Tradizionalmente se si pensa al Wealth Management, o anche soltanto all’amministrazione di patrimoni di una certa dimensione, con dunque tutte le complicazioni del caso, almeno sino a qualche anno fa sarebbe venuta altrettanto facilmente in mente la Svizzera, con la sua tripartita Piazza. Nonostante dai primi anni Duemila sia iniziato un lento processo di erosione dell’aura di invincibilità che l’industria finanziaria elvetica si era costruita nei decenni precedenti, sotto molti aspetti rivaleggiando anche con i giganti di Wall Street, la Confederazione rimane leader mondiale nell’amministrazione di patrimoni transfrontalieri, e pur dovendo temere oggi la concorrenza di sempre più agguerriti Hub esteri, come l’astro di Singapore in Asia, tautologicamente la Svizzera è ancora la stessa.
I punti di forza elvetici che la tradizione ha ampiamente snocciolato nell’arco dell’ultimo mezzo secolo di fervente attività sono noti, e nonostante alcuni siano venuti ormai meno, altri sono stati reinterpretati e riletti alla luce di un mondo moderno completamente diverso dal Dopoguerra, ma in cui domanda e offerta non sono poi così evolute. Del resto, se i bisogni delle persone non si sono stravolti nel corso dei secoli, pur assumendo priorità differenti, è anche vero che la causa prima di tutto sia nota: le persone sono sempre le stesse. Si susseguono le generazioni, certo, ma dovendo andare a caccia di differenze, cosa è davvero cambiato?
Lato cliente, spostando le lancette a qualche anno fa, non molto. La famiglia tradizionale è andata certamente sfoltendosi, quella ‘allargata’ si è invece velocemente ampliata grazie a frequenti ‘acquisizioni’. Sotto molti aspetti si potrebbe affermare che tutto stia rientrando nei ranghi, in questo caso romani, dopo un’ubriacatura durata diversi secoli. Al pari del tempo il patrimonio rimane nelle mani del capostipite, molto spesso sino all’ultimo, ma diversamente da allora le pratiche successorie si sono complicate.
Lato gestore, dunque chi questo patrimonio dovrebbe gestirlo, e farlo rendere abbastanza da coprire le necessità della famiglia più o meno allargata che sia, qualcosa è invece sicuramente cambiato. Geograficamente negli ultimi anni si è tornato ad avvicinare al cliente finale, ha dunque lasciato per alterne vicende la Svizzera nel caso di molti, dialoga molto più spesso con il suo assistito e cerca di relazionarsi anche con la generazione successiva con crescente interesse, dopo aver ‘aggiornato’ e migliorato la sua offerta di servizi. Ma come se la sarebbe cavata l’antenato di questo gestore?
A dipendenza del secolo la sua fisionomia, e per certi versi anche la sua specializzazione, sarebbero radicalmente cambiate, a fronte di un mutamento ancor più radicale dei mercati di riferimento in cui avrebbe operato. Un primo dato importante, da non dimenticare, è che un ricco senatore romano, e dunque spesso anche generale, come potrebbe essere il caso di Publio Cornelio Scipione (Africano), non si sarebbe mai rivolto a un suo pari. I costumi dell’epoca proibivano categoricamente alle classi più alte, e la Gens Cornelia era tra le più nobili e antiche di Roma, di gestire il proprio patrimonio, che gli usi invece volevano fosse interamente investito in immobili e tenute agricole. Dunque quale sarebbe stata la funzione di Marco Licinio Crasso, il potenziale gestore di Scipione?
Crasso in quegli anni sarebbe stato con ogni probabilità un astuto e rispettato mercante appartenente al ceto equestre, dunque un medio borghese, ma incredibilmente benestante, spesso molto più del suo ‘cliente’. Il tipico pragmatismo latino avrebbe spinto Scipione a trovare, e in fretta, entrate stabili per fronteggiare spese esorbitanti derivanti dal suo status sociale, prima di finire in miseria. Altra eventualità abbastanza frequente. Il rendimento da immobili era tra i più bassi dell’epoca, si sarebbe dunque rivolto a Crasso perché, solo sotto anonimato, gli investisse una parte del patrimonio in mercati pubblici, dunque azioni od obbligazioni, o privati, Private Debt o Equity, ad esempio qualche redditizio affare in un mercato di frontiera, ancora vergine della dominazione romana. Partecipe del segreto, oltre ai due interessati, il banchiere di Publio, noto per la discrezione.
In periodo monarchico, quando Roma si stava ancora affermando, Crasso sarebbe stato inevitabilmente un cittadino romano, e avrebbe con ogni probabilità investito nelle regioni vicine, in particolare nella Magna Grecia, dunque nel meridione della Penisola e in Sicilia. A distanza di pochi secoli avrebbe assunto nazionalità italica, ma con residenza molto probabilmente a Roma, e già attivo nella Spagna orientale, nel sud della Francia e nel Nord Italia. Nel corso del I a.C. tutto sarebbe stato stravolto. Il discendente di Crasso sarebbe stato molto probabilmente un immigrato greco, con attività nell’intero bacino del Mediterraneo, e con succursali concentrate in Medio Oriente. Anche le banche depositarie si sarebbero mano mano allontanate dall’Italia, al pari degli investimenti, sempre più finanziariamente sofisticati e arditi, risalendo ad esempio le vie della seta, ma difesi da un Impero che nel frattempo era nato.
A prescindere dal secolo, se la relazione tra cliente e gestore continua ad avere un che di mistico o alchemico, domanda e offerta dei servizi proposti nella loro essenza non sono cambiati.