Una delle conseguenze della nuova politica economica voluta dal Donald Trump è anche l’abbandono (definitivo?) della tassazione minima delle multinazionali, decisa in ambito Ocse e già applicata dalla Svizzera. Tra coloro che non l’hanno invece fatto vi sono anche gli Stati Uniti, proprio coloro che avevano ideato la tassa e perfino chiesto di applicare una tariffa superiore a quella poi decisa da Ocse e G20. Essa è comunque in applicazione (teorica?), oltre alla Svizzera, fra alcuni membri dell’Unione Europea, oltre a Gran Bretagna, Norvegia, Giappone, Canada, Australia e Corea mentre ad esempio i Brics non la applicano.
La Svizzera, come spesso avviene, è stata tra i primi ad applicarla, nonostante un iter legislativo complesso. Infatti, le tariffe delle imposte sono fissate nella Costituzione federale, per cui ogni modifica deve passare attraverso la doppia approvazione del Popolo e dei cantoni. Cosa avvenuta il 18 giugno 2023, mentre l’entrata in vigore per tutti era prevista a inizio 2024.
Delle difficoltà di approvazione di una legge di questo tipo si erano fatti portavoce alcuni membri del Consiglio Nazionale, ma è toccato a un membro dell’Udc presentare una mozione che chiedesse di differire l’entrata in vigore della legge, almeno fino a quando tutti i Paesi avessero concordato anche i tassi da applicare. La mozione, a cui si era opposto anche il Consiglio federale, è stata respinta con il 78,5% dei voti popolari. A seguito del voto il Governo ha deciso di mettere in vigore, mediante ordinanza, quella che in Svizzera viene definita Imposta integrativa internazionale a partire dal 1 gennaio 2025.
Secondo il Governo si impedisce così che la base imponibile defluisca verso l’estero, creando nel contempo condizioni quadro stabili. Una legge federale che sostituisca questa ordinanza dovrà essere presentata entro sei anni. In Svizzera vige comunque un sistema fiscale particolare, che prevede una larga sovranità fiscale dei cantoni, pur entro i limiti delle leggi federali che consentono alla Confederazione di prelevare una propria imposta, coordinando le politiche cantonali.
Può quindi verificarsi che qualche cantone tassi le imprese con aliquote inferiori al 15%. Se questa imposizione minima non è raggiunta, la differenza viene prelevata mediante la citata imposta integrativa. Soltanto i grandi Gruppi, attivi a livello internazionale, che realizzano una cifra d’affari annua di almeno 750 milioni di euro, saranno interessati dalla nuova imposizione minima. Il 99% delle imprese in Svizzera non sarà quindi direttamente toccato dalla riforma.
Il ritorno di Trump sta cambiando molte cose, tra cui l’accordo sulla tassazione dei gruppi di imprese multinazionali. La politica dei dazi sostituisce negli Stati Uniti anche ogni sforzo per cercare di evitare dannose concorrenze fiscali tra Paesi
Le ripercussioni finanziarie sono incerte. Le entrate sono stimate in 1-2,5 miliardi di franchi nella fase iniziale. Le prime entrate sono previste per il 2026. L’incertezza della stima è dovuta in parte alla carenza di dati e alle diverse basi di calcolo dell’Ocse e del G20. La stima non considera inoltre possibili cambiamenti del comportamento delle imprese, o decisioni di politica fiscale dei cantoni.
Diversi cantoni hanno pianificato un aumento dell’imposta cantonale sull’utile, per raggiungere il 15% concordato. Il progetto può però comportare una perdita di attrattiva fiscale della Piazza economica, con possibili ripercussioni negative sulle entrate di quasi tutte le imposte e sui contributi sociali. Per questo una parte delle entrate dovrà essere utilizzata con misure volte a rafforzare la Piazza. A livello nazionale, la concorrenza fiscale potrebbe subire un pregiudizio. I cantoni con imposizione alta potrebbero diventare più interessanti rispetto ai cantoni attualmente con imposizione bassa.
L’arrivo di Trump alla Casa Bianca sta però cambiando molte cose, tra cui anche l’accordo sulla tassazione dei gruppi di imprese multinazionali. La politica dei dazi sostituisce negli Stati Uniti anche ogni sforzo per cercare di evitare dannose concorrenze fiscali tra Paesi. Anzi, Trump ha già annunciato di favorire fiscalmente le imprese che vorranno stabilire la loro sede principale negli Stati Uniti, in netto contrasto con gli scopi dell’accordo sulla tassazione delle multinazionali. Dato che gli Stati Uniti sono oggi uno dei principali partner commerciali per molti Paesi, ci si chiede che valore possa avere un qualsiasi accordo fiscale multinazionale.
Per la Svizzera la nuova situazione può creare un certo pericolo di spostamento di sedi di grandi Gruppi verso i Paesi che li favoriranno fiscalmente, e questo anche in attesa di una chiara presa di posizione dell’Unione Europea, con la quale l’accordo, pur monco, potrebbe funzionare.
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