TM   Febbraio 2025

Il patrimonio degli edifici industriali

Dalle piccole manifatture rurali alle officine dell’industria pesante, dai centri logistici globali ai laboratori high-tech del pharma: due secoli di un patrimonio edilizio testimone dello sviluppo non solo paesaggistico del territorio ticinese, ma anche economico, tecnologico e sociale. Un’architettura in cui il contenitore quanto mai è a servizio del contenuto, per integrarne processi produttivi e apparati tecnici. Oggi sempre più orientata a criteri di sostenibilità e innovazione. Interviene la storica dell’arte Valeria Frei, autrice di “Ticino industriale”.

di Susanna Cattaneo

Giornalista

La sala del carico e scarico della ex fabbrica di cioccolato Tobler, poi tipografia Veladini, a Lugano, con la copertura sorretta da una splendida carpenteria lignea costruita secondo il raffinato e innovativo sistema Hetzer nel 1919-20. © Jachen Könz architetto.
La sala del carico e scarico della ex fabbrica di cioccolato Tobler, poi tipografia Veladini, a Lugano, con la copertura sorretta da una splendida carpenteria lignea costruita secondo il raffinato e innovativo sistema Hetzer nel 1919-20. © Jachen Könz architetto.

Quando si parla di architettura, quella industriale rischia di esser relegata in secondo piano, penalizzata dalla sua natura funzionale. Eppure si tratta di un patrimonio edilizio e manifatturiero dal valore unico, con la capacità di testimoniare, insieme all’evoluzione economica e infrastrutturale di un territorio, il suo sviluppo sociale, tecnico e tecnologico, in un incrocio fra le linee direttrici della macrostoria e lo spirito imprenditoriale dei singoli. Forse non tanto per l’apparente minor nobiltà della materia, quanto per la complessità del compito, che richiede un approccio interdisciplinare e un lungo lavoro di ricerca fra archivi e sopralluoghi, l’architettura industriale svizzera ha cominciato a essere studiata solo da una ventina di anni, grazie al progetto industriekultur.ch, sostenuto dalla Società svizzera di cultura industriale e storia della tecnica con sede a Winterthur.

«Per il Ticino, dei 740 oggetti individuati da un preliminare censimento a tappeto, escludendone poi i ruderi o quelli rimaneggiati al punto da aver perso il carattere originario, ne sono stati selezionati 250 ai quali dedicare schede di approfondimento, ora consultabili comodamente nell’inventario online», racconta la storica dell’arte Valeria Frei che, dopo aver seguito fra il 2019 e il 2023 il progetto, sostenuto dall’Ufficio dei beni culturali, ha curato anche l’interessante pubblicazione Ticino industriale. Una guida architettonica (Edizioni Casagrande, 2024). Focalizzato su un centinaio circa di oggetti fra i più rappresentativi delle varie tipologie degli stabilimenti nella regione, suddivisi in sette sezioni corredate da preziosi testi introduttivi, il volume suggella su carta i risultati della ricerca, anche grazie alle altrettanto fondamentali fotografie di Tonatiuh Ambrosetti.

 

Alcuni fra questi edifici sono beni architettonici tutelati, come l’impianto idroelettrico del Ritom, protetto a livello nazionale, e non pochi sono stati disegnati da rinomati architetti, come i Magazzini Generali del Punto Franco a Chiasso-Balerna con l’adiacente tettoia, un capolavoro architettonico-ingegneristico di Robert Maillart (1924), o i tanti lavori di Rino Tami, responsabile anche della progettazione unitaria dell’infrastruttura stradale dell’A2 e manufatti annessi; fino a Gio Ponti, autore della fabbrica di impianti zootecnici Safiz a Giubiasco (una recentissima scoperta di Matteo Chiosi), né mancano i grandi studi di ingegneria. «Ma non solo: ci sono molti edifici interessanti non necessariamente per la firma, ma per l’utilizzo di nuovi materiali e tecniche costruttive, basti pensare al complesso dell’ex fabbrica di cioccolato Tobler, poi tipografia Veladini, nel quartiere di Besso, con la bellissima area di carico-scarico sormontata da una copertura in legno lamellare generosamente illuminata, che se all’epoca era innovativa e funzionale, oggi si distingue per la sua qualità ingegneristica ed estetica», esemplifica Valeria Frei, che è anche redattrice responsabile per l’antenna svizzero-italiana della Società di storia dell’arte in Svizzera.

Alcuni fra gli stabilimenti industriali conservati in Ticino sono beni architettonici tutelati, non pochi sono stati disegnati da rinomati architetti, né mancano i grandi studi di ingegneria. Ma non solo: ci sono molti edifici interessanti non necessariamente per la firma, ma per l’utilizzo di nuovi materiali e tecniche costruttive.

Valeria Frei

Valeria Frei

storica dell’arte, autrice di “Ticino industriale”

Proprio la coerenza fra contenitore e contenuto è uno degli aspetti più caratteristici e istruttivi degli edifici industriali. Volumi, forme e materiali si adeguano alle attività produttive, all’impiantistica e all’organizzazione del lavoro. «Ad esempio, i caseggiati delle filande, non avendo materiali pesanti da lavorare, potevano salire in altezza, ma con la necessità di locali unici, lunghi e stretti, senza disimpegni centrali, per sfruttare al meglio grazie alle numerose finestre perimetrali la luce naturale necessaria alle operaie quando ancora non c’era l’illuminazione elettrica. Al contrario, le officine dell’industria pesante avevano uno sviluppo monoplanare, appoggiate direttamente sul terreno per reggere la mole e le forti vibrazioni dei macchinari, nonché il peso dei materiali da lavorare e dei manufatti, oltre ad agevolare le operazioni di carico e scarico. Gli spazi, articolati seguendo la logica dei processi della lavorazione – stoccaggio delle materie prime, produzione, controllo, deposito – erano pertanto molto ampi, con aperture verso l’alto per permettere a fumi e calore di fuoriuscire; poveri e funzionali i materiali», illustra Valeria Frei.

La storia che si ripercorre attraverso questi edifici è anche quella di un Ticino che, a lungo con un’industria legata a doppio filo al mondo rurale (coltivazione di tabacco e del gelso per i bachi da seta), solo con gli importanti investimenti nello sviluppo dell’infrastruttura viaria e dei trasporti ha potuto salire a bordo del ‘treno’ industriale, in particolare dopo l’inaugurazione del Tunnel del San Gottardo nel 1882. Vent’anni più tardi, da 22 fabbriche se ne contavano già 147. Da inizio Novecento la piana di Bodio diventò un magnete per le imprese energivore promosse dai gruppi nordalpini che necessitavano della ferrovia per l’esportazione delle merci e che qui erano servite dalla centrale idroelettrica Vecchia Biaschina, voluta dal lungimirante ingegner Agostino Nizzola. Negli anni precedenti la prima guerra mondiale, l’area dava lavoro a mille operai, fasti poi rinnovati nel secondo dopoguerra dall’insediamento della Monteforno.

Con la diffusione su larga scala dell’energia elettrica e la sostituzione degli ingombranti macchinari in ghisa alimentati a vapore, rimpiazzati da veloci e leggere macchine in acciaio finalmente libere da cinghie e pulegge di trasmissione, i ritmi di lavoro e l’intera catena produttiva subirono uno stravolgimento ben visibile nella trasformazione degli stabilimenti dopo il secondo conflitto mondiale, vuoi in direzione di un carattere più rappresentativo, vuoi soprattutto esaltando funzionalismo e razionalità. «A permetterlo anche l’evoluzione delle tecniche di costruzione e dei materiali. In precedenza nascosto, impiegato come elemento strutturale, con l’industrializzazione il ferro viene sempre più esibito. In combinazione con una nuova lavorazione del vetro, consente ad esempio di produrre le ampie finestre a inglesina e le coperture a shed o dente di sega. Armando il calcestruzzo, apre la strada a una nuova sintassi ortogonale, caratterizzata da tetto piano e finestre a nastro, sostenuti dall’ossatura cementizia portante che concentra la statica su piloni e solette. Il concetto di produzione di massa, a basso costo e rapida, prese così piede anche nella costruzione degli stabilimenti, con l’adozione di elementi prefabbricati, modulari, economici e pratici», prosegue la storica dell’arte.

Furono anni, per il Ticino, di forte crescita e differenziazione industriale: tessile, orologiero, alimentare, farmaceutica, meccanica di precisione e metalmeccanica, semilavorati, … Un ricco panorama destinato a un nuovo radicale mutamento con la crisi petrolifera di metà anni Settanta e l’avvio della terziarizzazione che, in linea con il processo di deindustrializzazione trasversale all’intero paese, anche qui ha visto dismettere molti degli edifici protagonisti dell’era del manifatturiero.

Le riconversioni sono una felice possibilità di riportare in vita alcuni di questi spazi che, in virtù del loro valore storico e architettonico o di un’ubicazione interessante, possono ospitare nuove realtà: centri culturali o percorsi didattici, location per eventi, spazi di coworking, ecc. «Uno dei primi esempi è stata l’ex fabbrica di tabacchi Polus a Balerna (1912), trasformata in un centro polifunzionale che può accogliere una trentina di aziende. Nella sala che ospitava il refettorio delle sigaraie, oggi destinata a eventi e seminari, nel 2008 è stato restaurato il bel ciclo pittorico realizzato da Carlo Basilico», racconta Valeria Frei.

Un altro fra i più emblematici edifici industriali che si appresta a una riconversione è la ‘Cattedrale’, il monumentale edificio delle Officine centrali Ffs di Bellinzona, disegnato nel 1921 da un giovane Mario Chiattone. Oltre un secolo dopo, mentre si stanno costruendo le nuove Officine a Castione, si prepara ad accogliere l’hub dedicato alle scienze della vita dello Swiss Innovation Park Ticino, a immagine e somiglianza del cambiamento che ha toccato il tessuto economico cantonale che, complice la forza del franco, si è riorientato sulle produzioni ad alto valore aggiunto: chimica, pharma e medtech, lusso e metalli preziosi, elettronica e meccanica di precisione. Aziende svizzere e internazionali o start up che in Ticino trovano le condizioni quadro ideali in termini di sicurezza, fiscalità e innovazione, stabilendo qui le loro sedi strategiche, le divisioni di Ricerca e sviluppo o una produzione su misura. Lo si è visto anche nella trasformazione di settori di lunga data come il tessile che, se dopo il crollo dell’industria serica ha ancora conosciuto una stagione felice con le fabbriche di biancheria e le camicerie, oggi di qualche grande nome del fashion accoglie le sedi amministrative, l’R&D o la logistica (come VF International a Stabio o Hugo Boss a Coldrerio).

 

Fra i protagonisti dell’odierna industria ticinese, focalizzata su produzioni ad alto valore aggiunto e innovazione, il pharma. Ibsa, già prima del cantone a munirsi di area sterile, sta sviluppando ora un intero distretto, CorPharma, votato all’R&D e ispirato a criteri di sostenibilità e responsabilità sociale.
Fra i protagonisti dell’odierna industria ticinese, focalizzata su produzioni ad alto valore aggiunto e innovazione, il pharma. Ibsa, già prima del cantone a munirsi di area sterile, sta sviluppando ora un intero distretto, CorPharma, votato all’R&D e ispirato a criteri di sostenibilità e responsabilità sociale. © Tonatiuh Ambrosetti | Industriekultur.ch.

«Molte aziende della nuova industria si affidano per i loro edifici alla prefabbricazione, ma non mancano progetti originali e di qualità. In particolare sono interessanti dal profilo architettonico le soluzioni tecnologiche e innovative di industria chimica, pharma e medtech, che necessitano di un’impiantistica complessa, spesso fino a un terzo della loro superficie totale. Alcuni la integrano, altri la sfoggiano, con tubi di acciaio sul tetto o attorno alle facciate, che sono la moderna versione dell’estetica della macchina. Al contempo, grande attenzione viene data alla sostenibilità, spaziando dall’ergonomia delle postazioni di lavoro alla presenza di aree verdi. Un esempio eloquente è sicuramente il distretto CorPharma che Ibsa sta sviluppando nel Pian Scairolo su un’area di ben 68mila metri quadri, coordinato dall’Arch. Christophe Almeida Direito, trasformando l’insediamento industriale all’insegna della cura per l’ambiente e il benessere dei lavoratori», conclude la curatrice di Ticino industriale.

Mentre ci si affaccia alla nuova era dell’industria 4.0, resta da vedere se le fabbriche, che si fanno sempre più artificialmente intelligenti, sapranno rendere interessanti e praticabili anche sul costoso suolo elvetico le nuove forme di produzione personalizzata e just in time, dando forma al settore secondario del domani e, con esso, al paesaggio ticinese. A loro volta, sempre più beneficiando dei nuovi strumenti digitali di progettazione e gestione degli edifici, come il Bim.

Per raccogliere la memoria di un patrimonio architettonico che testimonia quasi due secoli di storia industriale svizzera e per permettere anche alle future generazioni di comprendere come ne abbia plasmato il tenore di vita e lo sviluppo degli insediamenti e dei trasporti, è stato avviato nel 2006 il progetto nazionale industriekultur.ch, un inventario online, accessibile gratuitamente, accompagnato da una serie di pubblicazioni curate dall’esperto Hans-Peter Bärtschi, promotore dell’iniziativa, sostenuta dalla Società svizzera di cultura industriale e storia della tecnica (sgti.ch), con sede a Winterthur. I finanziamenti provengono da Confederazione, cantoni, comuni, fondazioni e sponsor privati.

Progredendo a tappe, il repertorio copre oggi circa metà del territorio nazionale, Ticino incluso, per il quale si aggiunge la guida Ticino industriale (Edizioni Casagrande, 2024), protagonista del presente articolo. Attualmente sono disponibili già circa 5.000 oggetti con 7.000 sotto-schede: edifici rilevanti da un punto di vista storico e architettonico, ma anche macchinari, strutture per il trasporto, archivi di fabbriche dei due secoli passati. Entro fine anno si aggiungeranno le pagine dedicate ai Cantoni Argovia e Soletta, successivamente si proseguirà con la Svizzera romanda. L’obiettivo della coordinatrice del progetto, Hanna Gervasi, è concludere entro il 2030, con un totale di 11mila pagine di approfondimento. Ciascun oggetto sarà documentato con almeno un breve testo e un’immagine, approfondendo la descrizione per i più complessi o particolarmente ben conservati. Sarà così possibile offrire una panoramica completa e accurata che, travalicando i confini regionali, permetta di confrontare gli oggetti, identificare quelli rari e unici da preservare e fornire nuovi stimoli per ricerche o interventi di riconversione.

La copertina del volume Ticino industriale. Una guida architettonica, Edizioni Casagrande, 2024.

Dalle acciaierie ai cappellifici, dai mulini alle fabbriche di cioccolato, dalle centrali elettriche ai laboratori delle ditte farmaceutiche, dai più complessi impianti ferroviari ai centri logistici dell’economia globale: questo volume invita a scoprire la storia industriale del Canton Ticino attraverso un centinaio di schede che descrivono altrettanti oggetti significativi dal punto di vista storico e architettonico. Suddivise in sette sezioni tematiche, le schede sono accompagnate da oltre duecento fotografie a colori e da approfondi-menti sugli sviluppi delle fabbriche, sui diversi rami dell’industria e le rispettive esigenze costruttive. Tra i progettisti delle opere presentate ci sono figure di rilievo dell’architettura e dell’ingegneria: personaggi spesso sconosciuti al grande pubblico, ma che hanno contribuito a dare al territorio la forma che conosciamo: ingegneri come Pasquale Lucchini (fautore del ponte-diga di Melide), Robert Maillart (che ha disegnato i memorabili Magazzini Generali del Punto Franco di Balerna) e Giovanni Lombardi (tra i suoi numerosi progetti, la diga della Verzasca), e architetti come Rino Tami (che ha dato un profilo unitario all’autostrada A2), Paolo Mariotta (autore di eleganti edifici come la centrale elettrica Verbano di Brissago e la fabbrica Schindler di Locarno) e Gio Ponti, di cui si presenta qui per la prima volta l’unica incursione nota in territorio svizzero.

Ticino industriale. Una guida architettonica, a cura di Valeria Frei, Edizioni Casagrande, 2024, pp.272 – ISBN 9791255590163