TM   Novembre 2024

Il dilemma di Taiwan

Il nodo tutto da sciogliere tra Pechino e Washington si trova su un’isola molto nota, e dipende dal destino di un’unica fondamentale azienda: Tsmc. Che succederà? L’analisi di Riccardo Grisanti, addetto alle gestioni patrimoniali di Axion Swiss Bank guidate da Walter Lisetto.

Riccardo Grisanti

di Riccardo Grisanti

Addetto alle gestioni patrimoniali di Axion Swiss Bank (guidate da Walter Lisetto)

Il mondo contemporaneo è sempre più dominato dalla tecnologia e, in particolare, dai semiconduttori, quei minuscoli chip che alimentano tutto, dai telefoni ai computer, fino alle automobili. In questo contesto, Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc) emerge non solo come leader industriale, ma come un protagonista geopolitico. Il destino dell’industria tecnologica globale è intimamente legato a Tsmc e le tensioni tra Stati Uniti e Cina stanno trasformando Taiwan in una pedina cruciale sullo scacchiere geopolitico globale.

In primo luogo, è fondamentale capire perché l’azienda sia così importante. La società taiwanese produce oltre il 60% dei semiconduttori mondiali e il 90% dei chip più avanzati, cruciali per l’industria tecnologica globale. Questi semiconduttori non sono solo prodotti industriali: sono il ‘cervello’ delle innovazioni moderne.

Senza di essi, settori chiave come le automobili, l’elettronica di consumo e persino la difesa militare sarebbero paralizzati. A livello globale, il 5,6% del valore aggiunto totale proviene da settori che utilizzano i chip come input diretti, ovvero quasi 6 trilioni di dollari. Ad esempio, Apple, Nvidia, Intel, Qualcomm, Amd, Huawei e Tesla dipendono tutte da Tsmc. La capitalizzazione di mercato totale per i primi 20 clienti del gigante dei chip Tsmc è di circa 7,4 trilioni di dollari. Questa dipendenza rende il sistema fragile. Se la produzione della taiwanese venisse interrotta, a causa di un’invasione o di un blocco commerciale tra Taiwan e il resto del mondo, l’impatto sarebbe devastante. Le stime parlano di una riduzione del Pil globale del 10%, ma è la perdita di capacità tecnologica avanzata che metterebbe a rischio la competitività di intere nazioni.

Perché Taiwan? È una democrazia ricca e prospera, che si trova proprio di fronte alla costa cinese. Storicamente, le due Cine – quella continentale e quella di Taipei – sono state in conflitto per il controllo dell’isola, ma negli ultimi decenni la situazione è rimasta relativamente stabile grazie al principio della One China Policy accettato dagli Stati Uniti e dalla comunità internazionale.

Tuttavia, la recente assertività della Cina sotto Xi Jinping ha riacceso le tensioni. La Cina rivendica Taiwan come parte del proprio territorio e ha mostrato una crescente ostilità verso ogni tentativo dell’isola di affermare la propria sovranità. Dall’altra parte, gli Stati Uniti considerano Taiwan un alleato strategico cruciale, sia per contenere l’espansione dell’influenza cinese nell’Indo-Pacifico, sia per l’importanza dello Stretto di Taiwan, una delle rotte marittime più trafficate al mondo. Tuttavia, ciò che rende Taiwan ancor più rilevante a livello globale è la sua industria dei semiconduttori, dominata da Tsmc.

Fondata nel 1987 da Morris Chang che ricevette l’incarico dal governo di Taiwan di sviluppare l’industria dei semiconduttori sull’isola. Mentre la maggior parte delle aziende puntava a produrre i propri chip, Chang si concentrò sulla produzione per conto terzi, diventando un partner indispensabile per le principali imprese tecnologiche. Questa mossa, accompagnata da una politica di predatory pricing, ha permesso a Tsmc di conquistare rapidamente quote di mercato.

Ad oggi la taiwanese con i suoi semiconduttori è diventata un’infrastruttura critica per l’intero sistema economico mondiale. Una guerra, un’invasione o persino un blocco marittimo di Taiwan avrebbe conseguenze disastrose per la filiera produttiva globale. La produzione di laptop, tablet, smartphone e automobili si fermerebbe, poiché nessun altro Paese è in grado di sostituire Taiwan nel breve periodo. Washington, consapevole di questo, ha varato il Chips Act, un pacchetto di investimenti da 280 miliardi di dollari per riportare la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti. Ma il recupero delle competenze industriali perse richiederà tempo, e per ora Tsmc rimane insostituibile.

A questo punto, è lecito chiedersi: che cosa spinge le superpotenze a evitare una guerra, nonostante le crescenti tensioni? Il calcolo è complesso. La risposta risiede in un delicato bilancio di costi e benefici. Da un lato, la Cina ha l’ambizione strategica di riunificare Taiwan, ma è consapevole che un conflitto aperto comporterebbe costi economici enormi. Si stima che, senza l’accesso ai semiconduttori avanzati e con le relazioni commerciali interrotte, il Pil cinese potrebbe ridursi del 16,7%. A questo si aggiunge la crisi del settore immobiliare che già sta mettendo sotto pressione l’economia cinese. Per gli Stati Uniti, pur geograficamente più lontani dal centro del conflitto, i costi sarebbero comunque significativi: il loro Pil potrebbe calare del 6,7%, considerando anche la forte dipendenza di aziende come Apple dalla catena di fornitura asiatica. La protezione di Taiwan è essenziale per gli interessi strategici americani, ma un coinvolgimento militare diretto con la Cina rischierebbe di innescare conseguenze devastanti su scala globale.

In questo contesto, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno adottato una strategia di contenimento. Il supporto militare a Taiwan, le sanzioni economiche e l’isolamento diplomatico della Cina sono tutte misure che mirano a dissuadere Pechino da azioni aggressive. Tuttavia, questa strategia non è priva di rischi. L’esempio della visita di Nancy Pelosi a Taiwan nel 2022, percepita da Pechino come una provocazione, ha dimostrato quanto ogni gesto possa potenzialmente scatenare una reazione militare. Ne sono una prova le recenti esercitazioni militari cinesi Joint Sword-2024B svoltesi nell’ottobre di quest’anno nello Stretto di Taiwan, definite da Pechino come un ‘severo avvertimento’ contro il governo di Lai Ching-te, che continua a spingere verso l’indipendenza dell’isola.

Ma la questione di fondo è più sottile. La Cina potrebbe optare per una strategia graduale, esercitando una pressione economica e militare costante su Taiwan, in modo da logorarne l’economia senza dover ricorrere a un’invasione diretta, la cosiddetta strategia della ‘rana nell’acqua che bolle’.

Questo approccio economico mirerebbe a mettere pressione sull’isola, facendola dipendere sempre più dagli Stati Uniti e obbligando Washington a sostenere un’escalation potenzialmente disastrosa. Parallelamente, Tsmc sta già anticipando le possibili turbolenze geopolitiche diversificando la propria presenza globale in Stati Uniti, Giappone e Germania. Non a caso, nel primo trimestre del 2023, il leggendario investitore Warren Buffett ha venduto la sua quota in Tsmc, citando proprio il rischio geopolitico come fattore chiave per la decisione.

Dunque, il futuro della società taiwanese è quanto mai incerto. Se l’azienda riuscirà a mantenere il suo ruolo centrale nel mercato dei semiconduttori, continuerà a essere une dei fulcri della tecnologia globale. Tuttavia, questo status la pone anche in una posizione estremamente vulnerabile. Le tensioni tra Washington e Pechino non sono solo una questione di supremazia politica o militare. Sono il risultato di un’economia globale iper-connessa, dove il controllo della tecnologia definisce il potere. Tsmc si trova al centro di questo sistema, rappresentando sia una risorsa critica che una potenziale vulnerabilità per tutte le parti in gioco.

La grande sfida sarà capire se le superpotenze riusciranno a trovare un modo per convivere senza scatenare un conflitto. Taiwan e Tsmc saranno i principali arbitri di questo equilibrio, e il futuro della tecnologia globale dipenderà dalla loro capacità di navigare in questo complesso scenario geopolitico.

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