TM   Febbraio 2024

Il fiato corto del dragone

Dopo anni vissuti molto intensamente la Cina si trova oggi in una situazione complessa, chiamata a gestire crisi delle più disparate, dall’immobiliare al debito locale, dal rallentamento della crescita alla demografia, dalla fiducia di famiglie e imprese alla geopolitica. Gli strumenti per uscirne meglio di prima li ha, ma l’equilibrismo necessario a farlo è dei più notevoli. Intervengono Mattia Nocera, Ceo Belgrave Capital Management, Gruppo Ceresio Investors; Ben Buckler, Investment Specialist Director di Baillie Gifford; Nicholas Yeo, Director and Head of Equities China at abrdn; Elena Guglielmin, Cio di Ubs Wealth Management; Alex Chung, Presidente della Camera di Commercio Svizzera in Cina, sezione Ticino; Arthur Kroeber, Partner fondatore e responsabile della ricerca di Gavekal; Simona Grano, Docente e ricercatrice dell’istituto per gli studi di Asia e Oriente dell’Università di Zurigo; e Alessandro Rollo, Etf Product Manager di VanEck.

di Federico Introzzi

Responsabile editoriale Ticino Management

Trascendendo i difficili rapporti che intercorrono tra Russia e Occidente ormai da qualche anno, dopo le rose e fiori dei primi del nuovo secolo, ad avere completamente stravolto gli equilibri mondiali nell’ultimo ventennio è stato l’imporsi sulla scena mondiale della Cina. Oggi seconda economia mondiale, e molto probabilmente destinata a rimanere tale, salvo una reviviscenza europea – il possibile sorpasso sembra essere acqua passata -, ha vissuto fortune altrettanto alterne.

È stata prima corteggiata e poi accolta con trasporto proprio da Washington in seno all’economia globale, è diventata rapidamente terra promessa di molte industrie occidentali, alla ricerca della competitività perduta, o almeno di una sua scorciatoia, si è dunque accreditata quale nuova patria del manifatturiero mondiale e idrovora delle emissioni di Treasury americani, ha poi indossato l’elmetto del muratore aprendo cantieri in decine di Paesi emergenti, si è riscoperta ingegnere elettronico segnalandosi anche nel settore tecnologico, ha infine iniziato a tastare il terreno per mettere in discussione forse un giorno l’egemonia americana, e… cadde in disgrazia.

Il rapporto tra Cina e Occidente non è però una prima assoluta della storia, così come il celebre mercante veneziano Marco Polo, che nel XIII secolo viaggiò sino all’allora chiamato Catai, non ne fu il precursore. Se l’esistenza di contatti diretti tra Roma e Pechino è argomento di dibattito, anche accademico, è certo che per il tramite di intermediari, e nemmeno troppo per bene, l’interscambio commerciale fosse già nei primi secoli avanti Cristo particolarmente vivace, e sin da allora a credito dei cinesi. Eppure uno dei più grandi e potenti commercianti di Roma, e in generale della Storia antica, Marco Licinio Crasso, potrebbe ricoprire un ruolo a tratti sorprendente in questo lungo e complesso dibattito. Perché?

La risposta a molti interrogativi potrebbe essere letteralmente affondata nella sabbia dell’attuale Harran, un insignificante villaggio di poche migliaia di abitanti, in Turchia al confine con la Siria, all’epoca noto come Carre, dove nel 53 a.C. lo stesso Crasso perse la vita nel peggiore dei modi possibili, almeno per un mercante, in battaglia. Una prima nuova ulteriore domanda dovrebbe dunque essere cosa ci facesse lì, e soprattutto perché in veste di generale.

Pur in qualità di mercante, o forse proprio per questo, nel 60 a.C. siglando insieme a Pompeo e Cesare un accordo privato di reciproco aiuto e sostegno, noto come primo triumvirato, era diventato a tutti gli effetti l’uomo più potente di Roma, il contrappeso perfetto dei due celeberrimi generali. Negli anni seguenti, mentre Cesare consolidava la sua presa sulla Gallia, Crasso veniva nominato governatore delle ricche province orientali, nello specifico proconsole della Siria, da cui iniziò a pianificare la sua ‘Gallia’, una campagna di conquista delle regioni vicine in mano ai Parti, in direzione di Babilonia. Tempo di iniziare, che già 30mila legionari erano morti nel mezzo di lande desertiche, o dispersi. Ed è qui il punto.

Dei 40mila uomini iniziali, circa la metà era morta già a Carre, insieme allo stesso Crasso e al figlio, un quarto era scampato fuggendo, il restante quarto, dunque circa una legione (5mila effettivi), era stato fatto prigioniero. Salvo poi essere stato malauguratamente ‘perduto’ durante la prigionia, che in linea di principio si sarebbe dovuta svolgere nell’attuale Turkmenistan, una provincia remota dell’impero partico, all’atto di siglare la pace con i romani anni dopo, nel 17 a.C., la scoperta: erano spariti nel nulla. Da qui il soprannome di ‘legione perduta’. Secondo un certo filone di ricercatori e accademici, poi ripreso in diversi romanzi di un certo successo, tali prigionieri dopo aver percorso i primi 2mila km per arrivare in Turkmenistan, avrebbero proseguito per ulteriori 3mila, raggiungendo la remota provincia cinese di Gansu, da qui la città di Liqian.

Molte le coincidenze che spingono a ritenere possa esservi un fondo di verità in quella che all’apparenza potrebbe sembrare invece una teoria strampalata, degna per l’appunto di un romanzo ma destinata a rimanere tale. Il nome stesso della cittadina di Liqian non è di origine cinese, sono molti gli indizi archeologici che suggeriscono la presenza in quegli anni di una comunità compatibilmente romana nella regione, architettura e tecniche di costruzione in primis, i tratti somatici e il patrimonio genetico dei presunti discendenti hanno affinità europee. Si può dunque concludere che Crasso abbia avuto un ruolo chiave nel gettare le premesse di questi contatti tra Cina e Occidente?