A palesare l’affinità elettiva, bastavano le BigTech in grande spolvero alla J.P. Morgan Healthcare Conference di inizio anno, principale appuntamento a livello globale per imprese e investitori del settore delle Life Sciences. Non a caso, momento clou dell’affollatissima quattro giorni è stato l’intervento di Jensen Huang. Nella storica cornice della vecchia Zecca di San Francisco, il fondatore di Nvidia ha sottolineato con la sua concreta visionarietà come la stessa metodologia applicata alla progettazione computerizzata di chip possa rivoluzionare il ‘conio’ di nuovi farmaci. Da in vivo e in vitro a in silico: anche per la medicina si inaugura l’era delle simulazioni che sostituiscono algoritmi e modelli computerizzati a esseri viventi e provette, con tanto di vantaggi etici, finanziari e compressione delle tempistiche di sviluppo.
Più in generale, l’intelligenza artificiale, ancor meglio se generativa, dovrebbe rappresentare la chiave di volta per un settore che ha accumulato dati per decenni e in cui continuano a crescere esponenzialmente, secondo le statistiche addirittura a un Cagr persino più elevato che nell’industria finanziaria, manifatturiera e dell’entertainment. Un boost di cui la ricerca ha tremendamente bisogno, confrontata alle sfide che rischiano di rallentarne la crescita. Nvidia non è ovviamente la sola ad averlo capito e alla sua piattaforma BioNeMo rispondono servizi e suite offerti dalle altre ‘Magnifiche’ del Tech, che si affrontano anche a suon di round di investimento e partnership per arricchire le proprie scuderie con i nomi più promettenti del biopharma. Corteggiamenti ben accolti per portarsi in casa nuove capacità tecnologiche e talenti assicurandosi un vantaggio competitivo.
«Se l’industria farmaceutica è innovativa nella R&D, è altrettanto vero che essa è spesso lenta nell’abbracciare le rivoluzioni tecnologiche. Tuttavia, la GenAi ha portato un’attenzione più diffusa sulle potenzialità di applicazione dell’intelligenza artificiale, che rappresenta attualmente circa il 16% nelle attività di scoperta dei farmaci. Ci si attende, inoltre, che l’uso di Ai nella R&D aumenti del 106% nei prossimi tre-cinque anni», esordisce Luciano Monga, partner di Deloitte Svizzera a Lugano.
Fra i principali trend identificati dal 2024 Global Life Sciences Sector Outlook di Deloitte, emerge proprio l’interesse per l’adozione della GenAi. A stimolarlo, un contesto sfidante, che richiede risposte: da una parte, insieme alle tensioni geopolitiche, la pressione sui prezzi, i cambiamenti normativi e i brevetti in scadenza, questi ultimi che potrebbero costare alle aziende del settore oltre 200 miliardi di dollari di fatturato, mettendone in discussione i modelli operativi. Dall’altra parte, l’invecchiamento della popolazione, la (in)sostenibilità dei sistemi sanitari (ne sa qualcosa anche la Svizzera) e la garanzia di un accesso equo alle cure a livello globale.
Nel prossimo anno, oltre 9 su 10 degli intervistati da Deloitte attivi nel settore del biopharma e del medtech prevedono che la GenAi avrà un impatto sulle loro aziende. «Secondo le nostre stime, un’azienda biofarmaceutica della top ten, con un fatturato medio di 65-75 miliardi di dollari, scalando l’uso dell’Ia potrebbe generare 5-7 miliardi di dollari nell’arco di 5 anni. L’R&D rappresenta la principale opportunità di creazione di valore, seguita da commercializzazione, produzione &supply chain e aree abilitanti (It, Hr, finanza, …). Impatti che possono trasformarsi in vantaggi competitivi: una maggiore velocità ed efficienza può consentire la riallocazione del capitale ad altre aree e la maggior efficacia può aiutare le aziende a far progredire la loro innovazione e a coinvolgere i loro clienti, ottenendo in ultima analisi risultati migliori per i pazienti», sottolinea Luciano Monga.
Da quando Deloitte ha iniziato ad analizzare l’innovazione farmaceutica nel 2010, ancora oggi solo un nuovo farmaco su dieci che entra in sperimentazione ottiene l’approvazione: fallimenti che rappresentano circa il 60% di tutti i costi di sviluppo. Nonostante i numerosi progressi scientifici e tecnologici, questa rimane una delle principali sfide per l’industria. Nel 2023, le grandi case farmaceutiche, che rappresentano quasi i due terzi degli investimenti totali in R&D del settore, hanno speso un record di 161 miliardi di dollari, con un aumento quasi del 50% rispetto al 2018, toccando il massimo storico del 23,4% in percentuale del fatturato netto. Il costo medio per far progredire un’attività dalla scoperta al lancio ammonta a 2,284 miliardi di dollari per asset.
A oggi, l’uso più comune della GenAi è la trasformazione del modo in cui le aziende farmaceutiche decidono in quali aree patologiche investire. Modelli linguistici avanzati e algoritmi di machine learning consentono di analizzare grandi quantità di dati clinici per identificare nuovi target terapeutici. «Dati interoperabili, piattaforme aperte e sicure, cure incentrate sul paziente hanno il potenziale per offrire uno sviluppo di farmaci meno costoso e più produttivo. L’intelligenza artificiale accelererà l’identificazione di farmaci più precisi e mirati, altamente specifici, con un minor rischio di effetti collaterali, in particolare grazie alle sperimentazioni in silico, consentendo di testare diversi scenari ed esiti in modo controllato ed efficiente, identificando potenziali problemi di sicurezza e ottimizzando le strategie di dosaggio e trattamento prima di condurre onerosi studi clinici», sottolinea il partner di Deloitte Svizzera.
Inoltre, l’Ai generativa può facilitare una migliore comunicazione e condivisione delle conoscenze tra i gruppi di ricerca, rompendo i silos di dati e aprendo nuove opportunità di collaborazione.
Al netto di dotarsi di infrastrutture e piattaforme per introdurre e scalare queste nuove applicazioni in azienda, il fattore di differenziazione sarà probabilmente la qualità e la completezza dei dati proprietari su cui addestrare e far lavorare gli algoritmi. «La creazione di motori analitici che consentano di gestire facilmente i dati degli studi clinici interni, i set di dati multi-omici disponibili pubblicamente e quelli generati dai pazienti (ad esempio dai dispositivi indossabili) è destinata a trasformare il modo in cui le aziende utilizzano i dati per la generazione di informazioni», precisa Monga.
L’accelerazione diventa oggi ancor più vitale, per riuscire a dribblare i paletti sempre più stretti che la regolamentazione sta ponendo alla ricerca farmaceutica. In particolare, preoccupano i contraccolpi dell’Inflation Reduction Act (Ira) varata dal Governo Biden che in dote reca anche l’autorizzazione per il programma sanitario federale Medicare a negoziare prezzi equi per alcuni farmaci ad alto costo, onde renderli accessibili (il programma assicurativo si rivolge a over 65, disabili e altri pazienti critici).
Soprattutto rischiano di essere penalizzati, malgrado il loro successo, i farmaci a base di piccole molecole, i cui prezzi potranno essere rinegoziati a 9 anni dall’approvazione, quando – secondo le stime di Deloitte – ne sono necessari 8 per il ritorno sull’investimento. «Considerando che gli Stati Uniti detengono quasi il 43% del mercato farmaceutico mondiale, si prevede che l’Ira avrà implicazioni a scala globale sul modo in cui l’industria prende le decisioni e alloca le risorse sia nell’R&D che in sforzi commerciali», avverte Luciano Monga.
Da non sottovalutare, però, per un’adozione di successo dell’Ai, la diffusione di una cultura che vinca lo scetticismo e la resistenza di scienziati e ricercatori a integrarla in flussi di lavoro consolidati e che risponda alle perplessità di clienti e pazienti, oltre ad affrontare l’incertezza sul piano normativo e legale. Ad esempio, la Fda statunitense ha già istituito un gruppo di lavoro di oltre 200 scienziati dedicato all’analisi dei possibili campi di applicazione del modelling&simulation. Incognite, dunque, ma soprattutto opportunità. L’equazione di ogni ricerca.
Uno dei principali fattori di forza del settore delle Life sciences lo scorso anno sono state le aziende farmaceutiche a grande/megacapitalizzazione con capitale di risparmio. Le 10 principali acquisizioni chiuse nel 2023 avevano ciascuna un valore superiore a 4 miliardi di dollari, guidate dalle operazioni multimiliardarie di Pfizer/Seagen (43 miliardi Usd). I dealmaker stanno pagando premi molto elevati per asset ad alto potenziale commerciale, oncologia in testa, seguita da immunologia e sistema nervoso centrale. L’approvazione del farmaco antiobesità di Novo Nordisks ha poi scatenato una vera e propria corsa nel segmento. «Le piccole e medie biotech, confrontate invece con un raffreddamento dei mercati dei capitali, si sono dovute orientare verso metodi alternativi di finanziamento, guardando sempre più a partnership e altre collaborazioni, come alternativa o precursore di fusioni e acquisizioni. Il tempo necessario per ottenere le autorizzazioni normative può essere particolarmente impegnativo e molte biotech hanno a disposizione una liquidità inferiore al passato. Inoltre, alleanze e joint venture possono essere utilizzate per dimostrare la fattibilità della proposta commerciale, tranquillizzando le autorità di regolamentazione sull’accordo», osserva il partner di Deloitte Svizzera. Dopo che la pandemia le ha sdoganate, anche le sinergie pubblico-privato possono diventare parte dell’equazione per sostenere l’ecosistema dell’innovazione biomedica, soprattutto offrendo incentivi finanziari, fiscali e tecnici anche laddove siano meno evidenti le prospettive di mercato.
«Più incertezza, invece, per le valutazioni del medtech, che scontano un anno in cui le aziende si sono concentrate principalmente sulla razionalizzazione del portafoglio, sulle cessioni e la trasformazione dei costi. Tuttavia, i fondamentali sono solidi e i leader del settore erano ottimisti sulla crescita di quest’anno, visto il miglioramento della situazione della supply chain e anche le buone prospettive per la diagnostica, con la diffusione della biometrica, delle terapie digitali e a domicilio, insieme alla velocità di commercializzazione», conclude Luciano Monga.
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