Mentre il quadro geopolitico si fa sempre più critico, emergono di giorno in giorno notizie che confermano il contesto negativo più volte da me indicato. La crisi di credito che sta colpendo al cuore l’economia americana è ormai in pieno svolgimento e metterà a durissima prova lo scenario di soft landing già scontato dai mercati. La FED continua ad osservare le dinamiche del credito appartenenti al settore bancario e al mercato delle obbligazioni quotate, non tenendo conto di quello che accade nel settore dello Shadow Banking, che rappresenta il 60% del credito all’economia.
Si continua quindi a guardare il rischio di sistema attraverso quello che si vede sul mercato dei corporate bonds, sui livelli dell’indice di borsa e sui bilanci delle banche. Tutto secondo il copione che ha portato alla crisi del 2008 e prima ancora a quella del 2001. Tutte crisi innescate da eventi di credito che si sono manifestati nei segmenti delle cartolarizzazioni gestite dallo Shadow Banking System e che solo con ampio ritardo si sono poi propagate all’intero sistema economico e finanziario. Lo Shadow Banking System non è regolamentato, non è sottoposto a vigilanza e non è monitorato dalla banca centrale, ma costituisce la struttura portante del sistema finanziario USA e di tutto il “toxic debt” di sistema.
Il credito. Gli indici dei Leverage Loans sono un eclatante esempio di come si possa far vedere cose diverse da quelle che in realtà accadono in un mercato totalmente opaco. Tali indici sono costruiti sulle tranche dei più importanti loans in circolazione che, in pratica, sono il benchmark del mercato. Da inizio anno tale indice evidenzia una performance positiva del 5%, nonostante il segmento sia decisamente sotto pressione. Com’è possibile quindi? Molto semplice, la modalità con la quale si può far segnare un risultato positivo a un mercato in difficoltà si basa sulle stesse pratiche utilizzate prima della crisi dei mortgages (Mbs) del 2008. Basta che alcune controparti si accordino nello scambiarsi periodicamente assets presenti nell’indice a prezzi predefiniti, ed ecco che tale indice non scende mai, anzi sale.
Anche sul mercato High Yield accade la stessa cosa, dove tutto sembra fermo e cristallizzato, perché il mercato è controllato dai grandi fondi d’investimento che non hanno nessun interesse a far vedere un aumento degli spread, nonostante il deterioramento dei fondamentali delle società. Si apprende quindi, in una nota diramata da Moody’s, che una ragione per la quale non c’è stato un allargamento degli spread è dovuto alla “migrazione” degli emittenti di peggiore qualità, dall’High Yields al Private Credit. La stessa cosa si sta verificando sul mercato dei Leverage Loans, dove gli emittenti peggiori vengono rimossi dall’indice e il credito passa a carico dei fondi di Private Credit, totalmente non regolamentati e liberi di valutare tali crediti come vogliono.
Gli Npl (Web only). Un altro interessante indicatore osservato dagli investitori per valutare quello che sta accadendo sul mercato del credito è quello che misura il tasso di default nel sistema. Come mai, nonostante tale indice evidenzi un livello di insolvenze ormai vicino ai massimi del 2008, nei bilanci delle banche non c’è traccia di NPL? Molto semplice, se leggete i recenti bilanci pubblicati da JPM, BOA e Citicorp, vi accorgerete che ormai si limitano solo a riportare l’andamento del margine d’interesse e delle commissioni attive. Nulla trapela sulla valutazione degli asset in bilancio e sui crediti, che vengono praticamente tutti valutati al prezzo di carico nel portafoglio immobilizzato. Se fossero valutati al mark to market le perdite azzererebbero l’intero Tier 1, con la necessità di avviare ingenti ricapitalizzazioni.
La Fed è tuttora ancorata a parametri di analisi che la rendono arretrata di almeno vent’anni rispetto all’evoluzione del settore finanziario americano. Non esiste alcuna vigilanza sui rischi di sistema. In un mondo dove lo Shadow Banking intermedia il 60% del credito e degli asset finanziari in circolazione, la vigilanza si focalizza prevalentemente sulle banche, ma pure quelle saltano sotto il naso dei regolatori. Se non si riesce a vigilare le banche, che sono sottoposte a vigilanza… figurarsi il resto.
Ma quello che non si dice è che le insolvenze, in realtà, sono già ora molto piu’ alte del 2008 e non vengono rilevate solo grazie all’ennesimo escamotage utilizzato per non far capire come siamo messi veramente. Sempre secondo Moody’s, il livello di insolvenze è decisamente sottostimato, questo perché le banche e il Private Credit stanno utilizzando il “distressed exchange”, cioè la rinegoziazione dei loans in defaults effettuata direttamente tra controparti senza passare dalle procedure legali d’insolvenza. In questo modo le insolvenze e le rinegoziazioni del debito in default non appaiono da nessuna parte nelle statistiche ufficiali perché negoziate in privato.
I Private (Web only). Da tempo mi chiedo cosa stia accadendo nel mercato del Private Equity, che è all’epicentro della crisi del Venture Capital e dei Leverage Loans che lo finanziano. Le evidenti difficoltà di Soft Bank, il grande fondo di Private Equity giapponese che è stato sempre un leader di mercato, fanno trapelare una situazione critica per un settore che vale 9 trilioni di USD. Un recente articolo di FT su alcune pratiche utilizzate dai Fondi di Private Equity per distribuire rendimenti lascia attoniti (Private Equity Group face investor scrutiny over tactics for returning capital. 11/10/23). Grandi società di Private Equity stanno distribuendo dividendi grazie a prestiti bancari garantiti da collaterale rappresentato dalle stesse partecipazioni sottostanti.
Si tratta di rendimenti distribuiti con il debito. Mentre l’intero sistema finanziario annaspa per cercare di non far emergere le criticità, la FED continua ad osservare l’indice Dow Jones come riferimento della fiducia nell’economia e guarda agli spreads sul credito per capire se il sistema regge. Nulla è cambiato rispetto al 2006/2008, quando Bernanke dichiarava al Congresso che non esistevano rischi sistemici provenienti dal real estate. In realtà il sistema, come allora, è già ora in pesante crisi e questa crisi è rilevata nello Shadow Banking System, un mercato prettamente istituzionale, e per ora non si è ancora trasferita ai mercati che gestiscono gli asset finanziari del retail (Equity e Corporate Bonds).
Banche locali americane (Web only). Un’altra conferma del peggioramento della situazione riguarda le banche regionali USA. Mentre tutti credono che gli interventi di salvataggio di alcune banche hanno fermato il contagio, nella realtà questo non è affatto vero. Centinaia di istituti di credito di piccole dimensioni sono in default a causa dell’esposizione al Commercial Real Estate, che costituisce in media il 60% del core business delle piccole banche locali. Per evitare l’insolvenza il Governo Federale, in accordo con il Ministero del Tesoro, ha indotto i governi locali (singoli Stati e Municipalità), ad intervenire direttamente nella ricapitalizzazione degli istituti in difficoltà. Si tratta in pratica di una colossale e silenziosa operazione di nazionalizzazione del sistema bancario USA di piccole e medie dimensioni. Tutti questi meccanismi dimostrano che il sistema finanziario è infognato in una colossale posizione su asset tossici che generano perdite non contabilizzabili e che congelano ingenti risorse finanziarie nello scenario di Balance Sheet Recession.
Instabilità sistemica. La fragilità dell’intero sistema finanziario americano e internazionale è il frutto di una costante spinta alla deregulation accompagnata dai tassi a zero per oltre 14 anni che hanno creato una colossale bolla finanziaria su bond, credito, equity e Private Equity, senza considerare criptovalute e venture capital. Deregulation aggressiva e soldi gratis per indebitarsi non sono mai state basi solide su cui costruire un futuro sostenibile e di prosperità. La Fed è tuttora ancorata a parametri di analisi che la rendono arretrata di almeno vent’anni rispetto all’evoluzione del settore finanziario americano. Non esiste alcuna vigilanza sui rischi di sistema. In un mondo dove lo Shadow Banking intermedia il 60% del credito e degli asset finanziari in circolazione, la vigilanza si focalizza prevalentemente sulle banche, ma pure quelle saltano sotto il naso dei regolatori. Se non si riesce a vigilare le banche, che sono sottoposte a vigilanza… figurarsi il resto.
A partire dal 2015 ho iniziato a dubitare fortemente sul modello economico basato sulla “debt driven economy” e sulla sua sostenibilità. Nella primavera del 2015 i mercati hanno iniziato una prima fase di cedimento ma hanno poi recuperato tutte le perdite grazie alle rassicurazioni che le politiche monetarie sarebbero rimaste espansive, questo al fine di garantire l’espansione della domanda finanziata dal debito e non dal reddito reale.
Tuttavia, nel gennaio 2016 è iniziata la prima crisi cinese che ha portato i mercati a cedere pesantemente nel corso dei primi mesi dell’anno. La crisi cinese del 2016 era di fatto il prologo di quello che sta ora accadendo in Cina. Per superare l’evento, le autorità di Pechino hanno deciso di rilanciare l’economia proprio sulle politiche che avevano creato questa crisi: investimenti fissi e real estate.
Nel 2017, nonostante una crescita economica deludente, borse e credito hanno continuato la corsa sostenuti solo dalle politiche monetarie e sempre meno dai fondamentali. I multipli si sono mantenuti costantemente in zona di sopravvalutazione.
Nel corso del 2018 la FED cominciava il tentativo di rimuovere la liquidità dal sistema, ma l’economia evidenziava già segni di evidente rallentamento e il sistema finanziario iniziava a segnalare l’emergere di una crisi sul mercato dei Repo’s, che segnalava stress in arrivo, mentre la curva dei rendimenti puntava ad una inversione recessiva. Il cedimento improvviso del mercato azionario a fine anno, obbligava la Fed ad una repentina retromarcia, ricominciando il Qe e facendo scendere i tassi. Era evidente già allora che il sistema non avrebbe retto alcuna politica restrittiva, dato che il leverage accumulato in anni di Qe dava preoccupanti segnali di stress.
Attualità. L’inflazione ha colto di sorpresa le banche centrali, che consapevoli delle conseguenze di un eventuale aumento dei tassi, hanno cercato di ritardare in tutti modi le politiche restrittive, cercando di convincere il mercato che l’inflazione fosse temporanea. In realtà, il timore era che, dato l’elevato stock di debito speculativo creato dal 2008, potesse avere ora un impatto molto più pronunciato sull’economia, dato che nel frattempo suala dimensione aveva raggiunto cifre incalcolabili, intorno al 30%-35% del Pil americano (dato dalla somma di Hy, Leverage Loans, Cre, Private Equity, Venture Capital, Private Credit e credito al consumo subprime).
Nel 2022 i mercati hanno dunque cominciato un trend ribassista, innescato dalla rimozione del Qe e dall’aumento dei tassi. Per impedire che la politica monetaria esercitasse un reale effetto restrittivo l’amministrazione Biden ha avviato una aggressiva politica fiscale di oltre 14 punti di Pil per sostenere l’economia nel 2022 e nel 2023. Tale politica ha fatto esplodere il rapporto debito PIL, ha attenuato l’effetto restrittivo monetario ma non ha modificato i deboli fondamentali che già erano presenti nel 2018/2019.
Nel frattempo, la rapidità del rialzo dei tassi per rincorrere l’inflazione fuori controllo ha preso totalmente alla sprovvista il sistema finanziario. Le banche sono rimaste ingolfate di posizioni sui titoli di stato e sui Mbs con perdite eclatanti (ad oggi stimate in circa 950 mld), alcune sono fallite, altre hanno un costante bisogno del sostegno finanziario pubblico. Il sistema più al rialzo dei tassi si è rivelato ancora una volta lo Shadow Banking, già in crisi nel 2018 e 2019, che ha iniziato ad evidenziare nuove difficoltà nel corso del 2022 e ora si trova potenzialmente all’epicentro della futura crisi.
Nel frattempo, il credito all’economia ha iniziato a chiudersi a causa della crisi di banche e Shadow Banking, mentre i governi hanno iniziato a manipolare in modo evidente i dati macro per non evidenziare una pericolosa debolezza strutturale del sistema, che essendo sostenuto da un elevato leverage, non può permettersi nessuna recessione. Il dato di fatto è però che l’Europa è in recessione, la Cina è in evidente difficoltà, gli USA stanno finendo gli stimoli fiscali e il quadro geopolitico è sempre meno favorevole, prospettando quindi un evidente rischio di recessione con crisi da debito. La grande, e per certi versi sorprendente, spinta rialzista dei mercati del 2023 rischia di aver prezzato scenari alquanto improbabili, dato che i problemi strutturali che avevamo già nel 2018/2019 si sono amplificati, esattamente come quelli cinesi del 2016, e stanno ora riemergendo pericolosamente.
Mi aspetto quindi una crisi lunga e problematica, innescata dal debito tossico che ingolfa il sistema finanziario e rischia di procurare una Balance Sheet Recession nell’economia mondiale. Tale situazione procurerà una decisa revisione al ribasso dei profitti attesi e un bear market di lungo periodo, dopo 14 anni di trend rialzista sostenuto. I mercati azionari affrontano un rischio di recessione/stagnazione con valutazioni estremamente care rispetto agli standard storici ed esprimono un rischio di caduta del 50%-60% dai livelli attuali. Il ciclo è destinato a cedere per la fine degli stimoli fiscali USA, la restrizione del credito bancario e per la crisi dello Shadow Banking. La restrizione del credito all’economia è sempre compatibile con un successivo bull market sui bond.
L’Oro è sostenuto dal contesto geopolitico, da enormi rischi di credito speculativo latenti nel sistema e dalla impossibilità della Fed di alzare ancora i tassi piu’ di tanto. Il dollaro, attualmente sostenuto dal differenziale dei tassi verso Euro e Yen, è esposto ad una crisi valutaria nel momento in cui la Fed sarà costretta a reintrodurre il Qe per contrastare la Balance Sheet Recession. Le politiche monetarie espansive che saranno eventualmente reintrodotte per contrastare la crisi da debito in arrivo, non avranno lo stesso effetto del 2009-2010, dato che le esigenze di deleverage del sistema privato saranno talmente grandi da compromettere l’efficacia del moltiplicatore monetario.
Mentre si dibatte su scenari di soft landing o hard landing, quello che è certo è che al momento si è entrati in una stagnazione economica globale di lungo periodo, eventuali rimbalzi del ciclo saranno brevi e fragili, mentre la vulnerabilità a ricadute recessive ripetute sarà un rischio persistente. Le strategie macro, dopo un periodo di difficoltà, sono destinate a ritornare interessanti in un contesto economico-finanziario e geopolitico che si preannuncia molto complicato e decisamente instabile per lungo tempo.