
Monumentale nella durata, come nella performance del suo protagonista e nell’estetica imponente e scultorea che racconta, The Brutalist oltre ai meriti cinematografici, ha quello di aver riportato l’attenzione su un movimento che ancora divide fra detrattori che tacciano di freddezza e inospitalità un approccio che si voleva invece ispirato ai principi del funzionalismo e della comunità, e chi al contrario ne apprezza proprio il rigore e la grezza poesia. Anche se il fittizio Lazlo Tóth del magistrale Adrien Brody è più una sintesi di Marcel Breuer, Louis Kahn e Paul Rudolph, non si può non pensare a Le Corbusier, che del brutalismo è stato fra i maggiori precursori e riferimenti, con la sua visione architettonica e la predilezione per il cemento armato a vista, portata ai vertici in progetti come l’Unité d’Habitation a Marsiglia (1945-52), la cappella di Notre-Dame-Du-Haut de Ronchamp (1950-1955), il convento de La Tourette a Éveux (1953-60), fino alla sua apoteosi nell’utopia abitativa modernista di Chandigarh (1950-65), interamente edificata in “béton brut”, come Le Corbusier stesso aveva battezzato il calcestruzzo, termine a cui si richiama il nome del movimento.
Una conferma in più di quanto il maestro franco-svizzero abbia segnato l’architettura moderna, sfruttando le nuove possibilità offerte dal progresso tecnico in combinazione con i sempiterni principi classici, come il rapporto aureo, per ripensare l’abitazione e lo spazio urbano migliorando la qualità di vita, all’insegna di una visione che collegava arte e architettura, cultura e società. Sul Le Corbusier, al secolo Charles-Edouard Jeanneret (La Chaux-de-Fonds 1887- Roquebrune-Cap-Martin 1965), si è molto detto e scritto; documentari, mostre e pubblicazioni di ogni sorta ne hanno celebrato il genio e approfondito il pensiero. Ma per chi, anche complice l’attenzione riaccesasi su quel periodo della storia architettonica con The Brutalist, fosse interessato ad andare oltre la superficie a cui spesso condanna una quotidianità di troppi impegni e ancor maggiori distrazioni, la mostra in corso, fino a 22 giugno, al Zentrum Paul Klee di Berna offre tutti gli elementi, nel giro di poche ore, per immergersi nel suo pensiero e scoprirne il processo creativo.

Arte-Ricerca-Architettura sono i tre assi interconnessi su cui è costruita l’esposizione, da leggere nelle reciproche relazioni. Ecco che l’Arte si rivela come forza trainante per l’architettura e il design – in particolare, grazie al disegno, strumento prediletto da Le Corbusier per ricordare e assimilare ciò vedeva e concepire nuove idee -, ma ha anche la forza di una disciplina autonoma, che lo ha accompagnato dagli anni della formazione all’ultima opera, come illustra in mostra la compresenza di dipinti iconici del purismo degli anni Venti, movimento fondato insieme ad Amédée Ozenfant a Parigi, con disegni astratti colorati, sculture sorprendenti e collage di carta dell’ultimo periodo, rivelando un lato poco noto.
Anche gli studi di progetti completati e non, schizzi e disegni, modelli e visualizzazioni esposti nella sezione dedicata all’Architettura sottolineano lo stretto parallelismo fra pratica progettuale e opera artistica. Le fotografie di Richard Pare evocano gli edifici stessi accanto agli studi, mentre in chiusura di percorso la videoinstallazione dell’artista austriaca Kay Walkowiak riflette sullo stato attuale della città di Chandigarh.


Nel mezzo, la sezione dedicata alla Ricerca è il cuore della mostra e la sua chiave di lettura. Una panoramica del lavoro quotidiano del grande maestro, le cui attività si dividevano anche fisicamente tra i due atelier parigini: i laboratori-officine in Rue de Sèvres, che oggi non esistono più, adibiti a progettazione e pianificazione di progetti edilizi, e l’atelier in Rue Nungesser-et-Coli, dove andò ad abitare nel 1934, destinato al lavoro appartato, alla creazione e progettazione e all’arte, nella convinzione che un’occupazione artistica regolare fosse la premessa per una fantasia vivace.
Sono presentati anche pezzi della collezione privata dell’architetto: cartoline postali (ne possedeva 2.300, di siti storici, edifici, opere architettoniche, fenomeni naturali o scene folcloristiche, sua fonte di ispirazione: una selezione ne è qui presentata per la prima volta in Svizzera), opere d’arte di conoscenti e non, oggetti antichi acquistati nel corso dei viaggi, esempi di ceramica popolare o plastiche africane e, sempre più, “oggetti a reazione poetica”: conchiglie, pezzi d’osso, pietre ed altri elementi naturali, che con le loro strutture e processi di crescita guidano l’evoluzione di Le Corbusier verso un formale linguaggio organico. Inoltre viene riservata una sala ai disegni realizzati durante le conferenze all’estero, che ne attestano l’entusiasmo nel diffondere le idee moderniste. Non mancano i libri, di cui fu prolifico produttore – sul passaporto si definiva homme de lettres – prendendo parte a tutte le fasi di realizzazione, dal contenuto, alla scelta delle immagini, fino al design.
Un percorso – quello proposto dal Zentrum Paul Klee di Berna che con questa importante mostra inaugura l’anno del suo ventesimo anniversario – dal quale emerge come il principio dell’ordine dagli anni Venti abbia assunto un ruolo guida nell’opera del maestro franco-svizzero: creare, progettare significa per Le Corbusier “mettere in ordine le cose”, come recita proprio il titolo della mostra. Ordine come fonte di benessere: oggi che si tende invece a vedervi la monotonia suona quasi reazionario. Una nozione utopica e ambivalente: l’ordine come condizione di calma e sicurezza richiede regole e disciplina, e questo lo sa bene l’architetto.
È il patto fra uomo e natura alla base della civiltà e della città, illustrato dalla rappresentazione di un uomo in piedi in un paesaggio collinare nel suo celeberrimo libro-testamento di Le Corbusier, Poème de l’angle droit, dove la mano che disegna un angolo retto allude al momento della comprensione: l’ordine conferisce all’uomo la capacità di comprendere e creare. Cosmo contro caos. Questo il compito intramontabile dell’arte e dell’architettura per Le Corbusier: rendere comprensibile il mondo e organizzarlo per liberarsi dai capricci del caso e dall’arbitrio, per evolvere spiritualmente. Un’aspirazione che nella pratica progettuale lo muove a unire in un rapporto armonioso forme e colori, luce e spazio. Sarà nel progetto di Chandigarh, nuova capitale del Punjab di cui il primo ministro indiano gli affida la progettazione chiedendogli di creare una città moderna, efficiente e incentrata sulle persone, che Le Corbusier ne darà una delle più alte interpretazioni, stabilendo in un luogo precedentemente disabitato, un segno di cultura e di progresso, operando la sua suprema sintesi fra architettura, design, urbanistica e arti plastiche. Nel suo centro si trova non caso la Mano aperta, monumento di pace, fratellanza e accoglienza, e firma simbolica dell’architetto-artista.
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Per maggiori informazioni:
Le Corbusier. L’ordine delle cose
Zentrum Paul Klee, Berna
Fino al 22 giugno 2025