A fine 2023 si riteneva che lo slancio economico dell’economia americana sarebbe proseguito nella prima parte dell’anno, ma che poi si sarebbero “addensate nubi di tempesta in vista di un rallentamento nel secondo semestre”. Otto mesi dopo, cosa e come è cambiato?
Mercati in crisi. A inizio agosto, una serie di fattori ha fatto salire la pressione. Il 31 luglio, la Banca del Giappone ha colto di sorpresa gli operatori alzando i tassi di 15 bp allo 0,25% e presentando un piano di dimezzamento degli acquisti di obbligazioni nei prossimi due anni.
Ciò ha fatto temere che gli investitori potessero iniziare a sciogliere i “carry trade” con cui avevano preso in prestito yen giapponesi per investire in valute a più alto rendimento. La debolezza dei dati Ism manifatturieri e occupazionali negli Stati Uniti ne ha fatto temere un forte rallentamento. Inoltre, i Magnificent 7 hanno mostrato segni di cedimento: dal picco di inizio luglio, alla fine del mese avevano perso il -9,9%, mentre l’indice Russell 2000 delle piccole capitalizzazioni era balzato del 9,9% nello stesso periodo.
L’impatto sul mercato è stato drammatico. Le azioni giapponesi hanno registrato il più grande crollo di sempre in tre giorni (-20%), mentre lo S&P500 è sceso dell’8,5% dai massimi storici di metà luglio. Il 5 agosto, il Vix ha toccato il 65% intraday, il terzo picco di sempre. I rendimenti dei Treasury decennali sono crollati di -49 bp rispetto a fine luglio, toccando il 3,79%, il livello più basso dallo scorso luglio. Il dollaro è sceso dell’1,8% in due giorni, mentre lo yen è salito del 12,1% dai minimi di inizio luglio.
Le aspettative sulla Fed. La combinazione di dati economici più deboli e turbolenze di mercato ha portato a un drastico cambiamento delle aspettative. A inizio luglio, Bloomberg indicava una probabilità del 70% per un taglio di 25 bp a settembre. Il 5 agosto, si pensava che al 100% avrebbe tagliato di 50 bp, con diversi Nobel a chiedere di farlo prima.
Stress in calo. Da allora, i toni si sono distesi, e al 28 agosto le perdite azionarie sono state coperte quasi del tutto, anche rispetto al massimo di luglio, mentre la volatilità era scesa al 17,1%. A Jackson Hole, Powell ha chiarito a tutti che la sua attenzione si è spostata dall’inflazione al mercato del lavoro e che la riunione di settembre vedrà un taglio di 25 bp. I mercati hanno recepito il messaggio: mercoledì scorso i trader attribuivano solo il 35% di probabilità a un taglio dei tassi di -50 pb il mese prossimo.
Le prospettive. La velocità e l’ampiezza dei movimenti di mercato sono state esacerbate dalla scarsità dei volumi estivi. I mercati erano molto alti, e i ribassi infra-annuali superiori al 5% sono la regola, almeno dal 1950, con sole sette eccezioni. È in atto un previsto rallentamento, ma non dovrebbe sfociare in recessione, per via di un generoso deficit pubblico, bassa disoccupazione, buona tenuta dei consumi. Come mostra anche il GdpNow della Fed di Atlanta, che prevede una crescita annualizzata nel terzo trimestre del 2%.
Inoltre, la stagione degli utili del secondo trimestre è stata incoraggiante: secondo Bloomberg, quelli dello S&P500 sono aumentati dell’11,4% su base annua, superando del 5,2% le aspettative. In prospettiva, nelle ultime quattro settimane gli analisti hanno rivisto al rialzo dello 0,7% gli Eps a dodici mesi, portandole al 13,5%. Tuttavia, si prevede un rialzo limitato: lo S&P500 è attualmente scambiato a un elevato 23,9x. Gli investitori dovrebbero dunque approfittare, e riorientarsi sulle small-mid cap: la versione equal-weight dello S&P500 viene scambiata a 18,7x mentre si attende una crescita dell’11,2% dell’Eps nei prossimi dodici mesi.
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