TM   Dicembre 2024

Compliance da ripensare

Gli enormi costi diretti e indiretti dei controlli di conformità di clientela e operazioni degli istituti finanziari non stanno producendo i benefici sperati, con diversi effetti collaterali. L’Opinione di Stelio Pesciallo, avvocato e notaio presso lo Studio 1896, Lugano.

Stelio Pesciallo

di Stelio Pesciallo

Avvocato e notaio presso lo Studio 1896, Lugano

David Leppman non è una qualsiasi persona quando parla della funzione di compliance introdotta in tutte le istituzioni finanziarie, in primis nelle banche, al fine di prevenire e combattere attività di corruzione, terrorismo e riciclaggio per il tramite dell’intermediazione finanziaria. È infatti il fondatore della banca dati World-Check che contiene profili di milioni di nominativi di persone fisiche e giuridiche sulle quali esistono o dovrebbero esistere indici di rischio di coinvolgimento in attività criminali o comunque illecite. Questi dati sono lo strumento privilegiato cui fanno capo gli addetti alla compliance per effettuare uno screening sulla clientela esistente e quella potenziale e sulle operazioni effettuate tramite dei canali finanziari.

In una recente intervista apparsa sul sito on line di informazioni finanziarie Finews, esprimendosi sui risultati conseguiti a livello globale dal sistema della compliance, Leppman è stato categorico nel suo giudizio negativo: la lotta alla corruzione e al riciclaggio è fallita. Nonostante enormi investimenti (si parla di almeno 200 miliardi di dollari spesi annualmente a livello globale) le attività corruttive e di riciclaggio sono più attive che mai e, secondo le stesse Nazioni Unite, viene riciclato oggi di più che 30 anni fa, da quando la compliance è divenuta un must.

Quella che era una buona idea ha avuto esiti non solo non aderenti agli scopi che ci si era prefissi, ma anche economicamente controproducenti. Il problema di fondo sta negli intendimenti riposti nella compliance dalle grandi organizzazioni internazionali come l’Onu e l’Ocse, che hanno sbandierato e continuano a sbandierare in congressi e risoluzioni grandi proclami sulla guerra alla droga e al terrorismo, speranze condite di molta retorica che hanno però prodotto minimi risultati.

Non solo sono enormi i costi diretti al mantenimento di questa struttura ma anche quelli causati dalle procedure instaurate dal sistema. Nel Private Banking l’onboarding della clientela può durare anche fino a 18 mesi in quanto le banche sono assorbite da una lunga serie di esami dettati dalle numerose norme che sono state emanate a livello legislativo e che hanno prodotto una copiosa regolamentazione interna. Questo mentre attività corruttive e di riciclaggio hanno luogo perlopiù al di fuori del sistema bancario tradizionale.

Si è così creato un mostro burocratico consolidatosi nel frattempo nell’infrastruttura bancaria e finanziaria che condiziona in tutti i settori l’attività di queste istituzioni e dei loro clienti. All’opinione pubblica si dà l’impressione di grande attivismo ed efficacia, ma raramente vengono colpiti gli autentici artefici dietro la criminalità finanziaria.

Non solo sono enormi i costi diretti al mantenimento di questa struttura ma anche quelli causati dalle procedure instaurate dal sistema. Nel Private Banking l’onboarding della clientela può durare anche fino a 18 mesi in quanto le banche sono assorbite da una lunga serie di esami dettati dalle numerose norme che sono state emanate a livello legislativo e che hanno prodotto una copiosa regolamentazione interna.

Questo mentre attività corruttive e di riciclaggio hanno luogo perlopiù al di fuori del sistema bancario tradizionale. I professionisti di queste attività illegali si sono fatti più sofisticati e nascondono le loro transazioni impiegando più canali e gran parte del cosiddetto ‘denaro sporco’ viene investito in immobili, installazioni turistiche e centri commerciali che sfuggono a una supervisione bancaria.

Questo ambito di attività si sottrae ai controlli di conformità che dirigono spesso l’attenzione sulle persone sbagliate, etichettando tutto di principio come un rischio e inducendo le banche a segnalare spesso finti allarmi che coinvolgono clienti bancari e gli stessi impiegati in un esercizio faticoso e molto spesso senza esito. Agli inizi il sistema di controllo era impostato più sulla qualità che sulla quantità, dirigendo la sua attenzione sui rischi più evidenti e tralasciando le bagatelle. Con il tempo, soprattutto crescendo i timori delle banche di essere coinvolte nei rischi reputazionali, si è voluto instaurare un controllo il più esteso e comprensivo possibile, appesantendo quindi il sistema e la procedura di controllo.

Questa tendenza a volere estendere i controlli fin nei minimi dettagli e, nel dubbio, a coinvolgere nelle banche dati più nominativi possibili è causa anche di situazioni incresciose, che vedono spesso coinvolte persone riportate per errore o senza validi motivi nelle banche dati delle banche o di cui si servono le banche, anche solo per via di un articolo di giornale nel quale sono messe in cattiva luce senza un motivo pertinente o sulla base di false informazioni. Una volta contemplati in queste banche dati, ci si trova a essere esclusi dal circuito bancario, il che equivale a una sorta di esilio e la riabilitazione può durare anni, causando gravi riflessi economici.

La futura applicazione dello strumento dell’intelligenza artificiale nel sistema finanziario non può che radicalizzare questi rischi. Basti pensare a un sistema di Ia che renda impossibile accedere ai servizi bancari a causa di uno scambio di persona o per il fatto di risultare avere avuto un contatto con una persona ad alto rischio. Se a prendere decisioni è l’Ia, si può essere certi che la correzione dell’errore non sarà cosa facile. Un sistema, quello della compliance, da ripensare criticamente nei suoi contenuti e nei suoi obiettivi.

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