
Seppur periferico rispetto al baricentro dell’industria orologiera svizzera, anche il Ticino gioca la sua parte a servizio del settore, favorito dalla sua eccellenza nella meccanica di precisione come dalla vocazione logistica nel suo Dna. Tanto da potersi definire una “multinazionale dell’orologeria diffusa sul territorio”. I numeri ci sono: circa 3.000 addetti e una quarantina di aziende specifiche, che contribuiscono al Pil cantonale nell’ordine dell’1,5%, realizzando 8 milioni di pezzi l’anno.
«In particolare, il Ticino è noto per le fasi di finalizzazione del prodotto, cruciale per poter garantire gli standard cui è legata l’immagine dell’orologio Swiss made, quindi l’assemblaggio, il controllo qualità e la distribuzione, ma ci sono anche realtà che specializzate nella progettazione e produzione di componenti del meccanismo o nella fabbricazione e lavorazione di casse, bracciali, fibbie e quadranti, ad esempio con trattamenti superficiali di indurimento o particolari colorazioni nel finishing, oltre a contare sul nostro territorio aziende leader mondiali nella raffinazione e lavorazione dei metalli preziosi, un segmento che nel nostro settore, pur in un anno di leggera contrazione dell’export come lo scorso, ha visto consolidarsi la domanda, orientata ad asset di sicuro valore», osserva Alessandro Recalcati, co-presidente dell’Associazione ticinese delle industrie orologiere (ATIO). Proprio la volontà di fare massa critica e rappresentare gli interessi della filiera regionale ha portato una decina di anni fa all’istituzione di ATIO, confrontandosi in prima battuta con la sfida di dar coesione a un settore frammentato, fatto soprattutto di piccole e microimprese poco interessate a far rete, spesso realtà di famiglia attive già da diverse generazioni, abituate a lavorare con clienti fuori Cantone e gelose del loro savoir-faire esclusivo.
L’intervista si è tenuta a ridosso della doccia fredda dei dazi. Le preoccupazioni non mancano: gli Stati Uniti sono il primo mercato di esportazione per il settore e anche le Maison e gli indipendenti haut de gamme, meno esposti con i loro prodotti di extralusso al conto della serva, sarebbero significativamente colpiti da dazi nell’ordine del 31%. «È ancora troppo presto per capire quali saranno gli sviluppi e se non si possa arrivare a un accordo per sospendere o almeno mitigare i dazi. È però chiaro che, qualora entrassero in vigore, ancora una volta la maggior parte delle aziende ticinesi, come anello della supply chain dei brand a cui forniscono i loro servizi, si troveranno a doversi adattare ai loro cambiamenti strategici senza possibilità di pianificazione, come già in passato sia nei momenti positivi, per ricorrere la domanda come con il boom post pandemia, sia frenando nelle fasi di riassestamento, come lo scorso anno con il netto calo di due altre destinazioni chiave – rispettivamente secondo e terzo mercato di export – come Cina e Hong Kong, la cui esplosione aveva fatto la fortuna del settore dopo la crisi finanziaria del 2008», osserva Alessandro Recalcati.
Tuttavia non manca qualche sprazzo di luce: i mercati mediorientali di Arabia Saudita, Dubai e Qatar, ma anche Giappone ed Europa hanno dato ottimi segnali negli ultimi anni. E un nuovo driver potrebbe essere l’India, con cui peraltro la Svizzera ha siglato l’anno scorso uno storico accordo di libero scambio: «Tutti la vedono come la Cina del futuro e sicuramente anche per l’orologiero il potenziale è enorme: pur essendo ancora a ventesimo rango in termini di export, la crescita degli ultimi due anni è stata veramente impressionante», osserva il co-presidente di Atio.
D’altronde un primo momento sfidante il comparto orologiero ticinese già lo aveva vissuto nel 2017, con l’inasprimento dei parametri della legislazione sulla swissness, secondo cui almeno il 60% dei costi di fabbricazione del prodotto devono essere realizzati su suolo elvetico. Se la misura è stata salutata con entusiasmo dai brand più blasonati e dagli indipendenti con serie limitate da collezione, ha però avuto effetti strutturali sul settore nel suo complesso, con una crescita dell’export in valore ma un netto calo del numero di unità prodotte. «Molti dei nomi del fashion o dei marchi di fascia media e bassa per cui tradizionalmente lavoravano le aziende del nostro territorio non hanno più ritenuto interessante rimanere in Svizzera, determinando un netto calo delle richieste di assemblaggio, quality control e tutte le attività legate ai movimenti al quarzo per cui il Ticino rappresenta uno dei principali produttori», commenta Alessandro Recalcati. Un cambiamento che ha spinto l’associazione di categoria cantonale a puntare sulla formazione per poter garantire competenze uniche, non replicabili da altri, in un ambito in cui l’artigianilità rimane ancora essenziale.
«Alla creazione di ATIO, una decina di anni fa è subito seguita quella del suo Centro di Formazione Orologiero (Cfo), oggi attrezzato anche per poter dare supporto alle aziende del comparto qualora avessero bisogno di una piccola unità produttiva autonoma, oltre che per ospitare i corsi che organizziamo con cadenza mensile, coprendo un’ampia gamma di argomenti, sempre una buona partecipazione. In particolare, puntiamo ora a concentrarci sulla parte ingegneristica, di concept dell’orologio, e sulla costruzione stessa, con competenze manuali molto specifiche difficili da reperire, ad esempio nel polishing, nella realizzazione e nell’assemblaggio di microcomponenti per i movimenti meccanici», sottolinea il co-presidente di ATIO.
La difficoltà è data però anche dalla necessità di competere con l’attrattività della Svizzera culla dell’alta orologeria, dove è possibile lavorare direttamente per le Maison, anche senza voler citare la concorrenzialità dei salari di Oltregottardo. Soprattutto, difficile coinvolgere i giovani. Se già si considera che a livello nazionale, secondo le stime, dovrebbero presto mancare quattromila addetti nei profili altamente qualificati, si comprende la portata della sfida e la necessità di attingere anche dal bacino oltre frontiera, ora però scoraggiato dalla nuova imposizione. Dalla politica, l’associazione di categoria cantonale auspicherebbe misure mirate che permettano di accedere a risorse per l’innovazione, imprescindibile per essere competitivi, ma che richiede investimenti altrimenti difficili da sostenere per la maggior parte delle realtà di piccole dimensioni attive a livello locale, malgrado non manchi qualche grande nome, come Swatch Group Assembly, insediato a Genestrerio e Stabio.
Collezioni di alta moda

I talenti sono fondamentali anche per la Luxury Division di Timex Group, della quale Alessandro Recalcati è Managing Director Supply Chain. Fra i maggiori produttori al mondo di orologi a livello di volumi, la multinazionale statunitense è arrivata in Ticino quasi vent’anni fa, a seguito di un accordo di licenza con Versace. Successivamente si è aggiunta la licenza per il design, la produzione e la distribuzione di orologi per Salvatore Ferragamo e, dal 2022, anche per Philipp Plein. Una realtà molto dinamica e che, in controtendenza rispetto al territorio, ha beneficiato enormemente delle nuove regolamentazioni sulla swissness. «Dal 2015 abbiamo iniziato a internalizzare tutta la produzione: abbiamo un sito di 2.200 mq dove lavorano una cinquantina di collaboratori sui 75 che impieghiamo in Ticino. Per i nostri marchi in licenza gestiamo l’intero percorso, che va dalla creazione con il disegno tecnico, la prototipia e l’engineering, alla produzione e le diverse lavorazioni, l’assemblaggio, il controllo qualità e il packaging, fino al marketing e alla distribuzione, che copre oltre 90 Paesi e diversi canali: boutique monomarca e rivenditori indipendenti, negozi duty free ed e-commerce», illustra Alessandro Recalcati.
Dai brand del fashion nostri clienti ci viene riconosciuta l’unicità del prodotto Swiss made e il know-how tecnologico della tradizione orologiera, tanto che sono disposti a pagare un premium price per assicurarsi quel valore aggiunto e quella garanzia di qualità ed esclusività che vogliono esprimere con le loro collezioni.
Negli anni è stata affinata sempre più la sensibilità nell’interpretazione del Dna distintivo di un brand. «In perfetta sintonia con le sue linee strategiche e la sua immagine, sviluppiamo i progetti che, passo dopo passo, sottoponiamo al loro creative director. Dai nostri clienti ci viene riconosciuta l’unicità del prodotto Swiss made e il know-how tecnologico della tradizione orologiera, tanto che sono disposti a pagare un premium price per assicurarsi quel valore aggiunto e quella garanzia di qualità ed esclusività che vogliono esprimere con le loro collezioni. Questo, insieme al sostegno di Timex Group, ci ha permesso a differenza di piccole realtà indipendenti di investire in innovazione e crescere a doppia cifra nell’ultimo decennio», afferma Alessandro Recalcati.

Il fatto di lavorare pressoché esclusivamente per i propri brand in licenza consente inoltre un buon margine di pianificazione, anticipando le dinamiche piuttosto che subirle. «Un altro nostro punto di forza è il fatto di non avere ‘un’ mercato di riferimento, ma il mondo intero, con la possibilità di ribilanciare gli equilibri con i nostri diversi marchi. La Cina non è mai stata una delle principali destinazioni, d’altra parte il mercato americano, storicamente forte per nostri marchi come Versace, sta continuando ad avere un trend favorevole. L’area mediorientale in generale è un altro mercato importante, mentre l’Europa, che essendo più legata alla tradizione dell’alta orologeria in passato era stata meno ricettiva allo Swiss made fashion, ultimamente è cresciuta molto bene, in particolare Italia, Spagna e Turchia, quest’ultima fra i Paesi in maggiore crescita per l’orologeria», conclude Alessandro Recalcati, che anche come Managing Director Supply Chain della Luxury division di un grande gruppo statunitense, oltre che come co-presidente di ATIO, ha le sue ragioni per interrogarsi sulle future relazioni commerciali fra le ‘sue’ due patrie. Risposte che – come sempre – solo il tempo saprà dare.
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