Tutto è iniziato con un sogno. Non uno di quelli chiari e definiti, ma un misto di aspirazioni, curiosità e incognite, alimentate dalla voglia di fare ogni giorno qualcosa che in qualche modo rappresenta una sfida. Dopo aver completato gli studi in ingegneria civile al Politecnico di Zurigo, il mio percorso sembrava tracciato: trovare un impiego come ingegnere a Zurigo. Tuttavia, tornata in Ticino per un corso di parapendio, entrai in contatto con un laboratorio di prove sui materiali. Qui mi vennero affidati il ruolo di direttore tecnico e un progetto innovativo in collaborazione con l’Epfl di Losanna: uno dei primi casi di sinergia tra industria e accademia, supportato dalla Confederazione.
Dopo meno di due anni, proprio il risultato di quella collaborazione mi mise davanti a un bivio: lasciare la tecnologia confinata in accademia o portarla nel mondo reale. Così nacque Smartec, la mia prima start up, pioniera nell’applicazione della fibra ottica per il monitoraggio strutturale. Fu anche il mio incontro con la fotonica, che avrebbe plasmato il mio futuro. Dopo essere cresciuta a livello internazionale, Smartec è entrata a far parte di un gruppo canadese quotato in borsa, poi acquisito da una holding americana.
Conclusa questa avventura, decisi che era giunto il momento di rallentare, prendendomi una pausa per esplorare il mondo da viaggiatrice (e non da lavoratrice). Ma la vita aveva altri piani. Dopo una sola settimana, alla fine del 2012, un amico mi contattò: “Abbiamo un progetto europeo che arriva a conclusione. Abbiamo bisogno di te”. Mi venne presentata una tecnologia dirompente: una stampante 3D con laser capace di realizzare microstrutture in vetro senza necessità di una camera bianca. Provenendo da un mondo di materiali tradizionali e grezzi, tutto questo mi sembrava lontanissimo. Fu solo quando vidi il prototipo (e la passione degli stessi ricercatori) a San Francisco che ne compresi l’incredibile potenziale. Tornata in Svizzera, decisi di mettere a punto un business plan e cercare finanziatori.
Il nostro primo “ufficio-lab” era minuscolo, con un team di appena tre persone, ma animate da grande entusiasmo e forti ambizioni. Abbiamo iniziato sviluppando dispositivi per l’industria orologiera, presto seguiti da medicale e scienze della vita. Ogni piccola vittoria ci spingeva a puntare più in alto, rendendo la nostra tecnologia sempre più rilevante a livello internazionale. In dieci anni, Femtoprint è passata da un piccolo team locale a una realtà globale con oltre 40 collaboratori tra Lugano, Neuchâtel e la California, nonché una rete di importanti clienti nazionali e internazionali.
Il cammino verso la fondazione della nuova azienda mostrò da subito qualche ostacolo. Nel 2013 mi trovai a competere con altri membri del consorzio europeo per ottenere i diritti esclusivi su questa tecnologia rivoluzionaria. La sfida era importante, ma il supporto della Fondazione Agire e un finanziamento iniziale di 100mila franchi mi permisero di convincere il consorzio europeo della bontà della mia iniziativa. Così, a dicembre dello stesso anno, nacque Femtoprint.
Il nostro primo “ufficio-lab” era minuscolo, con un team di appena tre persone, ma animate da grande entusiasmo e forti ambizioni. Abbiamo iniziato sviluppando dispositivi per l’industria orologiera, presto seguiti da medicale e scienze della vita.
Ogni piccola vittoria ci spingeva a puntare più in alto, rendendo la nostra tecnologia sempre più rilevante a livello internazionale. In dieci anni, Femtoprint è passata da un piccolo team locale a una realtà globale con oltre 40 collaboratori tra Lugano, Neuchâtel e la California, nonché una rete di importanti clienti nazionali e internazionali. Con 1.500 mq di laboratori e infrastrutture all’avanguardia, oggi possiamo dire con orgoglio di essere tra i leader nella microfabbricazione laser di componenti in quarzo.
Ogni traguardo è stato costruito con impegno e determinazione. Abbiamo affrontato anche momenti difficili e preso decisioni complesse, ma guardando indietro non rimpiango alcun sacrificio. Perché l’imprenditoria è così: perseveranza.
Da sempre, ho lavorato in ambienti dove le donne erano poche, talvolta considerate semplici “quote rosa”. Ma questo non è mai stato un tema per me, venendo da una famiglia di donne imprenditrici da generazioni. Dall’università al laboratorio, dalle start up ai miei ruoli in associazioni e commissioni nazionali e internazionali, ho imparato che le donne devono forse dimostrare di più per ottenere lo stesso riconoscimento, ma questo ci rende incredibilmente tenaci. Negli anni, poi, ho visto segnali di cambiamento: sempre più donne stanno emergendo in settori tecnologici e scientifici. Sono certa che le generazioni future potranno lavorare in un mondo davvero equo.
Il mio viaggio è tutt’altro che concluso. Sogno di vedere Femtoprint crescere ancora, espandersi in nuovi mercati e continuare a innovare. Grazie all’aiuto di giovani appassionati professionisti a cui l’ho affidata, desidero poi vedere svilupparsi la mia ultima piccolina, una terza start up creata un anno fa. E per finire vorrei restituire al territorio parte di ciò che ho ricevuto, contribuendo a costruire ecosistemi tecnologici e innovativi sempre più collaborativi e inclusivi. Essere imprenditrice significa in fondo affrontare sfide quotidiane, ma è proprio così che scopri chi sei davvero e riesci a spostare un po’ più in là i tuoi limiti. Tornassi indietro, prenderei le stesse decisioni davanti agli stessi bivi. Forse mi concederei almeno una sosta per ammirare l’aurora boreale tra una sfida e l’altra, ma solo per una settimana. Giuro.
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