
Caro lettore,
Nel corso delle ultime settimane si sono verificate evoluzioni forse (?) sorprendenti nei più disparati ambiti; le incertezze che nell’era Biden pur si erano fatte sentire, nel secondo impero Trump appaiono come simpatici se non piacevoli ricordi. Sotto molti aspetti, in tal senso, la svolta impressa da Washington sta avendo un impatto altrettanto dirompente dell’emergenza pandemica, se non peggio, stravolgendo equilibri durati decenni, e che nel tempo si era finito con il dar per scontati.
Seppur non del tutto condivisibili, le istanze sollevate Oltreoceano risultano comprensibili, ed entro certi limiti prevedibili. Come in passato il problema sta nelle modalità con cui vengono comunicate, con modalità molto poco ‘presidenziali’. Eppure, se questa è la realtà, e tale è destinata a rimanere, è inutile inseguire utopie, ma ragionare sui problemi, destreggiandosi in quelli che sembra sempre più probabile possano rivelarsi veri e propri burocratici labirinti europei. Se c’è la volontà, le soluzioni si trovano e le regole si scrivono; invertire l’ordine sembra tutt’altro che immediato, logico e utile.
L’Europa si trova finalmente confrontata a sé stessa (e per questo bisogna essere profondamente grati a Trump) e, come in queste pagine più volte in un recente e remoto passato si è scritto, la Difesa è solo cronologicamente l’ultima delle emergenze.
A cambiare sono i paradigmi sociali ed economici, gli equilibri industriali, l’adozione delle tecnologie, le logiche politiche, oltre che i popoli. In questo la Svizzera non è un’eccezione, in qualità di coacervo di culture, Paesi e modi di pensare diversi, ma profondamente interconnessi con il mondo.
L’evoluzione degli equilibri del mondo del lavoro, cui è dedicata questa edizione, sono uno spaccato di come, specie in Europa, realtà economica e sociale stiano percorrendo sentieri tra loro antitetici, nella forse vana speranza che presto o tardi un redde rationem si palesi.
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