione. E, infatti, Ubs sta discutendo a fondo con la Confederazione i provvedimenti che si propongono nell’intento di rinforzare la resistenza delle banche, soprattutto quelle di importanza sistemica – nell’eventualità di prossime crisi internazionali. Per Ubs si tratta di una necessità di capitali dell’ordine di 15-25 miliardi di franchi, cioè un aumento del 5% del capitale proprio. Inoltre gli aumenti di capitale dovrebbero essere accompagnati da misure per completare il dispositivo “too big to fail”.

Più di recente, anche la Finma, pur ammettendo il buon lavoro di Ubs, ha ricordato che un eventuale fallimento avrebbe conseguenze disastrose su tutto il sistema, per cui sarà necessario dotare Ubs di tutti gli strumenti che le permettano di far fronte alla situazione, senza dover ricorrere ad aiuti pubblici.

Le discussioni si estendono a tutto il settore bancario elvetico, che deve prepararsi ad applicare le nuove direttive di “Basilea III”, prima di altre Piazze, ossia dal 1 gennaio 2025 (Usa, Uk o la stessa Ue attendono almeno il 2026). L’Associazione svizzera dei banchieri (ora Swiss Banking) si è già fatta sentire, soprattutto per bocca del suo responsabile della politica economica Martin Hess, che ha fatto notare che le nuove regole comportano un aumento di spese non indifferente.

“Basilea III” è infatti il più completo dei regolamenti che concernono l’attività bancaria e si basa sulla consistenza del capitale proprio delle banche per aumentarne la sensibilità al rischio. Chiede perciò per tutte le banche un limite minimo al capitale proprio per l’uso di modelli interni.

Swiss Banking mette in guardia contro un’eventuale ondata di nuove disposizioni che potrebbero anche venir spezzettate, chiedendo una chiara priorità e una definizione esatta dei campi d’applicazione. A fronte di un sicuro aumento dei costi, sarà necessario aumentare la liquidità, anche attraverso la Bns, che dovrà provvedere alla creazione di riserve di crisi. Le banche lamentano anche l’introduzione dal 1 gennaio della tassa minima per i grandi Gruppi internazionali e chiedono alla Svizzera di non voler sempre giocare il ruolo di prima della classe, che potrebbe avere ripercussioni negative per l’economia al pari delle regole delle banche.

Per il momento il settore bancario non sembra ancora risentire gli effetti della fusione Cs-Ubs e mantiene le posizioni dell’anno precedente con circa 93mila dipendenti. Diminuzioni di personale sono però avvenute all’estero, e anche questo non è un buon segnale per l’offshore. Le eventuali diminuzioni di personale in aziende vicine alla banca non avranno un grande influsso sul mercato del lavoro come tale. Tuttavia, misure di risparmio o di miglioramento dell’efficienza potrebbero farsi sentire maggiormente.

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