TM   Giugno/Luglio 2024

I Giochi, infrastrutturali

Le grandi sfide per l’Europa vanno di mese in mese ampliandosi, e la Politica è solo una delle tanti voci. A essere aperta è la questione delicata del come dotarsi di tutte le infrastrutture necessarie al buon funzionamento di un continente che non deve più essere Vecchio di nome e di fatto, ma nuovo almeno nei fatti, per tornare a correre. In questo la Svizzera non fa eccezione, dove a dominare è il risiko energetico. Le rinnovabili? Una pia illusione. Ma chi dovrebbe pagare?

Intervengono Elena Guglielmin, Cio di Ubs Wealth Management, Carlo Ratti, architetto di Carlo Ratti Associati e responsabile del Senseable City Lab del Mit di Boston, Jean-Pierre Petit, Chief Strategist di Quaero Capital, Andrea Colosio, Senior Manager & Co-Head del Wealth Management Center of Excellence di PwC, Samuele Sordi, Chief Architect di Pininfarina, David Kohl, Chief Economist di Julius Baer, Luba Nikulina, Chief Strategy Officer di Ifm Investors, Morgane Delledonne, Head of Investment Strategy Europe di Global X, e Sameer Amin, Global Head of Concession Infrastructure platform di abrdn.

di Federico Introzzi

Responsabile editoriale Ticino Management

Le infrastrutture

Colosseo, © David Kohler
Dopo i disastri degli ultimi anni della Dinastia giulia, la prima, la seconda dell’età imperiale si distingue per grandi opere infrastrutturali, tra cui l’inaugurazione del Colosseo, detto altrimenti l’Anfiteatro flavio, il primo stadio moderno, in più d’un senso. Quanto è cambiato oggi? Il Colosseo ©David Kohler.

Travertino, malta, laterizio, marmo, tufo, sabbia, e un sacco di mattoni. Laddove uniti a ottime conoscenze tecniche e teoriche architetturali, un minimo di pragmatismo e molto ingegno, oltre a un’ineccepibile metodicità dei processi; ecco gli ingredienti perfetti per edificare l’ossatura di una potenza destinata a sopravvivere nei secoli, anche a sé stessa. Del resto nessuno metterebbe in discussione l’esistenza di Roma, o del suo controllo sul bacino del Mediterraneo e di buona parte dell’Europa continentale. Le vestigia del passato lasciate a costellarne il paesaggio, anche dopo la partenza dell’ultima legione nel 410 dal Regno Unito, sono impressionanti, e sopravvivono nel tempo. Si può dunque affermare sia stata la potenza che più nella storia dell’uomo ha plasmato il territorio in cui è vissuta? Dalla sua, decine di secoli di fervente attività, un altro record difficilmente eguagliabile, oltre a una capacità unica di progettazione e costruzione, sicuramente per l’epoca, ma anche in prospettiva.

Ad aver fatto Roma grande sono stati i suoi cittadini, liberi e democratici in molto se non tutto, mossi da un protagonismo altruista, solo di rado in contrasto con l’interesse superiore della società nel suo insieme. Certo, Cesare ha conquistato la Gallia e molto altro anche per suo interesse, ma nel farlo a beneficiarne era anche quell’idea idealizzata di Roma, che tutti i suoi protagonisti hanno sempre avuto in mente. Sta qui la differenza con quasi ogni altra potenza del mondo antico, e la storia sembra suggerire anche moderno e contemporaneo. A parlare sono in primis i fatti, al netto delle anime candide.

La storia ha consegnato alla posterità illustri vestigia di quelli che un tempo furono architetture pubbliche, progettate e realizzate per durare nei secoli, al servizio della collettività, è dunque il caso di stadi, terme, tribunali, acquedotti, quartieri abitativi, luoghi pubblici, oltre certo a palazzi, strutture difensive, tombe, e luoghi sacri, una netta minoranza del totale, che sono invece gli unici lasciti di quasi tutte le altre civiltà. Grandi costruttrici di tombe e templi, o di poco altro, non troppo durevoli nel tempo.

Ecco dunque i greci, ben noti per essere mediocri costruttori, e di cui a essere sopravvissuti sono quattro templi; o gli egizi, tombe a non finire, scavate nella pietra, e qualche tempio; i cinesi, templi e palazzi, laddove non città (rigorosamente proibite); o gli inglesi, se il loro è stato l’impero più vasto della storia, cosa si può dire del loro lascito? Sempre meglio dei francesi, e degli spagnoli, che con le colonie e i colonizzati non si può dire abbiano mai intrattenuto rapporti distesi e amichevoli. E che dire degli americani?

Una prima domanda che in Europa ci si dovrebbe sempre porre è se la nuova struttura sia davvero indispensabile. Se la risposta è sì, si apre il capitolo materiali, con la tecnologia che può dare una grossa mano nel limitarne il consumo e gli sprechi, ricorrendo ad esempio a costruzioni o elementi prefabbricati

Carlo Ratti

Carlo Ratti

Architetto e responsabile del Senseable City Lab del Mit di Boston

A distanza di 27 secoli dalla sua fondazione l’eredità latina è invece più viva che mai, e in costante espansione, quasi sempre di strutture a uso civile, che a va a sommarsi a un patrimonio già particolarmente ricco, sopravvissuto al tempo senza bisogno di particolare cura o manutenzione, anzi; sensibilità andata invece crescendo nel corso degli ultimi cento anni. È dunque il caso di strade e acquedotti, costruiti senza mai lesinare, sono oltre 100mila i km di strade lastricate, 2mila i ponti, o 500 i km di acquedotti per rifornire di acqua la sola Roma. Edifici pubblici, tribunali, arene e mercati, altrettanto numerosi, e presenti in quasi ogni insediamento degno di questo nome, a partire da quello che è forse l’edificio più emblematico di questa civiltà: il Colosseo, detto altrimenti Anfiteatro Flavio. Per dare un’idea: 100mila metri cubi di travertino, 350mila mattoni, per quasi 50 metri di altezza (fondamenta escluse), donati ai romani dalla nascente dinastia Flavia, nella fattispecie Vespasiano, e generosamente finanziati dal saccheggio di Gerusalemme nel 70 d.C.

I romani sono dunque stati sì grandi conquistatori, e attenti pianificatori, ma anche indiscutibilmente costruttori concentrati sul mondo dei vivi, e delle loro esigenze. Un’altra qualità… unica.