Affrontare i problemi dell’abitare e dell’ambiente per trovare un equilibrio capace di rispondere alle sfide delle società odierne: un compito che sollecita l’architettura tanto da una prospettiva estetica, quanto etica ed ecologica. Una progettualità in grado, con sensibilità e processi innovativi, di reinterpretare il rapporto fra soggetto e spazio, in una nuova sintesi fra tecnica, cultura e natura. Muovendo alla ricerca dei talenti emergenti sulla scena internazionale, è spesso nei contesti più svantaggiati che lo Swiss Architecture Award li ha trovati.
«Attraverso il lavoro dei tanti architetti vincitori e partecipanti alle nove edizioni del premio abbiamo scoperto come all’interno della complessità del vivere odierno siano spesso proprio i paesi più poveri a offrire le indicazioni più ricche. Quelli costretti per necessità a operare con una sostenibilità non soltanto nominale, ma reale. Da questo punto di vista possiamo dire che lo Swiss Architecture Award sia un riconoscimento ‘profetico’, nel senso che va a insignire non le grandi forme opulente o le ricerche un po’ cerebrali a cui ci ha abituato la società dei consumi e del progresso tecnologico sfrenato, ma progetti che muovendo dalla necessità umana del vivere collettivo sviluppano soluzioni esemplari. Un perfetto corollario dello spirito dell’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana, che sin dall’inizio ha scelto di concentrarsi sulle ragioni fondanti del fare architettonico», osserva Mario Botta, presidente Fondazione Teatro dell’architettura, promotrice del premio.

L’America latina, che già era stata preziosa fonte di ispirazione con il paraguaiano Solano Benitez, incoronato dalla prima edizione del 2007-08, torna a esserlo con il collettivo ecuadoriano Al Borde, vincitore della nona, la cui premiazione si è tenuta l’8 maggio. Il loro nome significa “al limite” perché, come loro stessi dichiarano, «Siamo specialisti nel fare ciò che non sappiamo fare», che non vuole essere un’ammissione di incompetenza, ma l’attitudine di chi operando fuori dalla sua confort zone supera i propri limiti per scoprire nuove opzioni. Nulla è acquisito: ogni progetto diventa l’occasione per calarsi nelle specificità di un diverso contesto e delle sue dinamiche, interpretando le esigenze della committenza e le caratteristiche del luogo con un approccio partecipativo, ogniqualvolta possibile utilizzando tecniche, materiali e maestranze locali, contribuendo così anche alla redistribuzione delle risorse nelle comunità coinvolte.
Ad esempio, la Biblioteca comunitaria Yuyarina Pacha (2023-24) – fra i tre progetti che ogni partecipante è tenuto a presentare per concorrere – riprende il valore pragmatico delle pratiche ancestrali locali, adattandole alle esigenze contemporanee: la struttura principale è stata realizzata in chonta, una specie di palma dell’Amazzonia, alla quale per generazioni gli abitanti della regione si sono affidati per le loro costruzioni, poiché la struttura può essere ancorata direttamente al terreno senza la necessità di impermeabilizzarla. «Ma in concorso abbiamo anche portato l’esempio di un progetto dove invece ci siamo trovati a costruire un’installazione nella sede della Triennale di Architettura di Sharjah, negli Emirati Arabi Uniti, un contesto in cui tutto è a portata di mano: cosa significa essere locali in un caso del genere? Pensare in termini di economia degli sforzi ci consente di ricercare la massima efficienza, trasformando le materie prime in elementi architettonici e, così riducendo al minimo l’energia utilizzata nella produzione, nella trasformazione e nel trasporto dei materiali. Ecco che quando abbiamo scoperto che l’Autorità locale per l’elettricità, l’acqua e il gas aveva accumulato un centinaio di pali di legno dismessi dalla sua rete, ce ne siamo serviti per la struttura del nostro Raw Threshold Pavillon, usando poi stuoie di palma, ampiamente disponibili in loco, per creare l’ombra. Due materiali che quando verrà smontata potranno trovare un altro impiego e, infine, degradandosi chiuderanno il ciclo della loro vita in armonia con la natura», ha spiegato David Barragán.
Presenti tutti insieme come di rado accade all’estero, i quattro membri fondatori – al suo fianco Pascual Gangotena, Maríaluisa Borja ed Esteban Benavides, che a breve saranno anche alla Biennale di Venezia – si sono dimostrati entusiasti. Già il solo fatto di entrare nella rosa dei trenta finalisti rappresenta un grande riconoscimento, dato che al premio non ci si candida ma si viene selezionati da un comitato di advisor di grande rilevanza internazionale. Sono loro a scrutare quanto si muove – si costruisce – all’orizzonte, portando con cadenza biennale a Mendrisio le espressioni più interessanti dell’architettura contemporanea emergente (sotto i 50 anni) da tutto il mondo, 17 paesi quest’anno.
Un premio che orgogliosamente la Fondazione Teatro dell’architettura mantiene in Ticino – organizzando qui la cerimonia e la mostra che mette il visitatore davanti ai tre progetti presentati da ogni partecipante (fino al 5 ottobre) – ma che vuole farsi garante di una sensibilità e di una qualità svizzere nell’approccio alla disciplina riunendo nella sua prestigiosa giuria, presieduta da Mario Botta, anche i rappresentanti dei Politecnici federali, le altre due scuole di riferimento nazionali per l’architettura. Una sinergia resa possibile dal sostegno di Charles Kleiber, già Segretario di Stato per l’Educazione e la Ricerca e figura chiave nello sviluppo del sistema accademico svizzero, scomparso lo scorso 14 gennaio.

«Insieme al generoso compenso di 100mila franchi, il vincitore riceve anche l’invito a condurre un atelier progettuale con gli studenti dell’Accademia, che già più volte ha dato poi origine a incarichi più lunghi, pensiamo a Solano Benitez, Diébédo Francis Kéré, Bijoy Jain, Junya Ishigami o Elisa Valero. Un interscambio teorico e culturale che costituisce una linfa molto importante per gli studenti, ai quali vogliamo portare il meglio delle nuove tendenze che, sotto l’apparentemente semplice etichetta di ‘sostenibilità’, toccano in realtà le ragioni più profonde – intellettuali, culturali e spirituali – che sorreggono la nostra professione», sottolinea Mario Botta.
Quest’anno il premio include anche un’opera dell’artista bleniese Flavio Paolucci: L’uomo crea confini. La natura cammina dentro e fuori dai confini (2025). Un ulteriore gesto con cui la Fondazione intende valorizzare il legame con il Ticino. Legame ribadito anche dal sostegno di BancaStato, per la prima volta sponsor principale del premio e già confermata per le due successive edizioni. «Il nostro tradizionale legame con il territorio non si dimostra ‘unicamente’ con l’attività bancaria, ma anche, tra i molteplici aspetti, con una fitta politica di sostegno a realtà, progetti ed eventi che vi creano ricchezza culturale. Fra questi, il BancaStato Swiss Architectural Award sottolinea anche la nostra sensibilità verso la sostenibilità, del cui sviluppo BancaStato ambisce a diventare un punto di riferimento per il territorio, nonché la nostra attenzione alle giovani generazioni e ai nuovi approcci che portano con sé. Inoltre questo premio riflette fortemente i valori di qualità, impegno e visione che il nostro istituto condivide», evidenzia Nicola Guscetti, Membro della Direzione generale di BancaStato e responsabile dell’Area Private Banking e Gpe.
Pronto a festeggiare nel 2027 la decima edizione, il BancaStato Swiss Architectural Award si pone come un osservatorio privilegiato dei fermenti dell’architettura contemporanea nelle sue espressioni più innovative e promettenti, portando da ogni angolo del pianeta a Mendrisio i protagonisti di questa evoluzione della disciplina: esempi ‘profetici’, come Al Borde, di nuove pratiche e visioni, in grado di contribuire a migliorare la qualità dei progetti architettonici e dell’umano vivere con attenzione alla responsabilità ambientale e sociale, per costruire un cambiamento positivo e duraturo.
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