TM   Settembre 2024

Un’iniziativa contro il futuro

L’iniziativa “Per una politica climatica sociale finanziata in modo fiscalmente equo” minaccia di destabilizzare il tessuto economico svizzero, fondato su imprese familiari solide e innovative. L’analisi di Martino Piccioli, Presidente dell’Associazione delle Imprese Familiari (AIF) Ticino e Presidente del CdA di Plastifil.

Martino Piccioli

di Martino Piccioli

Presidente di AIF Ticino e Presidente del CdA di Plastifil

I Giovani Socialisti (Giso) ci riprovano: dopo l’Iniziativa 99% nel 2019 e quella sull’imposta di successione nel 2015, tornano all’attacco con una proposta che va a scapito proprio delle storiche imprese di famiglia. D’intesa con il loro partito madre, hanno presentato a inizio anno l’iniziativa popolare “Per una politica climatica sociale finanziata in modo fiscalmente equo”, nota anche con il titolo fuorviante di “Iniziativa per il futuro”,  con cui chiedono che i patrimoni più elevati, superiori a 50 milioni di franchi, siano tassati pesantemente al momento della successione. Il 50% dei proventi della tassa dovrebbe essere suddiviso tra Confederazione e Cantoni, con l’obbligo di utilizzare questi fondi esclusivamente per finanziare progetti climatici e di transizione energetica.

La proposta è pericolosa perché dietro un titolo promettente nasconde misure espropriative che rischiano di compromettere gravemente l’equilibrio economico e fiscale del nostro Paese. In primo luogo, l’introduzione di una tassa così gravosa disincentiverebbe la permanenza in Svizzera dei patrimoni facoltosi (che sono già più facilitati a spostarsi), riducendo di conseguenza le entrate fiscali complessive, gli impieghi e danneggiando l’attrattiva della Svizzera come sede per imprenditori e investitori.

Inoltre, la mancanza di eccezioni per le aziende aggrava ulteriormente la situazione. Le imprese familiari, pilastro dell’economia svizzera, sarebbero tra le più colpite. Visto che a essere tassato sarebbe il ‘patrimonio’ ereditato (già tassato annualmente), e non la liquidità sui conti bancari, la tassa sulle successioni costringerebbe le imprese a vendere parte o la totalità delle loro attività per pagare l’imposta. Un vero paradosso per realtà che tendono a reinvestire nell’azienda (invece che monetizzare) per resistere nei periodi difficili (invece di chiudere) al fine di facilitare una successione più solida alla prossima generazione. Sforzi che diventerebbero vani, se a partire da una certa soglia non ci si potesse più permettere di dare continuità all’azienda di famiglia.

Contrariamente a quanto si vuole far credere, l’iniziativa non colpirebbe solo una ristretta cerchia di ‘facoltosi’, ma molti altri attori. Costringerebbe famiglie a vendere le imprese a grandi gruppi o fondi d’investimento, con il rischio di perdere la loro naturale attenzione al territorio nel processo decisionale aziendale. Di conseguenza, tutto il territorio ne soffrirebbe, inclusi partner, collaboratori ed enti locali.

L’iniziativa Giso quindi si spinge oltre l’attacco fiscale e rappresenta un tentativo di ridisegnare il modello economico svizzero, rianimando la lotta di classe. La nostra nazione ha costruito il suo successo su un sistema fiscale competitivo e una governance che favorisce l’innovazione e l’imprenditorialità, che la volontà di tassare il passaggio generazionale delle imprese in forma ‘confiscatoria’ mette in pericolo, rendendo la Svizzera meno attrattiva a livello globale. Il rischio è quello di veder fuggire capitali e talenti.

Anche il Consiglio federale ha già chiaramente espresso la sua opposizione a questa iniziativa, affermando che non è uno strumento adeguato a raggiungere gli obiettivi climatici del paese. Inoltre, l’introduzione di un’imposta sulle successioni per finanziare esclusivamente la politica climatica creerebbe falsi incentivi, portando a un uso inefficiente delle risorse.

L’approccio espropriativo di questa iniziativa colpisce imprenditori e famiglie che pagano qui le imposte (e non poche) da generazioni e rischia di essere un primo passo pericoloso anche in prospettiva: se dovesse passare, sarebbe lecito attendersi che in futuro si proponga un abbassamento della soglia per includere anche patrimoni più bassi, con un impatto negativo a catena sulle imprese più piccole, sull’indotto e sul territorio più in generale.

Una ‘svendita’ di aziende familiari svizzere verso grosse società e fondi d’investimento esteri renderebbe forse felici gli iniziativisti nel corto termine, ma lascerebbe un deserto socio-economico nel medio e lungo termine, facendo sparire proprio quegli imprenditori e imprese familiari di medie dimensioni che garantiscono una continuità e stabilità per il territorio.

Facciamo attenzione quindi a non segnare un clamoroso autogol con iniziative pericolose e poco lungimiranti come questa. Tagliare il legame con le imprese familiari, che negli anni e nelle generazioni hanno saputo incrementare il valore della propria attività, creare molti posti di lavoro e contribuire al benessere che ci circonda, equivarrebbe a tagliare i legami con la cultura imprenditoriale svizzera, fatta di innovazione, serietà, concretezza e un tradizionale senso civico su più generazioni. Quello che oggi chiamiamo ‘sostenibilità’ è un valore ben radicato nelle nostre aziende familiari, che sarebbe controproducente perdere.

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