TM   Dicembre 2023

Primo gennaio: tassa minima?

L’accordo raggiunto sulla tassazione globale minima per le grandi multinazionali prima ancora di essere applicato rischia di diventare lettera morta. Qual è il problema? Un’analisi di Ignazio Bonoli, economista.

di Ignazio Bonoli

Economista

La notizia è stata confermata con la richiesta di Economiesuisse, ma le voci correvano già da tempo: alcuni fra i maggiori Paesi fra i firmatari dell’accordo sulla tassazione globale minima delle grandi multinazionali non l’applicheranno il 1 gennaio 2024. Tra questi gli Stati Uniti, principali promotori e beneficiari dell’accordo. In una nota scritta, l’Associazione mantello svizzera dell’economia faceva notare i forti dubbi che quanto deciso in sede Ocse possa entrare effettivamente in vigore. Grandi paesi quali Stati Uniti, Cina, India, Brasile o anche Arabia Saudita non hanno, infatti, compiuto nessun passo concreto verso l‘applicazione delle regole decise nel 2021. Anzi, proprio gli Stati Uniti hanno chiesto lo scorso ottobre un’importante eccezione: un gruppo multinazionale che, nel Paese sede paga (sulla carta) un’imposta sul reddito di almeno il 20%, viene esentato da un’eventuale imposizione complementare in altri Paesi, almeno fino al 2026. L’imposta federale sugli utili negli Stati Uniti è del 21%.

La richiesta ha quindi rinforzato la posizione di quei Paesi che non saranno in grado di applicarla dal 2024. Tra questi importanti clienti dell’industria svizzera come Singapore, Emirati Arabi Uniti o Hong Kong. Pronti dal 1 gennaio sarebbero, oltre la Svizzera, Unione Europea, Regno Unito, Australia, Giappone, Corea del Sud e Canada. I tre quarti dei firmatari lo sarebbero solo dopo il 2024.

Il lettore ricorderà che i punti principali dell’accordo sono l’introduzione di una tassa minima del 15% sull’utile d’esercizio delle multinazionali nel Paese sede, mentre l’eventuale differenza potrebbe essere tassata nei Paesi in cui realizza utili per il gruppo. La regola si applica alle imprese che realizzano una cifra d’affari di almeno 750 milioni di euro. Per mettere al riparo da eventuali prelievi d’imposte in Paesi in cui una multinazionale svizzera realizza utili tramite affiliati, il Consiglio federale si è attivato per chiedere alle Camere la modifica dell’articolo 129 della Costituzione federale. Dopo l’approvazione, in sede referendaria, ha visto il 78,5% di favorevoli. 

Gli Stati Uniti sono soliti chiedere solidarietà agli altri, chiedendo poi un trattamento preferenziale. Lo si già è visto nella lotta al segreto bancario, con oasi fiscali che sopravvivono in Delaware e Sud Dakota

Ignazio Bonoli

Economista

Bisogna, infatti, tenere conto del principio che le imposte federali in Svizzera sono fissate nella Costituzione, per cui ogni modifica deve passare attraverso il voto del popolo e dei Cantoni. Non bisogna poi dimenticare che i Cantoni godono di parecchia libertà nel decidere le loro imposte. Va anche ricordato che, finora, 18 cantoni e semicantoni applicano l’imposta sugli utili aziendali con un tasso inferire al 15%, che poi varia a seconda dei moltiplicatori comunali. In Ticino il tasso medio è già vicino al 15%.

Per una tassazione univoca a livello federale sono, quindi, sorti alcuni problemi che la Confederazione ha risolto prelevando un’imposta unica e ridistribuendo poi il gettito nella misura del 75% ai Cantoni e del 25% alla Confederazione stessa. La nuova forma d’imposta sull’utile interessa, in Svizzera, circa 200 multinazionali, ma probabilmente anche circa 2mila Gruppi con sede all’estero. Da notare che quasi mai in Svizzera si è riusciti a modificare la Costituzione federale in tempi così brevi e con un tasso di accettazione popolare così elevato. Va detto che Ueli Maurer, di ritorno dall’Ocse, aveva avvertito subito il Consiglio della necessità della Svizzera, Paese sede di parecchie multinazionali, di adeguarsi subito alla nuova situazione.

Oggi le si potrebbe però rimproverare di voler essere sempre il “primo della classe” e talvolta di subirne le conseguenze. Onestamente però il rimprovero non è giustificato e potrebbe semmai essere rivolto agli Stati Uniti che chiedono solidarietà agli altri, ma poi non la applicano per loro stessi, chiedendo un trattamento preferenziale. Lo si già è visto nella lotta al segreto bancario, con oasi fiscali che sopravvivono in Delaware e Sud Dakota.

Per la Svizzera si è trattato, in sostanza, di impedire che Paesi terzi possano servirsi a piacere dalle imposte da far pagare alle multinazionali, mentre ora proprio gli americani, che hanno chiesto la regola, siano i primi a chiedere l’eccezione. Oltretutto, come detto, a causa della struttura federalista, è difficile applicare una legge centrale che comunque potrebbe garantire un gettito fiscale tra 1 e 2,5 miliardi di franchi, sopprimendo in parte anche la concorrenza fiscale fra i cantoni. Finora (inizio dicembre) il Consiglio federale non ha deciso se applicare la legge dal 1 gennaio o rinviarla, in attesa che i Paesi Ocse decidano una data comune.