TM   Aprile 2024

Rinascimentali digitali

A colloquio con il trio del collettivo francese Obvious, pioniere dell’arte generativa, che ha saputo diventarne una delle voci più autorevoli, sperimentandone le possibilità e indagando anche i quesiti filosofici e sociali che il ruolo degli algoritmi solleva in campo creativo.

di Susanna Cattaneo

Giornalista

Obivoius team
Da sinistra, Pierre Fautrel, Gauthier Vernier e Hugo Caselles-Dupré, le tre menti del collettivo francese Obvious. © Obvious.

Il 25 ottobre 2018 il mondo dell’arte entrava in fibrillazione per la prima vendita all’asta di un’opera creata con l’Intelligenza artificiale: stimato tra 7 e 10mila dollari, il Ritratto di Edmond de Belamy del collettivo francese Obvious veniva battuto da Christie’s New York per 432.500 dollari. Non un fuoco di paglia. I tre amici dai banchi di scuola – Pierre Fautrel e Gauthier Vernier, studi in economia e commercio, e Hugo Caselles-Dupré, mente scientifica del gruppo con un PhD in machine learning – allora appena usciti dall’università, da poco ci sono tornati: grazie alla serietà del lavoro sviluppato fra progetti originali, collaborazioni con grandi brand e prestigiose istituzioni, lo scorso settembre hanno inaugurato il loro laboratorio alla Sorbona, in collaborazione con Matthieu Cord, professore e ricercatore in computer vision, Ia e deep learning. Sostenuto dall’Agence Nationale de la Recherche garantirà finanziamenti per 1 milione di euro nei prossimi quattro anni.

Quando avete iniziato la vostra avventura, dovevano ancora vedere la luce le applicazioni che hanno democratizzato la generazione di immagini tramite Ia.
Sì, nel 2018 cominciavano a nascere molte start up di Ia, ma le tecnologie a disposizione erano ancora instabili e le interfacce molto lontane da un’odierna ChatGpt o Midjourney, facilmente accessibili a chiunque. Si era ancora in una fase esplorativa e occorrevano competenze tecniche per padroneggiare gli strumenti ai quali, grazie a Hugo, abbiamo avuto accesso.
La scoperta delle Gan, le reti antagoniste avversarie che grazie a un’architettura di deep learning sono in grado di generare immagini a partire da un dataset di allenamento, ci ha provocato un duplice choc: da appassionati di nuove tecnologie la possibilità di creare immagini sintetiche ex nihilo ci ha entusiasmato, ma al contempo, essendo amanti dell’arte, dalla pittura al cinema alla letteratura, ci sono state subito evidenti le implicazioni filosofiche di un’arte creata con gli algoritmi. Domande che abbiamo sentito la necessità di condividere con un pubblico più ampio, senza ancora sapere quanto interesse avrebbero raccolto.

ll ritratto di Edmond de Belamy
Obvious, “ll ritratto di Edmond de Belamy”: è stata la prima opera creata con l’Ai battuta all’asta, nel 2018, per oltre 430mila dollari. © Obvious

Quando avete capito di aver creato la vostra prima opera d’arte?
A essere sinceri non è tanto il risultato plastico a confermarlo, ma la volontà che ci sta dietro, il percorso intellettuale che precede la creazione e le molte tappe tecniche del processo. Collocarci in una casella è difficile: lavoriamo con le nuove tecnologie, ma possiamo essere visti tanto come artisti digitali quanto concettuali.

Come avete vissuto il successo e poi le polemiche seguite alla vostra prima serie?
L’eco mediatica ci ha complementi oltrepassati, ci sembrava di usurpare un successo immeritato. Ma abbiamo capito in fretta che si trattava di un fenomeno destinato a sgonfiarsi. D’altro canto, la maggiore disponibilità finanziaria ci ha dato la libertà di sviluppare progetti interessanti già a partire dalla nostra seconda serie, perché limitarsi a produrre immagini non aveva senso per noi. Se con la prima serie, la Famiglia di Belamy, ci eravamo limitati a puntare su uno dei generi più gettonati partendo da un database opensource di 15mila ritratti dal XIV al XX secolo per ottenere i nostri undici dipinti fittizi, stampati su tela e incorniciati in modo tutto sommato dozzinale, con la seconda serie invece abbiamo fatto un salto di livello.

Punto di partenza, gli Ukiyo-e, matrici di legno per stampe artistiche del periodo Edo, proprio prima dell’arrivo dell’elettricità che ha portato il Giappone nella modernità, sollevando paure e resistenze come oggi l’Ia. Per produrre due fra le ventidue opere risultanti, siamo ricorsi anche al Moku-Hanga, una tecnica tradizionale, in collaborazione con il laboratorio specializzato Uki-ga. Nelle serie successive ci siamo poi chinati su grandi altri soggetti: le pitture rupestri delle Grotte di Lascaux, le sculture greco-romane e le sette meraviglie del mondo antico.

Ma a chi va la paternità delle opere, che voi firmate con l’algoritmo utilizzato?
L’Ia non è né una persona fisica, né giuridica: la paternità dell’opera spetta all’artista che utilizza questo strumento per creare. Più complessa la questione dei diritti d’autore delle immagini utilizzate per i dataset: molto dipende dal tipo di algoritmo utilizzato che si tratti di Gan, generatori image-to-image, text-to-image e text-to-video, ma anche dallo sviluppatore, che sia l’artista stesso, uno strumento opensource o Midjourney. Politiche eccessivamente restrittive rischiano però di privare l’umanità di questi strumenti. È un dibattito intellettuale e giuridico estremamente interessante e contradditorio, complicato ulteriormente dal fatto che il diritto della proprietà intellettuale è regolamentato a livello nazionale.

Le vostre opere sono state esposte in prestigiosi musei, tra cui l’Ermitage di San Pietroburgo, il Museo Nazionale della Cina e la Haus der Kunst di Monaco. Ma non disdegnate collaborare anche con grandi brand.
Ci ispiriamo al modello rinascimentale, dove i committenti sfidavano gli artisti a riflettere su nuovi approcci e tecniche, per questo abbiamo scelto l’uomo vitruviano nel nostro logo. I brand sono gli attuali mecenati e queste partnership ci permettono di toccare pubblici ai quali non arriveremmo e vivere esperienze incredibili: abbiamo lavorato con la casa di vetture sportive Alpine, con il marchio di bici Lapierre, con Nike e persino con l’Opéra di Parigi, per la sua prima collezione Nft. Proprio adesso siamo a Milano, a Palazzo Reale per la grande mostra su Dolce&Gabbana il cui spirito abbiamo catturato con una nostra opera d’arte generativa audio-sincronizzata Eco Eterno.

Dagli inizi siete anche pionieri degli Nft.
Nel 2018 SuperRare, oggi fra i principali marketplace per vendere e acquistare digital art in Nft, ci ha invitati ed essendo già da anni interessati alla tecnologia blockchain, ne abbiamo subito compreso l’interesse – primi in Francia – per assicurare l’unicità delle opere e il loro valore. Nel 2021 quando l’Nft di Beeple è stata battuto a 69 milioni di dollari eravamo ormai dei veterani.

Quali opportunità si aprono ora con l’inaugurazione dell’Obvious Research alla Sorbona?
Proprio come vuole il nostro approccio rinascimentale, questo laboratorio si rivolge sia alla ricerca artistica che a quella scientifica. Da una parte intendiamo sviluppare nuovi strumenti opensource per gli artisti; dall’altra vogliamo realizzare ricerche all’avanguardia in Ia generativa. Insieme al Paris Brain Institute stiamo lavorando sul transfer dalle onde cerebrali alle immagini, utilizzando le risonanze magnetiche per ricostruire un’immagine visiva a partire dalle quelle mentali. Pensieri ed emozioni sono così messi al servizio della creazione artistica. Un’idea al centro anche della nostra sesta serie che sveleremo in autunno a Parigi, prima di partire in tournée.

Marchio di vetture sportive Alpine e
I brand sono gli attuali mecenati per creativi come Obvious, che ha collaborato già con la casa di vetture sportive Alpine, il marchio di bici Lapierre, Nike e persino l’Opéra di Parigi. Esperienze che consentono di toccare pubblici cui non si arriverebbe altrimenti e di vivere esperienze memorabili. © Obvious

Instagram: @obvious_art

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