TM   Giugno/Luglio 2024

Asili tutti da gestire

Dopo anni di dibattito in Europa si è infine deciso di modificare le precedenti norme di Dublino, e dare il la a una nuova fase nella gestione di asilo e immigrazione. L’Opinione di Zulay Menotti, Consulente legale diIusLex Avvocati.

Zulay Menotti

di Zulay Menotti

Consulente Legale di IusLex Avvocati

Si definiscono “Paesi in prima linea”. Sono i membri dell’Unione Europea che, in maggior misura e in prima battuta sono toccati dalla crisi migratoria nel senso che sono i primi in cui si tende a giungere. Il nuovo regolamento europeo, che sostituirà Dublino, prevede un meccanismo di solidarietà che intende attuare una più equa condivisione di responsabilità tra gli Stati.

Per un verso, è importante ribadire che si manterranno le norme fondamentali sull’individuazione della competenza di uno Stato nell’esame della domanda d’asilo; per l’altro, il nuovo testo chiarirà quali siano i criteri di competenza, riorganizzando le norme per il trasferimento di un richiedente da un Membro a un altro.

Le innovazioni principali riguardano l’obbligo, per i richiedenti, di presentare la domanda nello Stato membro di primo ingresso o soggiorno regolare. Tuttavia, se sono soddisfatti alcuni requisiti, un altro Stato può diventare competente per la gestione della suddetta domanda d’asilo.

In pratica, ciò può avvenire se in un altro Stato vi sia un familiare; se il richiedente ha conseguito in un Paese membro un diploma recente e non più vecchio di sei anni (spetterà, allora, allo Stato che ha rilasciato il diploma, esaminare la domanda di protezione internazionale); in caso di ricongiungimento familiare – che sarà rafforzato – coinvolgendo anche i beneficiari di protezione internazionale e titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo nell’Unione Europea, senza esclusione dei neonati.

Agli Stati membri si chiede di dar vita a tattiche nazionali volte a garantire disponibilità e capacità di gestione di un apparato efficace di asilo e migrazione, nel rispetto sia del diritto dell’Unione sia degli obblighi giuridici internazionali, mentre la Commissione interverrà con revisioni quinquennali della strategia in materia. In estrema sintesi, si limitano la cessazione della competenza e/o sua eventuale trasmissione a un altro Stato membro, riducendo così per il richiedente le possibilità di scelta tra gli Stati membri ai quali presentare domanda.

Viene imposto un chiaro obbligo ai richiedenti di restare nello Stato membro riconosciuto competente con concrete conseguenze sanzionatorie in caso di violazione di tale obbligo. Si fissano termini più brevi per l’invio delle richieste e il ricevimento delle risposte, al fine di rendere più rapida la procedura. Tradotto in numeri, per venti mesi lo Stato membro di primo ingresso sarà competente per la domanda di asilo rispetto ai dodici mesi previsti in precedenza; per dodici mesi lo Stato membro di primo ingresso manterrà la propria competenza rispetto alla persona sbarcata a seguito di un’operazione di ricerca e soccorso in mare; la competenza dello Stato membro cessa dopo 15 mesi verso la persona la cui domanda è stata respinta nell’ambito della procedura di frontiera. Dopo tre anni (36 mesi), per la persona che si rende irreperibile al fine di evitare un trasferimento, la competenza appartiene allo Stato membro che deve occuparsi del trasferimento stesso.

Il meccanismo di solidarietà (per una più equa ripartizione della responsabilità) vuole congiungere il sostegno obbligatorio agli Stati più esposti alle pressioni migratorie e di massima accoglienza, con la flessibilità sulla scelta discrezionale dei contributi da parte dei singoli Stati membri. In sostanza, i contributi possono consistere nella ricollocazione dei richiedenti asilo e dei beneficiari di protezione internazionale; in apporti finanziari, per il sostegno, ad esempio, di progetti in Paesi terzi (di recente l’Italia ha stretto un accordo con l’Albania al fine di costruire strutture di accoglienza apposite); in misure di solidarietà alternative nelle quali rientrano l’incremento di capacità o il collocamento di personale.

I contributi volontari annuali degli Stati membri rappresenteranno la cosiddetta ‘riserva di solidarietà’ fondata sul principio di equa ripartizione e il numero minimo annuo di ricollocazioni dagli Stati membri in cui la maggior parte delle persone entra nell’Unione o presenta domanda di asilo verso gli Stati membri meno esposti agli arrivi è fissato a 30mila.

In termini monetari è stimata una cifra minima annua di 600 milioni di euro a titolo di contributi finanziari.

Viene disposto un accertamento preliminare della durata massima di sette giorni, se le persone non soddisfano i requisiti per entrare nell’Unione, comprensivo di identificazione, raccolta di dati biometrici e controlli sanitari e di sicurezza. I Membri dovranno, inoltre, istituire forme di controllo indipendenti per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali. A partire degli standard di accoglienza dei richiedenti asilo in alloggi adeguati, offrendo loro istruzione e accesso alla sanità e che siano uniformi in tutta l’Unione.

Ai richiedenti asilo registrati si dà l’opportunità di iniziare a lavorare entro sei mesi dalla data della domanda, mentre si regolamenteranno anche le condizioni di detenzione e la limitazione della libertà di circolazione onde disincentivare gli spostamenti da un Paese europeo all’altro.

Nella banca dati Eurodac saranno memorizzati i dati personali degli individui che entrano irregolarmente nell’Unione (in particolare, impronte digitali e immagini del volto di chiunque abbia più di sei anni), potendo le autorità segnalare i soggetti aggressivi, armati e che rappresentano una minaccia alla sicurezza pubblica.

Saranno messe in atto anche le misure chiamate ‘compensazioni di competenza’ per sostenere gli Stati membri in difficoltà con le ricollocazioni. Se queste ultime dovessero risultare insufficienti, infatti, la competenza per l’esame di una domanda verrebbe trasferita allo Stato membro contributore senza spostare fisicamente il richiedente. La normativa mira, altresì, a impedire, da parte dei richiedenti, abusi e ‘movimenti secondari’ intesi come i contesti in cui un migrante lascia il Paese di primo arrivo per reinsediarsi in modo permanente altrove.

Nei consideranda del regolamento si evoca quello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in cui l’Unione dovrebbe assicurare che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne, dovendo – per contro – sviluppare una politica comune in materia di asilo, immigrazione e gestione delle frontiere esterne degli Stati membri, basata sulla solidarietà e sull’equa ripartizione delle responsabilità fra Stati membri, che sia equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi e degli apolidi e conforme al diritto internazionale e dell’Unione, compresi i diritti fondamentali.

Ciò che Consiglio e Parlamento europeo hanno concordato, lo scorso 20 dicembre 2023, va perciò ben oltre la determinazione dello Stato membro competente per l’esame delle domande. Mira, piuttosto, a sviluppare il già menzionato principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, senza trascurare le importanti implicazioni finanziarie che questo piano comporta per l’attuazione concreta di un patto tra Stati le cui politiche potrebbero ancora essere fortemente divise sia internamente sia nei rapporti con altri Membri.

Chi ricorda nel novembre del 2005 l’‘intifada delle banlieues’, sommossa definita da alcuni come ‘invasione verticale dei barbari’ i cui protagonisti sono stati giovani immigrati o figli e nipoti di immigrati provenienti da ex colonie nordafricane, e i blacks originari del sud del Sahara. Episodio di violenza inaudita e danni ingenti (oltre ad arresti a centinaia), attribuita dall’allora presidente Chirac alla “crisi d’identità” dei giovani immigrati o definita ‘rivolta etnico-religiosa’ dal filosofo Finkielkraut. Per non parlare della discriminazione sistematica subita dai giovani delle banlieues, secondo un noto intellettuale islamico.

La Francia aveva già conosciuto dei precedenti sia negli anni ’70, sia ’80 e ’90. Non da meno sono state la Gran Bretagna e la Germania, per non parlare dell’effetto travolgente che ha avuto l’11 settembre 2001, portando con sé la minaccia del terrorismo islamico di cui un’onda d’urto ha colpito drammaticamente città come Madrid, Parigi e Bruxelles. Le politiche migratorie europee davvero sono pronte a riformulare le antiche relazioni tra nazionalità, cittadinanza, etnicità; di accoglienza e ammissione assieme a misure efficaci di inserimento?

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