Persona – Ricordo – Memoria – Impronta – Frammento – Relitto – Abisso – Grotta – Spiaggia – Terra – Origine. Undici nuclei concettuali attorno ai quali si concatena il percorso di visita della mostra: ciascuno posto a esergo di una sala e accompagnato da un breve testo poetico scritto dall’artista stesso, che offre così un primo punto di ingresso, per via di parola, nella stratificazione del suo mondo interiore. È infatti lo stesso Luca Pignatelli (Milano, 1962), con l’unicità di una ricerca esistenziale e artistica irriducibile alle consuete categorizzazioni, la vibrante materia prima di questo originale quanto profondo progetto espositivo.
Che un museo delle culture si cali su un artista contemporaneo non è consueto, e quando accade troppo spesso è per tentare un estemporaneo coup de théâtre. Il Musec – Museo delle Culture di Lugano è invece ormai al quinto appuntamento del suo ciclo “Global Aesthetics”, con cui sfrutta proprio la trasversalità costitutiva della sua visione, nella quale confluiscono le dimensioni di antropologia, sociologia, psicologia e semiologia, per offrire del contemporaneo un’interpretazione controcorrente, dove il processo di genesi, le esplorazioni e le esitazioni, le accelerazioni e le frenate, le conquiste e i ripensamenti dell’artista, ancor prima delle sue opere solitamente al centro della mediatizzazione, diventano nutrimento di un’esperienza autenticamente trasformativa. Ben sapendo che, per quanto entrare nelle logiche creative di un artista sia chiaramente un’operazione di estrema complessità, è forse l’unica vera chiave a disposizione per interpretarne profondamente l’opera.
All’origine di ogni cosa vi è forse il mistero della nascita della persona. Un mistero collocato in un luogo smisuratamente remoto ma raggiungibile in un battito d’ali se cavalchi la luce, se ti fai ombra, particella di tempo, di spazio, di materia, pulviscolo che cerca il suo profondo senso di appartenenza all’universo.
Luca Pignatelli, artista
Come rivela la sequenza delle undici parole, si procede dall’individuale (persona) verso l’universale (origine), che è poi l’anelito dell’Arte di ogni tempo e cultura, e la direzione dell’ascesa contemplativa. Un viaggio, quello che viene proposto sui due piani di Villa Malpensata, che diventa invito alla meditazione. Alle pareti 49 grandi lavori, per lo più inediti: larghe porzioni di teloni ferroviari dismessi, giuntati, cuciti, forati, bruciati, poi dipinti e lavorati con inserti di diversa natura. Sono il frutto della produzione dell’ultimo decennio di Luca Pignatelli, meno nota ma che della sua arte costituisce il punto d’arrivo: l’approdo all’origine.
La stratificazione che ha potuto sperimentare nelle opere su carta viene qui trasposta su grande scala; le migliaia di immagini che conserva sparse su un grande tavolo nella parte più intima del suo atelier-hangar milanese come frammenti dell’immensità che in questi anni ha esplorato, anche se qui potrebbero sembrare ripudiate da una scelta espressiva che esclude il figurativo, sotterraneamente la sostanziano, caricando il gesto estetico di una tensione creativa e progettuale tanto prossima, nella sua urgenza e sincerità, all’arte su cui a fine Ottocento le culture ‘primitive’ spalancarono gli occhi delle avanguardie europee.
Si penetra in uno spazio sospeso e stratificato, a immagine della Grotta del Cavallo di Porto Selvaggio che, con il suo antico mistero, per il giovane Luca è stata luogo di un imprinting emotivo e intellettuale.
In sottofondo le note di David Lang, nell’aria il profumo inconfondibile dei teloni di canapa. Lungo il percorso sono stati trasposti angoli dello studio dell’artista, un precipitato della sua quotidianità: tavoli, sedie, poltrone, divani e carrelli che, proprio come nell’ambiente originario, sono affiancati o ricoperti da fotografie, carte, disegni, ritagli di giornale, telai, mucchi di teloni ferroviari, cocci, chiodi, barrette di metallo, cordame e gli strumenti del mestiere, pennelli e latte di pittura. A ricordare come la dimensione antropologica e il contesto sociale facciano parte delle condizioni primarie di ogni creatività, anche la più astratta e immanente.
Proprio la convergenza fra le tre prospettive offerte da etnografia, psicologia analitica e antropologia dell’arte permette di restituire, nella sua complessità, l’essenza dell’arte di Luca Pignatelli, risalendo dalla dimensione biografica ai valori che il suo linguaggio espressivo convoca, per interrogarsi infine sul significato che una creatività tanto densa e anticonvenzionale possa avere per la società e la cultura odierne.
Un ambiente che induce il visitatore a soffermarsi, lasciarsi permeare dalle sue atmosfere, entrare in risonanza con le opere che diventano portale di accesso a quell’universale che, pur muovendo dal contingente della propria temporalità, il vero artista riesce a esprimere.
L’allestimento (la mostra è in programma fino al 12 maggio) non è che il punto di arrivo di quasi due anni di incontri e riflessioni condivise dall’artista con Francesco Paolo Campione, il direttore del Musec che di questo progetto è stato maieuta. Proprio durante queste conversazioni, scoprendo l’abitudine dell’artista di battere a macchina filze di parole per cercare di fermare i significati della sua ricerca esistenziale e artistica, è nata la proposta, accolta con entusiasmo, di selezionarne alcune che fungessero da mappa concettuale del progetto espositivo, intitolato Astratto. Da una prima selezione di sessantuno, una per ogni anno di vita dell’artista, che campeggiano a caratteri cubitali sulla parete della sala introduttiva, si è arrivati a distillare le undici che ne formano l’alfabeto speculativo. Nel gioco di concatenazioni creato dai testi che le accompagnano, ogni termine è associato al successivo – e l’ultimo al primo – trovando nella fine un nuovo inizio. Circolarità che dell’opera di Pignatelli è costitutiva, laddove il presente si rivela mobile sintesi del passato – esplorato, auscultato, accolto e risemantizzato, tanto materialmente quanto concettualmente, in un’incessante osmosi.
Dei temi affrontati negli incontri fra Luca Pignatelli e Francesco Paolo Campione – spaziando dall’antico al futuro, dalle iniziatiche esplorazioni della Grotta del Cavallo ai recenti lavori astratti – offre una ricostruzione anche la conversazione proposta nel libro d’artista Genesi e astratto che, insieme al catalogo della mostra (ed. Skira), costituisce un altro fondamentale tassello del progetto. Per ora (ma non è esclusa anche una futura più ampia diffusione, come nelle intenzioni vi è quella di portare il progetto espositivo anche in sedi estere) la lettura della conversazione è riservata ai proprietari dei 149 esemplari firmati e numerati di questa preziosa pubblicazione della Fondazione culture e musei, con riproduzione su carta pregiata di tutti i lavori in mostra, insieme a una selezione aggiuntiva, ciascuno corredato da un frammento di un’opera originale di Luca Pignatelli.
Conosciuto in Italia e nel mondo per il suo processo di raccolta, recupero, cura ed editing iconografico della storia e dell’arte, Luca Pignatelli vive e lavora a Milano, dove è nato nel 1962, in una casa-studio da lui stesso progettata in un vecchio edificio industriale. Figlio d’arte, si iscrive alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove l’interesse costante nei confronti di ciò che con il tempo definirà “crescita sedimentaria della storia” lo porta in particolare a confrontarsi con Adolf Loos e Aldo Rossi, conquistato dal richiamo dell’idea di edificio e città come sommatoria organica di stili ed epoche. Proprio la ricerca di una sintesi fra passato e presente permea la sua futura ricerca.
Dagli iniziali disegni su carta e masonite, la sua produzione si è sviluppata attraverso l’uso eterodosso e la diversificazione sperimentale di materiali e tecniche, indirizzandosi sempre più verso opere di grande formato. Luoghi privilegiati della ricerca di Pignatelli sono le fabbriche, arsenali militari e depositi delle città portuali, che si integrano ai grandi edifici simbolo della storia europea. Dagli anni Novanta ha introdotto l’uso di materiali di recupero, come teloni di canapa dei convogli ferroviari, carte assemblate, tessuti, vecchie tavole di legno, lastre di ferro zincato e tappeti persiani, da lui risemantizzati. Al contempo, si delinea una pratica artistica seriale, con veri e propri cicli, fra cui Arazzi italiani (2007-2008), Atlantis (2009), Schermi (2009), Analogie (2010), Cosmografie (2014), Sculture (2010), Standard (2014), Migranti (2015), Imperatori (2017) e Persepoli (2017).
Se da un lato si è affermato un interesse particolare al dialogo con la storia e con la natura, dall’altro è emerso quello per il linguaggio astratto, fatto di porzioni di materia che si stratificano su supporti di recupero.
Oltre che in prestigiose collezioni private europee e americane, le opere di Luca Pignatelli sono conservate da rilevanti istituzioni museali e sono state esposte in importanti esposizioni temporanee, dalla 53ma Biennale di Venezia (2009) alla New York Historical Society (2022) consacrandolo a livello internazionale.
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