Trasfigurata, smaterializzata, digitalizzata, o anche soltanto non più analogica o troppo tangibile. È quello che la finanza sono ormai decenni che cerca di fare, dopo il suo ingenierizzarsi, ed è anche la strada che dopo i primi Duemila anche le economie avanzate avrebbero avuto l’ambizione di percorrere. Eppure, il Covid prima, la geopolitica poi, con lo sprone dell’inflazione derivante, hanno contribuito in maniera determinante nel riportare all’attenzione del dibattito pubblico un piccolo non trascurabile dettaglio: il sottostante.
Per quanto tutto possa ormai sembrare etereo, trascendente la dimensione materiale e spaziale, la realtà non è mai così semplice, e certo non come sembra. Ecco quindi che con la chiusura dei porti cinesi l’intera logistica globale è entrata in affanno, ecco che con il venir meno delle materie prime asiatiche l’inflazione (o come definirla) è tornata a correre. L’economia è materie prime, che non possono essere stampate dalle Banche Centrali.
«Per troppo tempo si è inseguita un’utopia, tutta occidentale e incoraggiata dalla Politica, per cui ogni Paese potesse specializzarsi in un unico ambito, delocalizzando o vendendo tutto il resto. Lo smantellamento del tessuto produttivo e manifatturiero europeo era iniziato così ormai diversi anni fa con le più svariate motivazioni, a partire dall’ambientale, nella convinzione che non esistessero alternative. Dieci anni dopo, a opera quasi completata, ci si rende conto che forse un po’ d’industria pesante potrebbe fare comodo, anche in Europa. Peccato non vi siano più gli imprenditori, le condizioni per operare, il capitale umano… gli ingredienti necessari. C’è forse ancora il margine per difendere le posizioni nel manifatturiero e nell’industria di precisione, pur fronteggiando una Cina divenuta temibile», esordisce così Paolo Kauffmann, Ceo e fondatore di Matherika Group.
Corsi e ricorsi storici, rispetto a un’epoca globalizzata all’estremo e all’insegna dell’ottimismo, che solo vent’anni dopo ha un sapore quasi medioevale. Ma una volta deciso, si può tornare indietro? «Alla base di moltissimi problemi ci sono spiacevoli equivoci, ignoranza della materia trattata, ideologismi o scelte irrazionali di puro istinto. Per molti anni si è voluta far passare l’idea che l’industria fosse il male, in quanto inquinante, sporca, arretrata e povera, come se tutto si fosse fermato ai primi del Novecento. La Cina vi ha invece investito, gli italiani hanno fornito il know-how, e oggi dispone di acciaierie sicure, tecnologicamente avanzatissime, competitive; ma soprattutto dimostra che produrre in maniera ambientalmente sostanibile è possibile. Alla base di tutto c’è sempre l’industria, e dunque le materie prime, si tratta solo di accettarlo, concordando sul chi, non sul ‘se’, debba fare che cosa», prosegue il Ceo.

Come tutte le storie, inizia però da molto lontano, in questo caso non sorprendentemente a Londra, crogiolo di metalli e leghe dal 1877, anno di fondazione della London Metal Market and Exchange Company, che vede nel London Metal Exchange a tutt’oggi il suo Olimpo. «Al termine degli studi in economia, mi sono formato presso un broker londinese, con un lungo periodo trascorso nel desk metalli. Era il 1994, ma sin da bambino avevo già visitato il pit del London Metal Exchange, il cui fascino era profondamente intriso dell’indimenticabile odore del tabacco. Negli anni Settanta protagonista indiscusso di quella vera e propria ‘arena’ era un enorme posacenere, intorno cui gravitavano persone, quasi soli uomini, spesso giovani di buone speranze, che non si consideravano appartenenti al mondo della finanza, ma dell’industria, da cui provenivano. Gli operatori autorizzati erano spesso giovani di umili origini, non laureati, ma molto svegli, energici, e soprattutto dalla voce grossa», rileva Kauffmann.
Al pari dei suoi operatori, il mercato delle materie prime resta sui generis, e per molti versi ai margini dell’arena finanziaria globale nelle sue componenti core. «Nonostante in passato ‘le grida’ fossero la modalità più diffusa, è questo l’unico pit al mondo ad averne conservata una sessione di mercato, e dove questa ha ancora senso. È un mercato a vocazione industriale, lo è sempre stato, dove c’era poca speculazione e che era nato per offrire servizi di hedging alle aziende. Mantiene molte di queste caratteristiche, ad esempio mentre Wall Street offre cinque contratti all’anno di copertura sul petrolio, a Londra è disponibile una delivery date ogni giorno, dunque 220 all’anno. Era però anche un mercato improntato alla fiducia reciproca, in cui ancora nei tardi anni Ottanta non esisteva un sistema di marginazione giornaliera, ma in cui le operazioni erano regolate annualmente, spesso con una stretta di mano. Sotto molti aspetti il nostro è un mondo in cui mi piace pensare la ‘parola data’ sia rimasta la principale valuta», riflette il Ceo.
Quella di approcciare un tal mercato, per certi versi di nicchia nonostante la sua indiscutibile centralità, è destinata a rimanere una ‘scelta’ coraggiosa. «Erano gli anni Settanta quando la nostra famiglia è stata ‘contagiata’ dall’odore del metallo. Mio padre fu il primo in Italia a ricevere da Banca d’Italia l’autorizzazione a poter operare, e iniziò con l’importare catodi dal Cile per conto di un’associazione. Fu certamente un visionario, tornato da Londra a metà anni Ottanta, decise di entrare nel ramo della consulenza sull’andamento di prezzi e mercati per conto di aziende industriali; armato di uno dei primi computer, con due floppy da 5¼, e grazie a un allora avanguardista programma che calcolava l’indice Rsi e la media mobile a 20, 40 e 100 giorni dei prezzi delle materie prime, che qualcuno ogni sera si faceva dettare telefonicamente da Londra. Andavo al liceo, ed era così che mi mettevo a disposizione», nota Kauffmann.
Evidentemente tutto è molto diverso laddove una scelta possa essere davvero fatta, e non subita. «Completata l’esperienza formativa a Londra, e richiamato in patria, nel 1996 ho iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia, e dopo due anni di complessa convivenza mio padre si è ritirato lasciandomi le redini di quella che al tempo era una realtà piccola. È lì che ho iniziato a occuparmi della parte più finanziaria del business. Nel 2003 ho fondato l’osservatorio Faro a Brescia, mentre nel 2005 ho portato in Svizzera tutta la parte operativa del Gruppo, fondando l’attuale Kommodities Partners, dal 2023 a pieno titolo gestore patrimoniale con licenza Finma. Essendo la mia famiglia di origine svizzera, a distanza di due secoli, siamo finalmente tornati a casa», evidenzia il Ceo.
Nonostante i passaggi di consegne, e gli spostamenti geografici, la filosofia alla base è rimasta la stessa, in linea con il mercato di riferimento. «Siamo una piccola boutique, il cui principale obiettivo è far dormire sonni tranquilli ai propri clienti. Il nostro cliente medio è un’azienda da 200 milioni di fatturato, managerializzata, ma in cui il proprietario ha ancora una forte presenza. Siamo specializzati sui metalli industriali, che per molti nostri clienti rappresentano l’80% del fatturato, abbiamo dunque un margine di errore dell’1% nel fare il nostro lavoro, e il nostro compito è coprire dal rischio, di prezzo e valutario, garantendo la fornitura. Affidandosi a noi il cliente cerca competenza, precisione, flessibilità, noi gli mettiamo a disposizione aggiornamenti quotidiani, un desk attivo con cui poter parlare e che lo rassicuri. In vent’anni sono mediamente tutti cresciuti, come abbiamo fatto noi», rileva Kauffmann.

Per quanto la tradizione continui a giocare un ruolo, e importante, anche i numeri testimoniano la bontà dell’operato nel suo insieme. «Supportando più di un centinaio di clienti, intermediamo circa 3,5 miliardi di euro annui, e nel caso dell’Italia oltre il 10% dell’import di alluminio, anche in qualità di agenti di Mercuria. Si tratta sempre di capire dove sta andando il mercato, e agire; oltre all’esperienza ci lasciamo aiutare dalle più recenti tecnologie, ad esempio dall’Ia, da piattaforme proprietarie e da puntuale ricerca interna, che mettiamo a disposizione dei clienti. Il prossimo membro del team, che ci raggiungerà il prossimo anno, sarà infatti un analista quantitativo, specializzato in Ia. In larga misura siamo supportati dal passaparola, è un settore concentrato, in cui la reputazione è ancora molto. Mi piace pensare che grazie a noi, nonostante l’incidenza del metallo sul totale di fatturato, il cliente possa dormire sereno», chiarisce il Ceo.
Trattandosi di un settore di tradizione, in molti casi si è anche in presenza di aziende di famiglia, in cui le scelte potrebbero non essere condivise da tutti i membri. «Il progetto a cui sono più legato è il Matherika Akademy, giunto alla sua seconda edizione, e interamente finanziato dal Gruppo. Il nostro è un settore bellissimo a cavallo tra finanza e industria, ma in cui sempre più spesso le aziende vengono cedute o svendute. L’Akademy vuole consentire ai figli di queste famiglie, e più in generale ai giovani, di imparare a conoscerlo dall’interno, formandoli, cercando di trasmettergli la giusta passione e gli stimoli necessari a voler approfondire, ma soprattutto perché possano scegliere, e consapevolmente. Un po’ quello che non ho potuto fare io», evidenzia il Ceo.
Scelte consapevoli, seppur scelte, chiamate però a confrontarsi con una fase storica delle più complesse, il che certo non aiuta a tenere la barra dritta, e la rotta. «Sono un grande appassionato e un collezionista di arte materica, da lì il nome. L’obiettivo che tutti dovremmo condividere è trasmettere un solido sistema valoriale ai più giovani, e insegnargli ad amare il proprio lavoro. Nel corso degli anni ho imparato ad amarlo, ritrovandovi un ambiente familiare ma al tempo stesso internazionale, dipendente dai mercati ma al tempo stesso terzo, e mi piacerebbe che accada lo stesso a molti altri. Al tempo stesso dobbiamo essere tutti in chiaro che per accendere la passione, sia indispensabile sbagliare, commettere qualche errore, ma tenere duro, al costo di qualche sacrificio», conclude Paolo Kauffmann.
Al tempo stesso è legittimo domandarsi quanto la passione possa essere accesa, o quanto invece dovrebbe accendersi da sè, pur nella consapevolezza che ‘decidere’ nell’ignoranza, non sia mai una vera decisione. Come sciogliere il nodo gordiano?
© Riproduzione riservata