TM   Settembre 2023

L’arrivo degli Smart beta

Nati tra gli insulti e snobbati dagli investitori, il mercato degli Etf non conosce crisi nemmeno nel pieno della correzione del 2022. I volumi crescono, ma con un minimo d’innovazione.

Francesca Volpato

di Francesca Volpato

Advisor di Lagom Family Advisors

L’industria degli Exchange Traded Fund (Etf) continua a crescere e a guadagnare terreno, ininterrottamente, senza mostrare segnali di stanchezza. Sono presenti sul mercato dagli anni Novanta, ma, in realtà, di fondi passivi o Etf si parlava già negli anni Sessanta. Il pioniere fu l’americano John Bogle, fondatore di Vanguard, che nel 1976 lanciò il First Index Investment Trust (Fiit), chiamato in modo derisorio da molti analisti dell’epoca ‘la follia di Bogle’. L’idea di lanciare un fondo non ‘gestito’ che replicasse l’andamento dei mercati era considerata, all’epoca, a dir poco azzardata. Quasi cinquant’anni di storia hanno dimostrato invece il contrario; con il tempo il Fiit, ora denominato Vanguard 500 Index Fund, è diventato il più grande Etf al mondo. 

In questo mercato gli Stati Uniti sono stati precursori; il primo Etf quotato risale al 1993 (in Europa al 2000) e, nel tempo, sono diventati lo strumento d’investimento a maggior crescita, sia in termini di patrimonio gestito sia di innovazione di prodotto. Nel 2021 l’industria europea degli Etf ha raggiunto un record importante con un patrimonio in gestione superiore al trilione di euro. Inoltre, a livello globale, nel 2022 gli investimenti nel comparto sono cresciuti di ulteriori 856 miliardi di dollari, nonostante l’anno molto difficile dei mercati finanziari, segnato anche da forti deflussi dai fondi di investimento tradizionali. Oggi, a livello globale, si è raggiunto un totale di 9,6 trilioni di dollari di patrimonio gestito, di cui 6,6 coperti dal solo mercato statunitense. 

Andamento degli asset degli Etf globali

Questo quadro potrebbe far pensare al raggiungimento di uno stato di maturità degli Etf, ma non è così; gli esperti ritengono ci sia ancora molto da fare, con riferimento a nuove possibilità di utilizzo e di consapevolezza da parte degli investitori. Alcune stime indicano infatti che il mercato degli Etf potrebbe portarsi in area 15mila miliardi di dollari di masse gestite entro metà 2027, con un impressionante tasso di crescita media annua dell’ordine dell’11,8% circa. 

Qual è la ragione del loro successo? Le motivazioni sono piuttosto semplici: costano meno; nel tempo, in media, producono rendimenti maggiori rispetto ai fondi a gestione attiva; sono trasparenti e immediatamente liquidabili. 

La ricerca sottolinea infatti come il principale motivo di interesse relativo agli Etf sia il costo, seguito dalla qualità della replica; prevede inoltre che un’ulteriore spinta allo sviluppo di prodotti che replicano passivamente l’andamento dei mercati finanziari arriverà dalle giovani generazioni e dalla clientela retail. Infatti, mentre negli Stati Uniti l’adozione degli Etf da parte degli investitori retail è matura, in Europa e in Asia non è così. Si registra però una crescita costante, con un continuo aumento della loro popolarità tra investitori retail e Millennial, nel caso di questi ultimi anche attraverso intermediari finanziari online, applicazioni finanziarie sino alla diffusione dei piani di risparmio in Etf. 

Numerosi studi evidenziano come anche il mondo degli Etf stia cambiando e individuano nella personalizzazione del servizio, negli investimenti in tecnologia e nella variante ‘attiva’ le tre leve per la crescita futura. Proprio in questo ultimo ambito si registra una massiccia diffusione degli Etf attivi, detti anche Smart beta; si tratta di Etf che, sempre dichiarando un indice di riferimento (benchmark), non si limitano a replicarlo passivamente, ma effettuano anche ulteriori selezioni in base a determinati fattori (factor) di tipo qualitativo o quantitativo. 

Ripartizione della tipologia dei veicoli d'investimento

Tra i fattori più noti vi sono: value (azioni sottovalutate dal mercato); size (titoli filtrati in base alla dimensione: small, mid, big cap …); momentum (società che nel breve periodo continuano a crescere vertiginosamente), quality (azioni di società solide e redditizie) e volatility (criteri di ponderazione che mirano alla riduzione della volatilità).

Negli Etf Smart Beta il criterio di selezione dei titoli e la politica d’investimento sono scelti a monte dalla società emittente con l’obiettivo di ottenere performance superiori a quelle di indici ponderati per la capitalizzazione di mercato. L’industria europea degli Smart Beta è in evoluzione e si prevede una crescita progressiva nei prossimi anni. Il 2022 si è chiuso con 96 miliardi di patrimonio gestito, pari a solo il 5% della torta complessiva del mondo Etf, ma numerosi studi prevedono un tasso di crescita annua del patrimonio globale degli Etf ‘attivi’ del 50% nei prossimi 3–5 anni, dato che mette in ombra le stime a una cifra per gli Etf passivi e i fondi comuni in generale.

Alcune statistiche relative alla prima metà del 2023 evidenziano come gli Etf attivi siano cresciuti a un tasso del 14% rispetto a un tasso di crescita del 3% di quelli passivi. Questo dato conferma la crescente popolarità di questo tipo di Etf, legata anche al ruolo chiave svolto da alcune istituzioni finanziarie primarie. Tra queste si può sicuramente citare J.P. Morgan, il cui Etf attivo (americano) JPMorgan Equity Premium Income Etf ha registrato 10 miliardi di dollari di afflussi netti nei primi sei mesi del 2023. Si tratta in questo caso di un Etf attivo che investe in una selezione ‘difensiva’ di società statunitensi (con l’aggiunta di alcune strategie basate su opzioni call out-of-the-money sull’S&P 500).

Anche il mondo degli Etf sta cambiando, con nella personalizzazione del servizio, negli investimenti in tecnologia e nella variante ‘attiva’ le tre leve per la crescita. Proprio in questo ultimo ambito si registra una massiccia diffusione degli Etf attivi, detti anche Smart beta

Infine, una categoria che potrebbe riscuotere a breve un buon successo è quella degli Etf obbligazionari a scadenza, già diffusi sul mercato americano. Gli Etf a scadenza definita cercano di imitare il comportamento di una singola obbligazione. Ogni Etf si attiene a una data di scadenza predefinita acquistando solo obbligazioni di un indice appositamente costruito che giungono a scadenza nell’anno in cui l’Etf termina.

Quello a scadenza definita sostituisce le obbligazioni in portafoglio solo se esse vengono richiamate o se vanno in default; altrimenti le mantiene fino alla scadenza (nell’anno in cui l’Etf termina). Pertanto, man mano che ogni Etf si avvicina alla scadenza, la sua duration o sensibilità ai tassi d’interesse diminuisce, come per le singole obbligazioni. Chiaramente, al di là del beneficio legato alla diversificazione a costi efficienti, in termini di “rischio tassi”, questi ETF saranno sensibili (proprio come le singole obbligazioni), in positivo o in negativo, alla diminuzione o alla crescita dei tassi d’interesse.

 

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