Le esperienze passate comprovano che quanto viene deciso a livello Ue nell’ambito della cosiddetta lotta al riciclaggio viene regolarmente, in una forma o nell’altra, adottato anche in Svizzera. Una certa preoccupazione dovrebbe sollevare la struttura di cui si è dotata e gli scopi che intende perseguire la nuova autorità europea denominata Amla (Anti Money Laundering) che ha sede a Francoforte e che dovrebbe essere dotata (nota bene, in aggiunta alle organizzazioni nazionali che continuerebbero a sussistere) di almeno 500 collaboratori.
Dietro gli scopi usuali di combattere il riciclaggio di denaro e la criminalità in campo finanziario, la nuova autorità dovrebbe essere investita del potere di localizzare a livello europeo tutti i patrimoni, al fine in un secondo tempo di servire quale substrato fiscale e di essere confiscati in una forma o nell’altra. Che questi propositi potrebbero divenire realtà è stato dimostrato dalla proposta avanzata dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) durante la crisi finanziaria del 2008/2009 di imporre un’imposta unica sul patrimonio del 10%. L’idea è stata ripresa nel 2013 in un documento del Fmi nell’ambito del Fiscal Monitoring con la menzione che una simile proposta potrebbe essere utile per ridurre i debiti pubblici dei paesi dell’Ue.
Dopo l’abolizione del segreto bancario (in Svizzera nei confronti dei residenti esteri), l’introduzione (anche per la Svizzera) dello scambio automatico di informazioni in materia fiscale (Aia) e di imposte alla fonte (in Svizzera vigenti da anni), ora l’intenzione a livello europeo è di introdurre l’elenco dei patrimoni personali delle persone fisiche e giuridiche dell’Ue in un apposito registro, che dovrebbe servire a creare strumenti comuni all’Unione europea al fine impedire la delocalizzazione di patrimoni verso paesi più favorevoli al contribuente.
Nell’Amla verrebbero centralizzati tutti i dati raccolti dai registri nazionali come relazioni bancarie, partecipazioni azionarie e simili o proprietà immobiliari. L’autorità europea disporrebbe del potere di sanzionare penalmente le mancate comunicazioni, di bloccare operazioni bancarie, richiedere documenti e incaricare le autorità penali e doganali di condurre perquisizioni domiciliari, il tutto allo scopo di creare il substrato per future imposizioni fiscali, ad esempio, per ridurre il debito pubblico.
Questa raccolta di dati costituisce il primo stadio per l’acquisizione di mezzi finanziari atti a permettere ai governi di coprire i propri debiti confrontati con la crescita dell’onere per interessi. In tal modo c’è da temere che vengano emanate imposte una tantum sulla ricchezza o che venga imposta la concessione di prestiti a copertura dei costi per il riarmo. In aggiunta a questa misura, le previsioni vanno nella direzione di limitare le transazioni con contanti all’importo massimo di 10mila euro. Dovendo per importi superiori passare tramite l’impiego dei conti bancari, questi ultimi sarebbero soggetti all’introduzione a livello europeo di un’imposta sulle transazioni finanziarie.
Questa raccolta di dati costituisce il primo stadio per l’acquisizione di mezzi finanziari atti a permettere ai governi di coprire i propri debiti confrontati con la crescita dell’onere per interessi. In tal modo c’è da temere che vengano emanate imposte una tantum sulla ricchezza o che venga imposta la concessione di prestiti a copertura dei costi per il riarmo.
Se uno o più soggetti aventi diritto economici non potessero essere individuati, transazioni di persone giuridiche che superano l’importo netto di 10mila euro non potrebbero essere effettuate dagli organi soggetti alle prescrizioni legali contro il riciclaggio di denaro. Il registro europeo dovrebbe essere integrato da registri nazionali per documentare valori superiori a 200mila euro con facoltà di ridurre questo limite. In questi registri andrebbero indicati barche, auto, orologi, gioielli, opere d’arte e simili. A loro volta le transazioni con criptovalute verrebbero sottoposte a regolamentazioni e verrebbe creato un euro elettronico (Cbcd).
Persone attive a livello internazionale residenti in paesi dell’Ue vengono obbligate a dichiarare anche valori tenuti all’estero. La raccolta dei dati verrebbe effettuata dalle relative autorità dei singoli paesi dell’Ue e trasmessi da queste ultime all’entità di raccolta centrale (Amla), rispettivamente quest’ultima avrebbe diritto ad accedere agli stessi. Inoltre le autorità europee avrebbero diritto di accedere a tutti i registri nazionali di stato civile e simili, a registri sulle assicurazioni sociali, a registri sui detentori di armi, su dati finanziari di ogni genere, su dati doganali e sui registri riportanti i movimenti personali da un paese all’altro.
L’Ue vuole inoltre rendere possibile l’accesso ai registri patrimoniali oltre alle autorità anche a persone che si avvalgono di interessi ritenuti legittimi, quali i giornalisti, organizzazioni della società civile, le Ong, gli istituti accademici, assicurazioni e organizzazioni internazionali quali l’Ocse, il Gafi e l’Onu. La data di introduzione del registro europeo non è ancora conosciuta, ma è da prevedere possa avvenire non prima del 2026, in quanto sono ancora chiarite tutte le tematiche tecniche, giuridiche e politiche.
© Riproduzione riservata
