Il 23 ottobre il rendimento del decennale statunitense ha raggiunto il 5% per la prima volta dalla Grande Crisi Finanziaria del 2007. Il movimento rialzista è ripartito a maggio da un livello attorno al 3,5% (dopo diversi mesi di relativa calma), per poi subire un’accelerazione finale nell’ultimo trimestre. Le cause di questa tendenza sono state molteplici e attribuibili alle tensioni geopolitiche, all’aumento dell’offerta di Treasury per via dell’ampiezza del deficit, al tightening della Fed, al potenziale shutdown del Governo e alla resilienza dell’economia a stelle e strisce. Successivamente i rendimenti hanno corretto in maniera importante sulla scia delle mutate attese degli investitori circa la crescita economica e l’inflazione e, quindi, in ultima analisi, circa le azioni della Fed.
Sono proprio le differenti aspettative sulla crescita economica a creare tale volatilità. Tuttavia, è opportuno sottolineare come i dati economici siano particolarmente contrastanti. Ad esempio, il Pil è aumentato oltre le attese nel terzo trimestre, crescendo al ritmo più rapido da quasi due anni; d’altra parte, la fiducia dei consumatori si è ridotta, con l’Ismmanifatturiero che è sceso a 46,7 punti, ovvero il maggior declino mensile da circa un anno a questa parte.
Assunto che la Fed adotti un approccio completamente data-dependent (e quindi non escludendo ulteriori rialzi), i mercati hanno interpretato le parole di Powell durante la conferenza stampa del 1 novembre (the risk of doing too much versus the risk of doing too little are getting closer to balance) come un’apertura a più tagli nel 2024 e 2025 rispetto a quelli ‘annunciati’ a settembre con la revisione dei dot-plot. In altre parole, gli investitori continuano a prezzare la fine del ciclo di rialzi iniziato nel 2022, escludendo la possibilità di ulteriori ritocchi ai tassi di interesse. Ciò è avvalorato dal fatto che l’aumento del ‘term premium’ ha ulteriormente serrato le condizioni finanziarie.
Sulla base di quanto descritto precedentemente sull’incertezza macroeconomica e la volatilità dei dati, non si può escludere definitivamente un ultimo rialzo dei tassi. In effetti, a un evento del Fmi, Powell ha ribadito come un ulteriore intervento sui tassi non sia stato archiviato e che i membri della Fed non siano certi che la politica sia sufficientemente restrittiva per riportare l’inflazione entro i limiti del loro mandato (2% sul lungo termine).
Il dato sul Pce (la misura dell’inflazione preferita dalla Fed) è rimasto stabile al 3,4% in settembre, mentre il dato Core è passato al 3,7%, il valore di settembre 2021. Secondo lo scenario di base l’inflazione continuerà a scendere e la crescita a rallentare, creando le condizioni per il famoso soft-landing. Va ricordato anche che la curva dei rendimenti dei Treasury americani è invertita da circa un anno e quindi è lecito attendersi una sua normalizzazione, che potrebbe avvenire in modi inattesi, proprio per via della volatilità dei dati economici. Infatti, la normalizzazione della curva (ovvero che le obbligazioni a lungo termine offrono un rendimento maggiore rispetto a quelle di breve durata) può avvenire in due modalità diverse.
Nel primo caso, qualora l’economia americana dovesse deteriorarsi (scenario di hard-landing), la Fed potrebbe accelerare con la decisione di tagliare i tassi d’interesse, per contrastare gli effetti negativi del deterioramento economico. In questo contesto, si assisterebbe al bull-flattening della parte corta della curva, con i rendimenti a lungo termine che rimarrebbero pressoché invariati, mentre quelli a breve scenderebbero vistosamente.
Nel secondo caso, invece, qualora si arrivasse a un soft-landing, si sperimenterebbe un bear-steepening della curva a lungo termine, dove i rendimenti delle obbligazioni con scadenza lunga tornerebbero a superare quelli delle obbligazioni di durata inferiore.
Per quanto riguarda l’Europa, la Bce ha mantenuto invariati i tassi (al 4% quello di riferimento), mettendo fine a una serie senza precedenti di dieci rialzi consecutivi, soprattutto a causa delle preoccupazioni circa la crescita dell’Eurozona. In effetti l’economia si è contratta dello 0,1% nel terzo trimestre rispetto al precedente e se si considera la ‘crescita’ dello 0,1% dello scorso trimestre e la stagnazione nei precedenti due, il Pil è rimasto praticamente invariato negli ultimi 12 mesi. Inoltre, l’inflazione si è più che dimezzata dal picco di ottobre 2022 e l’economia mostra segni di debolezza. Lagarde ha dichiarato che è “totalmente prematuro” menzionare qualsiasi taglio, dal momento che i tassi “rimarranno restrittivi per tutto il tempo necessario”.
Spostando l’attenzione sulla Svizzera, la Bns a settembre ha sorpreso il mercato (ma non il buonsenso) evitando ulteriori rialzi (lasciando il tasso di riferimento all’1,75%) citando i rischi economici e l’affievolimento delle pressioni inflazionistiche. Malgrado non siano stati esclusi rialzi a dicembre, con un Cpi all’1,7% è molto probabile il tasso rimarrà a questi livelli: come detto la crescita si è deteriorata, un nuovo rialzo rischierebbe di rafforzare il franco (con una Bce ‘on hold’). Tuttavia, è altrettanto probabile che i primi tagli verranno proposti solo in caso di marcato rallentamento o marcata discesa dell’inflazione. In questo contesto, considerando anche che l’aumento dei rendimenti sul franco è stato meno pronunciato che in altre regioni, è probabile che si verificherà solo un modesto declino della parte più lunga della curva.
Cosa attenderci per il 2024? Dopo che il 2023 era stato (troppo presto) dipinto come ‘The Year of the Fixed Income’, si è in realtà trasformato nella saga ‘Alla rincorsa del Terminal Rate’, il 2024 potrebbe davvero tornare a essere un anno favorevole per il reddito fisso.
In generale sono da preferirsi i titoli governativi. Come già ampiamente sottolineato, è assai probabile che i tassi saranno destinati a scendere e che gli attuali livelli offrano un carry interessante (con un’economia in decelerazione, l’inflazione continuerà a scendere e gli investitori vedranno gli attuali livelli come troppo elevati). È ancora prematuro consigliare di speculare su duration eccessivamente lunghe, perché il modo in cui le curve si normalizzeranno potrebbe assumere molteplici forme. Il credito non offre spread particolarmente attrattivi nei confronti dei governativi. Ecco perché nel caso di una frenata economica più brusca delle attese, l’allargamento degli spread andrebbe a erodere rapidamente il carry.
Infine, per quanto riguarda i mercati emergenti, nel 2024 dovrebbero poter beneficiare del notevole carry accumulato. Vi è anche da dire che, in generale, sono più avanti nella lotta all’inflazione e alcuni di loro hanno già cominciato a tagliare i tassi. In tutti i casi, un altro volano della performance dovrebbe provenire dalla discesa dei tassi statunitensi e dall’indebolimento del dollaro americano.