TM   Giugno/Luglio 2024

Cogliere l’essenza

In un’epoca che interroga l’arte fotografica sulla sua stessa sostanza, a testimoniarne il senso profondo è l’opera di Fosco Maraini, che ne fu magistrale interprete. L’eccezionale selezione di 223 scatti, in mostra al Musec di Lugano, è frutto dell’importante progetto di ricerca che, a 20 anni dalla scomparsa, approfondisce questo capitale aspetto del suo percorso creativo ed esistenziale.

di Susanna Cattaneo

Giornalista

Della dignità artistica della fotografia fu convinto assertore. A metà anni Trenta, quando lui ne aveva poco più di una ventina e le stagioni dei suoi leggendari reportage avevano ancora da inaugurarsi, Fosco Maraini (1912-2004) già aveva messo a fuoco le potenzialità di un linguaggio espressivo che si scontrava con i preconcetti di chi vi vedeva un mero procedimento meccanico, senza spazio per la creatività. Fra tutte le forme d’arte, Fosco la riteneva invece la più adatta “a interpretare l’animo moderno”, “un mezzo nuovo e perfettamente autonomo di esprimere impressioni, sentimenti, ideali”. Esattamente quanto avrebbero fatto le sue immagini: mai didascalicamente documentarie, mai vanamente retoriche, ma genuinamente evocative nella capacità di cogliere quell’attimo, quella prospettiva, quell’affioramento che, isolato dal flusso del presente, ne condensa tutta la profondità. Una profondità raggiunta grazie all’empatia e alla vocazione alla conoscenza che del celebre etnologo, orientalista e scrittore fiorentino – per nominare almeno tre delle sue fondamentali anime – erano le qualità distintive.

fosco maraini Principessa Pemá Chöki Namgyal
Lo scatto più conosciuto e iconico di Maraini, coglie la bellezza estetica e interiore della principessa Pemá Chöki Namgyal, dotata di uno spiccato interesse per la cultura e le arti (India, Sikkim, Passo Nāhū Lā, 1948) / © Foto Fosco Maraini / Proprietà Gabinetto Vieusseux © 2024 Archivi Alinari.
Fosco Maraini, Pericolo di morte!
Una delle opere più conosciute degli esordi di Fosco, che ritrae l’amico Bernardo Seeber (1912-2005), compagno di molte sue escursioni giovanili: “Pericolo di morte!”, Firenze, 1928 / Proprietà Fotografia di Fosco Maraini / Proprietà Gabinetto Vieusseux © 2024 Archivi Alinari.

«Fosco guardava il mondo con occhi chiari, senza alcuna ipocrisia o preclusione, con grande intelligenza e anche una sottile ironia. Quando abbiamo deciso di commemorare i venti anni dalla sua scomparsa, ci siamo subito orientati sulla fotografia, da una parte perché alla sua etnologia e alla sua scrittura era stata dedicata nel 2007 un’antologia (Pellegrino in Asia, i Meridiani, Mondadori) cui sarebbe stato difficile aggiungere nuovi elementi, dall’altra perché proprio nella fotografia si può individuare la quintessenza della sua vita e della sua visione del mondo: libera, luminosa, laica, concreta e anche sportiva come era lui, con la sua contagiosa gioia di vivere», illustra Francesco Paolo Campione, direttore del Musec – Museo delle Culture di Lugano che, al termine di un progetto di ricerca durato oltre due anni, presenta fino al 19 gennaio la più grande esposizione mai dedicata all’opera fotografica di Fosco Maraini, accompagnata dalla pubblicazione di un volume (edizioni Skira) tanto imponente nella mole quanto denso nei contenuti, una pietra miliare per chi voglia dedicarsi a questo aspetto cardinale della sua poliedrica figura.

Fosco Maraini Gasherbrum I
Paesaggi espressione dell’immensità della natura, ma anche geometrie rieccheggianti di spiritualità. Fosco Maraini eterna le perfette asimmettrie in cui l’uomo inscrive il proprio tempo: il Gasherbrum I alle spalle dell’alpinista Giuseppe Oberto,1958 / © Foto Fosco Maraini / Proprietà Gabinetto Vieusseux © 2024 Archivi Alinari.
Madre Lucente Sapere, tempio Goji di Kyoto, 1954
Lo spazio ideografico teorizzato da Maraini trova una delle sue più perfette espressioni nel ritratto della badessa del tempio di Gioji di Kyoto: “Madre Lucente Sapere”, 1954 / © Foto Fosco Maraini / Proprietà Gabinetto Vieusseux © 2024 Archivi Alinari.

Primo passo del progetto è stato il coinvolgimento delle principali istituzioni che ne custodiscono e promuovono il patrimonio fotografico, entrambe di Firenze: il Gabinetto Vieusseux, depositario dell’immenso archivio che Fosco stesso fu attento a costruire e riordinare, e la Fondazione Alinari che ne conserva e valorizza le immagini digitali, cui successivamente si sono aggiunti ulteriori promotori. Fondamentale l’adesione delle eredi – le figlie Toni e Dacia, la nipote Yoï e la seconda moglie Meiko – che hanno anche condiviso in catalogo i loro ricordi sul rapporto di padre, nonno e marito con la fotografia. Il volume include anche la prima edizione critica degli scritti teorici che Fosco dedicò alla fotografia fra il 1935 e inizio anni ’50, illuminanti su molte sue scelte tecniche e visive. «Da qui ha preso le mosse il lavoro che, dopo il preliminare spoglio di oltre 250 pubblicazioni illustrate per definire i capitoli in cui strutturare il nostro progetto, ha visto l’équipe di ricerca del Musec passare in rassegna oltre 75mila negativi. Le scoperte fatte, insieme alla volontà di garantire armonia e coerenza visiva al percorso espositivo, ci hanno guidato nella selezione che ci vede presentare in mostra 223 fotografie, tutte prime stampe realizzate con la tecnica della stampa giclée su carta baritata, sulla base di scansioni delle pellicole originali, restaurate in digitale per garantire una resa il più possibile aderente alla sensibilità artistica dell’autore. Vi rientra anche la restituzione del formato originario che, per alcuni dei suoi più iconici reportage, come quello dell’Italia del Sud o del Giappone, è risultato essere quadrato, dunque un taglio molto artistico, come è emerso facendo l’inventario di tutte le macchine e le pellicole utilizzate da Fosco», illustra il direttore del Musec, curatore del progetto.

I quartieri popolari del Nostro Sud
Bellezza è anche l’autentica vitalità dei quartieri popolari del “Nostro Sud”, immortalato da Fosco prima che la modernizzazione lo snaturasse (Napoli, 1952-1953) / © Foto Fosco Maraini / Proprietà Gabinetto Vieusseux © 2024 Archivi Alinari.
fosco Maraini [Nuovi miti]. Grecia settentrionale
Fosco Maraini gioca sui contrasti di luce e culture: due contadine musulmane osservano attentamente il cartellone pubblicitario del film “Le mura di Gerico” (1948). “[Nuovi miti]”, Grecia settentrionale, Giugno 1951 / © Fotografia di Fosco Maraini / Proprietà Gabinetto Vieusseux © 2024 Archivi Alinari.

Articolato in 14 tappe tematico-cronologiche, il percorso inanella oltre quattro decadi di attività fotografica, fra il 1928 e il 1971, in Europa e in Asia. Ben 170 immagini ritraggono luoghi e genti dell’Italia e del Giappone, i due capisaldi di Maraini. Della prima ritrasse in particolare in Nostro Sud (1954-56) uomini, donne e bambini del Meridione, a testimonianza non tanto dell’arretratezza delle condizioni sociali, quanto della segreta armonia che li legava alle loro tradizioni e al loro paesaggio. Il secondo, dove era ‘atterrato’ nel 1938 grazie a una borsa di studio per indagare arte, religione e costumi secolari degli Ainu, popolo di origine siberiana che costituiva la più antica etnia del Giappone, divenne sua patria elettiva: «A tal punto vi si immerse e tanto profonda fu la conoscenza dei codici culturali, espressivi, artistici ed estetici sviluppata in anni di frequentazione e studio, da poter mettere in discussione l’assioma dell’etnologia secondo cui sarebbe impossibile identificarsi con il soggetto osservato. Una sorprendente padronanza, denotata anche dalle fotografie che ne realizzò. Immagini che un occidentale può ammirare per la loro sapienza compositiva e bellezza, ma a cui sfuggirà sempre la pregnanza dei rimandi sottesi, che solo uno come lui, con la “pancia piena di ideogrammi” come dicono i giapponesi per indicare una persona colta, poteva cogliere», sottolinea Francesco Paolo Campione.

D’altronde che raccontasse il contrasto fra la sconfinata potenza del mondo himalayano e la fragilità arcaica dell’umanità che lo popola oppure quello fra l’aurea classicità della Grecia antica e la rustica asprezza di quella moderna; che arrampicasse fino ai quasi 8mila metri del Gasherbrum IV per illustrare la spedizione di Bonatti e Mauri o si immergesse sott’acqua a catturare il fascino subacqueo della gauguiniane pescatrici di Hèkura; che documentasse lo splendore dei divini mosaici di Monreale o i rituali sciamanici dei Kalash, ‘ultimi pagani’ al confine fra Pakistan e Afghanistan; che inseguisse l’aereo spettacolo di nuvole e nebbie o contemplasse la mistica forza del fuoco, anche nei processi industriali di un’acciaieria: «Sempre la fotografia di Fosco, sintesi delle sue qualità tecniche, artistiche e intellettuali, si contraddistingue per l’assunzione di una responsabilità estetica che rende l’immagine tanto più forte, quanto più si avvicina ai canoni di chi è fotografato e, travalicando il presente storico, diventa emblema di una condizione umana o una realtà culturale», sottolinea Francesco Paolo Campione.

fosco maraini mosaici Monreale
Maraini restituisce l’integrazione tra progetto architettonico e decorazione che crea la “impressionante scenografia” di Monreale: “Due arcate”, Palermo, Duomo di Monreale, 1951 / © 2024 Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, Roma.
fosco maraini viso del bodhisattva Avalokiteśvara divorato dalla foresta
Il viso del bodhisattva Avalokiteśvara divorato dalla foresta all’ingresso del piccolo tempio di Ta Som ad Angkor (fine del XII secolo), Cambogia. Angkor, 1-4 novembre 1962 / © Fotografia di Fosco Maraini / Proprietà Gabinetto Vieusseux © 2024 Archivi Alinari.

Obiettivo ultimo del progetto è riconoscere definitivamente a Fosco Maraini lo statuto di grande maestro della fotografia del Novecento. «Tutto lo conferma: lo spessore della sua riflessione teorica; l’eccezionale padronanza tecnica; l’apertura alla sperimentazione di diversi linguaggi – dal futurismo a quelli più narrativi per trovare infine la sua sintesi espressiva tra estetiche occidentali e giapponesi -; la scelta di soggetti straordinari come gli Ainu; la consapevolezza dimostrata creando un archivio esemplare,… Un vero Maestro, che seppe comunicare sotto forma di immagine i momenti in cui il soggetto conoscente ha percepito e descritto la realtà in cui tutti noi siamo immersi», sottolinea il direttore del Musec. Immagini carpite all’empresente, come recita il titolo della mostra, riprendendo uno dei neologismi coniati dal poliglotta Fosco, che possedeva anche un lessico infinitamente capace di declinare la molteplicità di significati e valori del mondo (proprio il Fosco scrittore e poeta meriterebbe ulteriori approfondimenti, penalizzato da una tradizione italiana troppo accademicizzante per ammettere la grandezza letteraria di un outsider).

Se la qualità delle stampe valorizza ogni dettaglio e scelta grafica, l’esposizione del Musec permette anche di comprendere come, pur in sé compiuto, il singolo scatto acquisisca ulteriore significato ricondotto alla sua serie, di cui massima espressione sono i reportage. Dal valore della mostra, si intuisce anche come il rapporto di Francesco Paolo Campione con Fosco abbia radici profonde. «Il nostro incontro risale a una trentina di anni fa: serate bellissime in cui prendevo la macchina da Imola, dove allora risiedevo, per raggiungerlo a Firenze. Accolto con tutti gli onori dalla moglie Meiko, che mi faceva sempre trovare una generosa cena, trascorrevamo il fine settimana confrontandoci. Non c’era argomento su cui si esprimesse che non avesse approfondito. La conoscenza era per Fosco il fine ultimo della vita: questa è la grande lezione che mi ha trasmesso in quei lunghi colloqui che ci hanno accompagnati per due anni ogni quindici giorni, dando vita a un fortunatissimo volume, Gli ultimi pagani, e a un’intensa amicizia», conclude Francesco Paolo Campione.

Le pecore nella campagna siciliana
All’aereo spettacolo delle nuvole, soggetto a lungo frequentato dal Fosco fotografo e letterato, fanno eco le pecore nella campagna siciliana. Trapani. 1946-1953 / © Foto Fosco Maraini / Proprietà Gabinetto Vieusseux © 2024 Archivi Alinari.
Nuvole di fuoco' delle Acciaierie Lombarde Falck
Le “Nuvole di fuoco” delle Acciaierie Lombarde Falck. Marzo 1956 / © Foto Fosco Maraini / Proprietà Gabinetto Vieusseux © 2024 Archivi Alinari.

Un rapporto privilegiato che, insieme alle competenze del team di ricerca del Musec, spiega perché, malgrado tutte italiane siano le istituzioni che ne conservano il patrimonio fotografico, sia a Lugano l’epicentro di questa iniziativa. Città di origine della famiglia Maraini – come la toponomastica conferma con la via dedicata a Clemente, fondatore della Bsi (di mano della moglie Adelaide la statua de La sposa dei cantici a Palazzo Civico) e la piazzetta del centro storico intitolata a Emilio, padre dell’industria saccarifera europea – che con intellettuali, artisti e imprenditori che ne hanno nutrito i diversi rami, da qui prese la strada per l’Italia nel secondo Ottocento, compresa quella Firenze in cui Fosco nacque un anno dopo che suo padre, lo scultore Antonio, vi si era trasferito. Meno portato del genitore per il disegno, aveva quattordici anni quando “comparve sulla scene un aggeggio di triviale genealogia e dimesse apparenze”: un’arcaica Kodak Brownie che impugnò con quell’insaziabile curiosità che l’avrebbe accompagnato in ogni sua futura esplorazione, più o meno metaforica. Il salto di categoria sarebbe arrivato con la Leica IIIa vinta a un concorso nazionale nel 1934, che dal primo viaggio in Tibet lo accompagnò in tanti altri, incisi poi sul fondello della cassa dell’apparecchio. Pur autodidatta, rapidamente raggiunto il dominio della tecnica grazie alla sua formazione scientifica, il Fosco viaggiatore, antropologo e umanista comprese subito come l’arte fotografica iniziava laddove si esercita la facoltà di libera scelta: quella sensibilità del tutto personale che guida attraverso le infinite alternative che dall’emozione estetica iniziale conducono alla stampa finale. L’umana profondità di uno sguardo che nell’episodica transitorietà dell’accadere sa vedere e restituire l’essenza, illuminandosi di immenso.

© Riproduzione riservata