Tra Locarno e Vicenza intercorrono 300 chilometri e una distanza culturale quanto può esserla quella tra un Ticino già d’impronta nordeuropea, magnete di utopie e avanguardie, e la classicità della cittadina veneta che, con le sue architetture palladiane, è un gioiello urbanistico. Se poi si prendono in considerazione due periodi storici, per quanto vicini, divaricati dalla frattura del secondo conflitto mondiale, difficile trovare una connessione. Da una parte è infatti Vicenza, fra l’inizio degli anni Trenta e i primi Cinquanta, dove attorno ai corsi serali della Scuola d’Arte e Mestieri prende spontaneamente forma un sodalizio fra giovanissimi pittori, scultori, scrittori e intellettuali che portano una ventata di freschezza e sperimentazione nella tradizione novecentesca. Dall’altra, Locarno nel trentennio successivo, con la comunità artistica internazionale che ebbe il suo epicentro nel complesso di atelier nato su iniziativa dello scultore Remo Rossi. E invece proprio le ‘corrispondenze’ sono il tessuto della mostra che, fino al 7 luglio, accompagnerà la bella stagione del Museo Casa Rusca.
«L’accento è infatti posto sui legami affettivi, gli scambi intellettuali, la profonda complicità intercorsa all’interno di questi due gruppi di artisti, sia la “gaia gioventù” vincentina, come venne soprannominata, sia quello più maturo degli atelier “ai Saleggi” locarnesi. Se la forte amicizia che ne legava i membri emerge indirettamente dalle opere che, pur nella personalità dello stile di ciascuno, testimoniano la condivisione di un orizzonte culturale e di un comune approccio all’arte, prende poi anche una forma tangibile grazie ai molteplici omaggi che i vari protagonisti si dedicavano reciprocamente: un intreccio di biglietti, cartoline, omaggi, lettere, poesie, schizzi, collage, ritratti e sculture», osserva Veronica Provenzale, curatrice della mostra Corrispondenze. Italo Valenti e i sodalizi artistici fra Vicenza e Locarno.
C’è però un’ulteriore, essenziale ‘corrispondenza’ a connettere queste due esperienze corali, non semplicemente giustapposte: a far da filo conduttore fra i due gruppi in apparenza estranei è infatti il percorso personale e artistico di Italo Valenti, fra Italia e Svizzera. Nato a Milano nel 1912, arriva da bambino nella Vicenza teatro della sua crescita artistica, per poi frequentare l’Accademia di Brera e la cerchia di Corrente, mentre la cappa del regime prima e gli anni della guerra poi disgregano il gruppo della “gaia gioventù”, da sempre connotato da un forte impegno civile antifascista. Nel 1952 approda in Svizzera, a fianco della nuova compagna, la fotografa e poetessa Anne De Montet (suoi alcuni dei bei ritratti fotografici in mostra), per infine stabilirsi nel nucleo di Ascona, dove si spegne nel 1995 dopo aver attraversato il secolo. Oggi ha il suo archivio a Mendrisio, curato da Simone Cornaro (figlia di De Montet), tra i coproduttori della mostra che, accanto alle Collezioni della Città di Locarno e ad altre istituzioni e privati per la parte svizzera, si avvale per la parte italiana della preziosa collaborazione con l’Assessorato alla cultura del Comune di Vicenza e con le Collezioni dei Musei Civici di Vicenza, la cui mostra Gli amici della «gaia gioventù».
Arte e poesia a Vicenza dal 1930 al 1950, organizzata l’anno scorso presso il Museo Civico di Palazzo Chiericati, è stata un fondamentale spunto di partenza per l’attuale locarnese che apre nuove prospettive storico-artistiche, in particolare sui legami tra le avanguardie al nord e al sud delle Alpi.
«Non è infatti Valenti il protagonista della mostra, quanto piuttosto, per riprendere una figura a lui cara, il ‘traghettatore’. Attorno alla sua opera si aggregano infatti le corrispondenze che attraversano e guidano l’intero percorso espositivo, dimostrando come la prossimità e la frequentazione quotidiana siano fonte di mutue suggestioni, riflessioni e di una profonda sintonia che si manifestano nelle rispettive opere, proiettate al di là della linearità del singolo percorso artistico», sottolinea Veronica Provenzale.
Le oltre 170 opere esposte rappresentano le figure più significative dei due sodalizi artistici: accanto a Valenti, per il periodo vicentino Neri Pozza, scultore prima, incisore ed editore poi, il poeta Antonio Barolini, i pittori Maurizio Girotto, Bruno Canfori e Otello De Maria, lo scultore Gastone Panciera e, unica donna, la pittrice Nerina Noro. Per il periodo svizzero, Jean Arp, Hans Richter, Fritz Glarner, Ingeborg Lüscher, Julius Bissier, Ben Nicholson, Aline Valangin, Alberto Magnelli, Max Bill e Anne de Montet.
Quest’occasione è importante anche proprio per riscoprire nel suo dinamismo una stagione di grande rilevanza per lo sviluppo artistico dell’intera regione del Locarnese, che gravitava attorno a questi atelier creati nel 1959 da Remo Rossi attorno al proprio laboratorio: Jean Arp, Hans Richter, Fritz Glarner, fino alla giovanissima Ingeborg Lüscher e tanti altri, oltre allo stesso Valenti, presero casa stabilmente in questi spazi di lavoro e la cerchia si allarga notevolmente se si considerano tutta la serie di amici e colleghi che li frequentavano», conclude la curatrice della mostra. Fu anche l’innesco che avrebbe portato alla nascita del Museo di arte moderna di Locarno, inaugurato nel 1965.
Sembra quasi di vederli: i ventenni bohémien che si ritrovavano la sera nei loro atelier senza nemmeno il carbone per scaldarsi o in gita sui colli vicentini a festeggiare il successo della prima edizione dell’Asino volante, ingresso nel mondo dell’editoria dell’allora aspirante scultore Neri Pozza. O, a distanza di trent’anni, Jean Arp, Hans Richter e Valenti intenti a chiacchierare durante una pausa tra galli, galline, oche, colombi e qualche grande tacchino accanto al pollaio, curioso punto di ritrovo nel mezzo del giardino degli atelier di via dei Saleggi.
«Quest’occasione è importante anche proprio per riscoprire nel suo dinamismo una stagione di grande rilevanza per lo sviluppo artistico dell’intera regione del Locarnese, che gravitava attorno a questi atelier creati nel 1959 da Remo Rossi attorno al proprio laboratorio: Jean Arp, Hans Richter, Fritz Glarner, fino alla giovanissima Ingeborg Lüscher e tanti altri, oltre allo stesso Valenti, presero casa stabilmente in questi spazi di lavoro e la cerchia si allarga notevolmente se si considerano tutta la serie di amici e colleghi che li frequentavano», conclude la curatrice della mostra. Fu anche l’innesco che avrebbe portato alla nascita del Museo di arte moderna di Locarno, inaugurato nel 1965.
L’influsso dei nuovi compagni è evidente nello sviluppo della ‘seconda via’ di Valenti, che rispondeva alla necessità di distacco dal figurativo indirizzandosi verso un’astrazione libera e di carattere lirico. Oltre a riferimenti puntuali come i papiers déchirés di Jean Arp ripresi nei suoi collage, nell’ambiente culturale locarnese di quel periodo poté contare su una condivisione di pensiero, avvalorata dall’intensificarsi dei rapporti interpersonali, che seppero crescere nel corso degli anni e consolidarsi in profondi legami affettivi.
Una mostra che dunque, trascendendo i canonici confini disciplinari e un criterio esclusivamente cronologico, offre l’opportunità di immergersi in due importanti momenti dell’evoluzione artistica del secolo scorso, rivivendoli nel loro stesso farsi. Per lasciarsi sorprendere da echi e germinazioni, divertiti omaggi e sotterranee ispirazioni che intessono la rete di corrispondenze molto concrete di cui – ben prima che l’era dei social e del virtuale moltiplicasse e smaterializzasse le relazioni – l’arte non può fare a meno, se vuole nutrire una creatività fertile e autentica.
Pubblicato in Ticino Management Donna 96
Primavera 2024, da pagina 43
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