TM   Dicembre 2024

Ruggenti, non per tutti

Sono vari i trend in corso ormai da diversi anni, che vanno a sommarsi con dinamiche molto più recenti e contingenti, specifiche a ogni Paese. Si delinea un 2025 complesso. L’Opinione di Matteo Ramenghi, Cio di Ubs Wealth Management Italia.

Matteo Ramenghi

di Matteo Ramenghi

Cio di Ubs Wealth Management Italia

Dall’inizio del decennio, mercato azionario, Pil nominale e utili societari statunitensi sono cresciuti rispettivamente di oltre l’80%, del 34 e del 69. Pandemia, guerre e aumento dei tassi d’interesse non hanno impedito una corsa che, almeno in parte, è stata spinta dagli stimoli fiscali. Questi sviluppi hanno portato a parlare dei nuovi ‘Ruggenti anni Venti’, facendo un parallelo con il periodo intercorso tra il 1922 e il 1928, quando il Pil americano crebbe del 40%.

Il rovescio della medaglia di questi buoni andamenti è l’insostenibile politica fiscale degli Stati Uniti, con un deficit di bilancio previsto oltre il 6% del Pil anche nel 2025 e un debito pubblico che è passato da meno del 60% all’inizio del secolo a oltre il 100%.

L’anno prossimo, ci si aspetta che la crescita economica americana rallenti leggermente, pur rimanendo vicina al 2%, sostenuta dai tagli fiscali e dalla deregolamentazione promessi da Trump. Nuovi dazi e regole più dure sull’immigrazione potrebbero rivelarsi misure inflazionistiche, ciononostante ci si attende che l’inflazione continui a diminuire.

Non tutte le aree economiche stanno beneficiando di andamenti simili: dopo la pandemia l’Europa è cresciuta a tassi che non si vedevano da decenni, ma per via della guerra in Ucraina, di una gestione fiscale restrittiva, di pochi investimenti in innovazione e dei noti problemi strutturali si trova in stagnazione da due anni.

L’anno prossimo potrebbe esserci una piccola accelerazione se le famiglie ridurranno i tassi di risparmio a vantaggio dei consumi, che potrebbero beneficiare anche della discesa dei tassi d’interesse. Due elementi potrebbero incidere in modo significativo: i dazi annunciati da Trump e l’evoluzione della guerra in Ucraina.

Anche la Cina affronta una fase complessa, stretta tra la crisi immobiliare, una debole domanda interna e la prospettiva di nuovi dazi. Le autorità cinesi hanno però avviato stimoli monetari e fiscali su larga scala e la crescita dovrebbe attestarsi a circa il 4,5% nel 2025, in leggero calo rispetto a quest’anno. In un’ottica di maggiori dazi e quindi maggior solidità delle economie orientate ai consumi domestici, India e Indonesia dovrebbero essere meglio posizionate, visto il forte andamento demografico.

Se questo è il quadro per i prossimi mesi, occorre tenere in considerazione anche i principali trend: deglobalizzazione, demografia, digitalizzazione, cambiamenti climatici e quindi decarbonizzazione, oltre all’elevato livello dei debiti pubblici.

Una delle principali politiche portate avanti da Trump sono i dazi che, questa volta, potrebbero non riguardare solo la Cina, ma anche l’Europa. Le restrizioni sul commercio e sui flussi di capitale tipicamente hanno un impatto negativo sull’economia e generano inflazione. Alcuni settori potrebbero però trarne vantaggio, per esempio l’automazione.

A livello mondiale, la popolazione di età pari o superiore a 65 anni è aumentata di circa 100 milioni dal 2020. Stati Uniti, Europa e Asia settentrionale invecchiano, mentre Africa e Asia meridionale registrano forti tassi di crescita. Per gli investitori si potrebbero aprire opportunità nel campo della longevità.

Corsa inarrestabile

Crescita reale del Pil americano e andamento dei tasso dei Fed Fund (in %)

Crescita reale del Pil americano e andamento dei tasso dei Fed Fund (in %)
Fonte: Bloomberg, Ubs. La performance straordinaria realizzata dal Pil americano negli ultimi trimestri, nonostante i tassi.

Digitalizzazione e intelligenza artificiale sono al centro di tutte le trasformazioni economiche. Si possono immaginare tre fasi in questa rivoluzione: creazione dell’infrastruttura, diffusione ad ampio raggio delle applicazioni e, infine, aumento della produttività e diffusi impatti economici. Oggi si è prevalentemente nella prima fase: le quattro più grandi aziende tecnologiche quest’anno avranno investito 218 miliardi di dollari per l’Ia, con un tasso di crescita del 47% rispetto all’anno scorso. Al centro di questi investimenti ci sono data center e microchip.

I microchip sono fondamentali per l’Ia, fornendo la potenza di calcolo. I leader in questo campo possono quindi contare su rapide crescite dei fatturati e ampi margini. L’innovazione nei microchip ha implicazioni economiche, strategiche e perfino geopolitiche. Infatti, è di poche settimane fa la notizia che gli Stati Uniti avrebbero ordinato a Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc) di interrompere le spedizioni di chip avanzati per l’Ia destinate alla Cina.

Da un punto di vista macroeconomico, l’incremento della produttività è la fase più interessante. Tuttavia, serve un’attenta regolamentazione per assicurare un’ampia diffusione dei benefici grazie alla concorrenza tra operatori, con riflessi positivi per l’inflazione e le economie avanzate che potrebbero così sopperire alla riduzione della popolazione attiva.

Si tratta però di tecnologie estremamente energivore che, insieme all’elettrificazione dei trasporti, porteranno a una crescente domanda di elettricità. L’utilizzo di rinnovabili continua ad aumentare e ci si può immaginare che la pressione normativa per ridurre le emissioni di Co2 continui, spingendo al rialzo i prezzi di alcune risorse come il litio o il rame.

Complessivamente si stimano 3mila miliardi di dollari di investimenti entro la fine del decennio nella generazione, nelle batterie e nelle infrastrutture energetiche. L’Europa rischia di trovarsi svantaggiata anche su questo fronte perché molti grandi Paesi, come Italia, Germania e Spagna, hanno rinunciato o stanno rinunciando al nucleare, mentre Stati Uniti e Cina intensificano gli investimenti proprio per far fronte alla domanda attesa per l’Ia.

Alcune società tecnologiche come Google, Microsoft e Amazon hanno raggiunto accordi con operatori del settore per predisporre mini reattori modulari nucleari e gestire centrali nucleari esistenti.

Dopo due anni di elevati tassi d’interesse, famiglie e aziende hanno accumulato livelli di liquidità che non si vedevano da oltre tre decenni. Per esempio, il volume dei fondi monetari statunitensi è raddoppiato dal 2021, superando per la prima volta i 7 trilioni di dollari, e sui depositi a termine c’è stata una forte competizione tra le banche anche in Europa. Man mano che i tassi scendono, ci potrebbe essere una migrazione di questa liquidità verso impieghi più remunerativi come obbligazioni, immobiliare e azioni.

In questo contesto, sarà da preferirsi l’azionario americano con particolare riguardo ad alcuni settori: tecnologia, utility e finanziari. Per quanto riguarda la tecnologia, meglio le mega cap, i semiconduttori e alcune aziende private innovative. Le utility potrebbero risentire di un minor supporto governativo alle rinnovabili, ma la domanda di elettricità sarà in forte crescita. Il settore finanziario dovrebbe invece trarre beneficio dalla deregolamentazione promessa da Trump.

Oltre agli Stati Uniti, un’esposizione diversificata all’Asia, escludendo il Giappone, può andare incontro a trend demografici favorevoli, mentre in Europa si vedono opportunità nelle small e mid cap, le società a piccola capitalizzazione, in considerazione dei tassi in discesa e delle basse valutazioni. Tassi più bassi dovrebbero creare un contesto ampiamente favorevole per le obbligazioni. I titoli investment grade presentano ancora rendimenti ampiamente superiori all’inflazione attesa, con potenziale di apprezzamento in caso di un rallentamento economico più marcato.

Per quanto riguarda le valute, a medio termine il dollaro appare vulnerabile per via della debole posizione fiscale. In termini relativi, l’euro dovrebbe apprezzarsi anche se a breve pesa la debolezza dell’economia europea e la complessa situazione politica. Sempre con riguardo alla discesa dei tassi e in ottica difensiva, considerando che continuano gli acquisti da parte delle Banche Centrali di molti Paesi emergenti, l’oro sembra ancora ben posizionato.

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