I diritti di opposizione e di ricorso costituiscono un fondamento essenziale di ogni sistema giuridico. Non solo permettono la tutela dei diritti individuali delle persone toccate, che possono così adire un’autorità per chiedere l’affermazione o la difesa di un loro personale bene giuridico. Ma concorrono a migliorare la qualità stessa delle decisioni delle autorità esecutive e giudiziarie per almeno due ordini di motivi: da un lato possono attirare l’attenzione su aspetti rilevanti, che rischiano altrimenti di essere sottovalutati o addirittura ignorati dall’ente pubblico chiamato a prendere delle decisioni; dall’altro permettono di correggere gli errori giudiziari, chiedendo che un’autorità superiore riesamini e, se del caso, cassi le decisioni sbagliate.
Spesso si discute sull’opportunità di ridurre o addirittura abolire i diritti di opposizione e ricorso di privati e associazioni, allorquando sono in gioco interessi pubblici preminenti. Importanti progetti epocali, di grande valenza economica o strategica, devono passare sotto le forche caudine di opposizioni e ricorsi in vari gradi di giudizio, che ne rallentano (quando addirittura non ne abortiscono) iter e possibilità di realizzazione in tempi ragionevoli. Pensiamo ad esempio al calvario del progetto Tram-treno, il cui lento e singhiozzante iter appare ancor più doloroso se si pon mente al traffico sempre più congestionato dell’agglomerato luganese, che sembra non avere altre speranze di sostanziale miglioramento se non con l’avvento di quel progetto di mobilità pubblica su binari. O alla copertura della trincea ferroviaria di Massagno, la cui realizzazione (con il relativo parco pubblico e insediamento della Supsi) è impedita da anni a causa di opposizioni e ricorsi di privati, che legittimamente fanno valere loro interessi personali di (sacrosanta) tutela della proprietà privata, però contrapposti agli innegabili eminenti interessi pubblici in gioco.
Ma non sono solo i progetti pubblici a subire la dura legge delle lungaggini procedurali a seguito di opposizioni e ricorsi. Spesso e volentieri anche le procedure edilizie dei privati devono fare i conti con opposizioni di vicini, che non sempre mirano a genuinamente tutelare propri legittimi interessi. Non è inusuale essere confrontati in opposizioni frutto di rapporti conflittuali tra vicini, magari in reazione a un torto che si ritiene di avere subito, ma che nulla o poco hanno a che vedere con la domanda edilizia.
Nel caso si fosse confrontati con opposizioni o ricorsi manifestamente inammissibili o defatigatori, la Legge edilizia (art. 22) rinvia l’istante a rivolgersi ai tribunali civili, circostanza questa che si concretizza raramente. Ben più frequente è invece la fattispecie di opposizioni (più o meno fondate) ritirate dopo una negoziazione e un conseguente accordo tra istante e opponente, che prevede a favore di quest’ultimo il pagamento di un importo in denaro.
Questi accordi sono in principio leciti. Permettono di appianare divergenze che altrimenti dovrebbero essere risolte nelle aule giudiziarie, con costi non indifferenti e, soprattutto, con tempi spesso incompatibili con le esigenze di chi vuole costruire o riattare il proprio bene immobile.Ma proprio l’esigenza di celerità di chi vuole costruire rischia di costituire una formidabile e temibile arma di pressione dell’opponente, che potrebbe approfittarne per avanzare pretese economiche ingiustificate e sproporzionate. Con quali rischi? Se l’opponente che rivendica un adeguato indennizzo per il danno che gli è provocato dal progetto edilizio o dalla sua esecuzione, non commette alcun reato; colui che invece ne approfitta per procacciarsi un indebito profitto si deve confrontare con l’ipotesi di estorsione.
La giurisprudenza in tale ambito è invero molto limitata (in Ticino i casi arrivati davanti a un giudice penale si contano sulle dita di una mano, senza alcuna condanna). Il Tribunale federale ha manifestato estrema prudenza nel ritenere che un’opposizione e il ritardo da essa causato nell’ottenimento della licenza edilizia possano essere ritenuti un grave danno, tale da costituire una coercizione penalmente rilevante. L’aspetto soggettivo gioca poi un ruolo importante: l’autore di un’estorsione deve essere consapevole che la vittima paga solo per evitare i danni che le deriverebbero dall’opposizione e non perché convinta del buon diritto della controparte. In altre parole, non vi è reato se l’autore ritiene di perseguire un risultato (nel caso l’indennizzo in denaro), al quale, a torto o a ragione, reputa di avere in qualche modo diritto.
A prescindere dalla punibilità o legittimità di questi accordi, l’auspicio è che il diritto di far capo ai rimedi giuridici sia sempre esercitato con buon senso e in buona fede, specie laddove vi si contrappongano interessi preminenti, privati o pubblici. Altrimenti il rischio che il legislatore sia indotto a limitarli, con un danno al nostro sistema democratico, è concreto.
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