Sono molti gli spunti che l’attuale fase suggerisce, su cui forse non si riflette abbastanza. L’eccezionalismo americano, almeno in campo economico, non è in discussione; il Pil è aumentato nominalmente del 28% in quattro anni (di un Giappone e mezzo), le azioni del 66% e di 50mila miliardi di dollari la ricchezza netta delle famiglie. Le misure espansive monetarie e fiscali senza precedenti sono state determinanti, ma il dollaro rimane ‘la’ valuta di riserva, e il Paese è il primo produttore ed esportatore di petrolio (e di gas naturale), con ricadute positive sul costo dell’energia, e sulla competitività di molte industrie rimpatriate. Bene gli Stati Uniti, ma anche gli Emergenti ‘amici’ grazie alla forte crescita dell’export.
I tassi d’interesse e i rendimenti dei Treasury sono però destinati a rimanere elevati a causa del crescente disavanzo pubblico, delle dinamiche demografiche e del cambiamento climatico. Il tasso d’interesse neutrale (tasso al quale la politica monetaria non è né espansiva né restrittiva) è destinato a crescere. Gli investimenti, la domanda di capitali, crescono per la transizione energetica, l’Ia, la sicurezza degli approvvigionamenti, la riduzione delle disuguaglianze mentre i risparmi, l’offerta di capitali, decrescono (i Baby boomer vanno in pensione).
Meno chiare le prospettive delle azioni cinesi. Il Paese è in una fase di transizione. Il passaggio a un’economia trainata da un manifatturiero ad elevato valore aggiunto sarà lungo e necessiterà di riforme. Il quadro congiunturale attuale caratterizzato da rallentamento della crescita, riduzione del debito, contrazione dell’immobiliare e deflazione è destinato a perdurare. Ciononostante sono numerosi i settori in cui società cinesi sono all’avanguardia e altamente competitive a livello mondiale, e presentano valutazioni ai minimi storici sia in termini assoluti che relativi.
Che dire della gestione attiva e delle strategie long-short? La correlazione tra i diversi titoli azionari è ai minimi ventennali. Questo significa che i mercati sono meno dominati da fattori macro e più dai fondamentali delle singole società. Come le ultime trimestrali hanno dimostrato. La selezione dei singoli titoli, sia long che short, è tornata ad essere premiante in un contesto di tassi d’interesse “normali”. Il più elevato costo del debito penalizza infatti le società più deboli e ne rende più difficile l’acquisizione. Le più solide sono invece meno sensibili al rialzo dei tassi e possono competere più efficacemente. Temi strutturali di lungo periodo quali l’Ia, la longevità, la transizione energetica, la mobilità, il cambiamento post-Covid delle preferenze e abitudini dei consumatori creano ‘vincitori’ e ‘vinti’. Trend che possono essere meglio catturati dai gestori attivi che non dagli Etf.
Considerando le magnifiche 7 (dominanti negli indici), e guardandole da vicino, emerge qualcosa di analogo sulle prime 5 (dominanti nei nostri portafogli). Meta e Google sono società altamente profittevoli, con elevata generazione di cassa, leader nell’utilizzo dell’Ia e con valutazioni ragionevoli soprattutto alla luce di ottime prospettive di crescita. Amazon beneficerà dell’elevata leva operativa e degli enormi investimenti effettuati negli anni; il potenziale di espansione dei margini sia nell’e-commerce che nel cloud è sotto-stimato dagli investitori. Apple e Tesla invece sono quelle che convincono meno. Apple cresce poco, non ha ancora una strategia sull’Ia, la Cina è una fonte di rischi e il titolo negozia a multipli elevati. Tesla invece è una posizione short, soffre della crescente competizione dei produttori cinesi e del rallentamento della domanda di veicoli elettrici.
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