Homo Oeconomicus, alternativamente un agente economico dotato di perfetta razionalità e sufficientemente egoista da massimizzare sempre e comunque il proprio interesse individuale, la mitica funzione di utilità, anche a costo di risultare socialmente scomodo a chiunque altro. Per molti versi è dunque anche amorale, ma è il protagonista della teoria economica, neoclassica, da quando dunque le teorie delle scienze morali di Adam Smith, furono accantonate.
Assodato che effettivamente di perfetta razionalità in giro se ne veda sempre meno, ecco in diversi mettere in mora l’assunto, anche nel caso degli agenti economicamente considerati i più razionali in assoluto: gli investitori.
Nel corso degli anni l’Homo ne è risultato fortemente ridimensionato, di pari passo invece alla crescita di una nuova disciplina, l’economia (o finanza) comportamentale, che fa dell’irrazionalità dell’agente il suo ambito di studio. Risultati emersi? Diversi Bias cognitivi, che inficiano la teorizzata perfetta razionalità anche degli investitori più accorti, per semplici ragioni psicologiche, come evidenziato da Amos Tversky. Più semplicemente è stato infine dimostrato che nessun abitante del pianeta è così razionale.
Al cuore di questa nuova disciplina, alcune evidenze empiriche: la razionalità alla base delle scelte che sono comunemente prese è molto limitata, si basa su pregiudizi e approssimazione; come vengono presentate le possibili alternative influenza significativamente le scelte; il mercato può essere inefficiente, fenomeno portato agli estremi nel caso di comportamenti irrazionali di gruppo, il noto ‘effetto gregge’.
«È noto che si sia soliti investire spesso in immobiliare vicino a casa, per una semplice questione psicologica. Non c’è rendimento, rischio, opportunità che tenga, in qualunque circostanza si preferirà irrazionalmente un immobile vicino, anche quale semplice strumento d’investimento, a uno lontano. È quello che tecnicamente si definisce Home bias. In termini assoluti potrebbe anche essere una scelta corretta per il singolo, potrebbe essere l’immobile davvero più adatto, è sufficiente sapere però che istintivamente sarò portato a crederlo per fare la giusta ‘tara’ in questa complessa decisione», sottolinea Federico Guglielmone, membro dell’investment Committee di Shape Equity Partners, e responsabile per la sede di Lugano.
Un’informazione apparentemente interessante, ma sino a che punto significativa? «Nel momento in cui si guarda a una dimensione un po’ più ampia, le implicazioni di questa evidenza si fanno molto importanti, come ha scoperto il nostro fondatore oltre dieci anni fa, Lorenzo Sargenti, quando era ancora all’università. Fondando Shape la prima preoccupazione è stata proprio come dominare i suoi pregiudizi per poter meglio consigliare gli investitori, e avendo un background nei modelli di calcolo dei rischi catastrofe nel mondo assicurativo, è nata l’idea di creare un algoritmo che ‘desse una mano’ nel farlo», prosegue Guglielmone.
Ma è possibile che a risultare influenzati da questo bias siano oltre 8,3 milioni di abitanti, quelli di New York, distribuiti su una superficie di circa 800 km quadrati? «Oltre agli stessi cittadini, anche broker e immobiliaristi esperti, che una certa conoscenza del mercato dovrebbero averla, e che valutano ogni giorno centinaia di immobili tra Brooklyn e Manhattan, non ampliano il raggio di ricerca oltre quelle che tradizionalmente si reputano essere le ‘zone giuste’. È così che Jersey City, aldilà del fiume, non viene considerata parte delle possibili alternative immobiliari pur distando 30 minuti di metro dal centro, a un costo ben inferiore», rileva l’esperto.
Gli Stati Uniti sono un Paese decisamente diverso dal Vecchio Continente, sotto molti aspetti. Ma cosa determina la valutazione di un immobile? «Rispetto all’Europa il costo dell’istruzione può essere molto importante, e infatti le scuole private sono spesso l’unica alternativa, per gravi problemi di sicurezza anche nel cuore delle città più note. Nel caso delle più grandi bisogna poi valutare anche il tempo di commuting, il traffico, la vicinanza a spazi verdi. Sulla base di questi, esempi, le zone residenziali valutabili dal ceto medio si riducono, anche per un sentito stigma sociale nel vivere fuori dalle ‘zone bene’, che costringono milioni di persone ad ammassarsi in poche decine di metri quadri, ignorando vicine e comode alternative», commenta Guglielmone.
Scardinare le abitudini di sempre è un compito ingrato, e molto impegnativo, spesso senza grandi possibilità di successo. A meno di… «La pandemia è certamente stata un importante spartiacque, era un fenomeno già in atto, ma ha sicuramente dato un forte slancio. Molti americani hanno deciso di lasciare le città, anche Manhattan, e in diversi casi questi flussi sono stati intercettati da piccole cittadine non troppo distanti che negli anni hanno investito, si sono rimesse in ordine, e possono fare oggi concorrenza ai grandi centri. È ad esempio il caso di Jersey City, e dei suoi 300mila abitanti, tutti mediamente giovani, un luogo sicuro, con scuole di qualità anche per gli standard americani, verde e accogliente, sotto molti aspetti più adatto a un europeo di New York», illustra l’esperto.
Qualcosa è successo, qualcosa deve ancora succedere, ma il treno è ormai in movimento. «Questi piccoli centri l’affare l’hanno fiutato, le persone le stanno attraendo, ma il potenziale è ancora infinito. Stanno però anche investendo, si stanno strutturando, e la sicurezza è in cima alle priorità, anche quella percepita. La nostra società, Shape, investe in immobili in New Jersey: acquistiamo, demoliamo, progettiamo, rinnoviamo, e ricostruiamo. Siamo attrezzati per un servizio chiavi in mano, con piccole unità unifamiliari su misura, sia quale investimento finanziario, sia quale immobile a reddito (la tassazione è estremamente favorevole), sia in qualità di residenza», nota Guglielmone.
Ed è qui che entra in gioco l’esperienza nel settore, potenziata da un ‘aiutino’ tecnologico. «Nella consapevolezza di tutte le difficoltà che la psicologia potrebbe creare, sin dalla sua fondazione la nostra società sta lavorando a un algoritmo che determina i quartieri in cui i prezzi sono sottovalutati, e vi è dunque margine di crescita. Come? Sono molti i dati che gli forniamo, e dei più disparati. Si spazia dalla demografia, a edilizia ed economia, dall’istruzione alla tipologia di locali pubblici presenti, sino al numero dei praticanti jogging di sera o all’alba; tasselli di un mosaico che in alcuni casi potrebbero anche smentire semplici evidenze che di oggettivo evidentemente non avevano molto», rileva l’esperto.
Eppure, resta il nodo: come scardinare quelle che sino a prova contraria potrebbero essere razionali valutazioni di un investitore accorto? «Un investimento può sicuramente avere molti obiettivi, ma tra questi uno dei più importanti è creare serenità. Noi cerchiamo di ‘avvicinare’ l’idea che un immobile all’estero possa essere una seria alternativa, quanto meno da valutare. Shape è una società svizzera, con sede a Lugano, una società di Chiasso supervisiona i veicoli con cui è possibile investire in questi immobili, mentre una terza società, di Barbengo, supervisiona i cantieri negli Stati Uniti. Il nostro obiettivo è rendere quanto più oggettiva la bontà dell’investimento, con solidi dati di supporto, concentrandoci sulla redditività e non tanto sul luogo dell’immobile», conclude Guglielmone.
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