TM   Giugno/Luglio 2024

Ancora malato? Licenziato!

La ‘nuova’ giurisprudenza del Tribunale federale indebolisce la protezione del lavoratore contro la disdetta in caso di malattia e/o infortunio. L’Opinione di Michele Barchi, Avvocato, partner studio legale Barchi Nicoli Trisconi Gianini SA, Lugano.

Michele Barchi

di Michele Barchi

Avvocato, partner studio legale Barchi Nicoli Trisconi Gianini SA, Lugano

Il diritto non è statico. Nella maggior parte dei casi viene modificato con l’approvazione di nuovi testi legali (pensiamo per esempio all’introduzione del salario minimo in Ticino). Talvolta viene leggermente adattato dai giudici federali di Mon Repos al fine di tenere conto di situazioni particolari. Non si tratta tuttavia sempre e solo di sottigliezze e di cambiamenti di poco conto, bensì anche di veri e propri cambi di paradigmi.

Fa attualmente molto discutere una recente sentenza 26 marzo 2024 del Tribunale federale in materia di protezione del dipendente dalla disdetta in caso di incapacità di lavoro, che conferma una tendenza già in atto da tempo. L’art. 336c del Codice delle obbligazioni sancisce infatti che dopo il tempo di prova, il datore di lavoro non può disdire il rapporto di lavoro quando il lavoratore è impedito di lavorare, in tutto o in parte, a causa di malattia o infortunio non imputabili a sua colpa. Si tratta di un vero e proprio periodo di protezione contro la disdetta (la disdetta data in tale periodo sarebbe infatti nulla, oppure, se data prima, sospesa). Ciò non certo all’infinito o fintanto che dura l’impedimento, bensì per un lasso di tempo limitato, stabilito in funzione dell’anzianità di servizio (per 30 giorni nel primo anno di servizio, per 90 giorni dal 2. al 5. anno di servizio, nonché per 180 giorni dal sesto anno di servizio in poi).

Qualsiasi datore di lavoro rischia, prima o poi, di trovarsi confrontato con il discusso articolo 336c CO. Se è infatti vero che il diritto del lavoro elvetico tende essenzialmente a essere piuttosto equilibrato, garantendo diritti e doveri tanto al lavoratore quanto al datore di lavoro, è pur vero che talune disposizioni legali si prestano meglio di altre a possibili abusi. Vi è infatti da scommettere che più di un datore di lavoro abbia la ferma convinzione che in caso di malattia o infortunio del dipendente, il pericolo è quello di doverselo tenere a lungo alle proprie dipendenze, senza poterlo licenziare (nonostante gli vada poi corrisposto il salario). Questo perché ogni tipologia di impedimento (malattia o infortunio, oppure un nuovo tipo di malattia o infortunio) darà luogo a un nuovo periodo di protezione di ulteriori 30, 90 o 180 giorni.

Chiamati a garantire l’equità di questo sistema, sono di fatto i medici. Quest’ultimi devono infatti certificare la tipologia dell’impedimento, così come il grado e la durata. Nella maggior parte dei casi si tratterà del medico curante del dipendente medesimo, da questi sollecitato a rilasciare il certificato medico. In una minoranza di casi, entra in gioco anche il medico di fiducia del datore di lavoro (ma anche dell’assicurazione perdita di guadagno contratta dal datore), il quale ha facoltà di sottoporre il dipendente ammalato o infortunato a una visita di controllo. 

Sinora – a fronte di un certificato medico attestante l’incapacità di lavoro – il dipendente si ritrovava sostanzialmente protetto da un’eventuale disdetta, conservando nel contempo il diritto di percepire il salario (ciò anche per un lasso di tempo limitato, che di norma non si estende oltre 720 giorni).  

La grande novità – che il Tribunale federale ha recentemente confermato – è quella di precisare che la protezione contro la disdetta è valida purché non vi sia una capacità di lavoro residua al di fuori dell’abituale luogo di lavoro. Detto altrimenti, qualora il dipendente sia impedito nello svolgere il lavoro abituale presso il proprio datore di lavoro, ma sia in grado di svolgere dell’altro lavoro, magari presso un altro datore di lavoro, rimane possibile licenziarlo. Una volta di più, sarà determinante il certificato medico, che potrà o dovrà precisare se l’incapacità di lavoro è limitata (o meno) al lavoro svolto abitualmente presso il proprio datore di lavoro. 

Il Tribunale federale ha anche aggiunto che un simile licenziamento, seppur valido, può potenzialmente venir ritenuto abusivo, dando semmai diritto a un’indennità fino a un massimo di 6 mesi di salario (per esempio se l’impedimento è stato provocato dal datore di lavoro medesimo, come in caso di mobbing).

Non è tutto. Parrebbe infatti che alcune assicurazioni perdita di guadagno stiano già adattando le proprie condizioni generali (escludendo la copertura in caso di incapacità di lavoro limitata al posto di lavoro), ritenendo che qualora la protezione contro la disdetta venga a meno (art. 336c CO), allora anche il diritto al salario (art. 324a CO) possa decadere. Il Tribunale federale non ha tuttavia per il momento confermato tale sillogismo, anzi lo ha espressamente negato in una sentenza relativamente recente. Nondimeno, ai datori di lavoro converrà a ogni modo accertarsi di aver validamente derogato ai propri obblighi legali, originari, di pagamento del salario del dipendente in caso di malattia o infortunio, contraendo un’adeguata assicurazione perdita di guadagno (che, come previsto per legge, deve sancire “un ordinamento almeno equivalente per il lavoratore”).

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