In contesto globale è in continua evoluzione. Negli Stati Uniti le condizioni macro si confermano stabili, con una crescita del Pil nel terzo trimestre pari al 2,8%. Nonostante il lieve rallentamento rispetto ai trimestri precedenti, gli Stati Uniti crescono ancora sopra il potenziale. Da qui l’alta probabilità del discusso ‘atterraggio morbido’.
Dopo il taglio corposo della Fed, la Cina ha invece risposto con stimoli monetari per 2 trilioni di renminbi, pari all’1,6% del Pil, che rappresentano però molto probabilmente solo l’inizio di una manovra fiscale di entità simile, ancora da confermarsi, che andrebbe almeno in parte a sterilizzare i probabili dazi statunitensi.
La crescita europea invece è esigua dal quarto trimestre del 2022 e la Germania è stato il Paese più colpito dallo stravolgimento degli equilibri energetici dell’Eurozona post-invasione dell’Ucraina. Ad aggravare la situazione ciclica, nel 2023 la Bce ha proseguito l’atteggiamento restrittivo culminato con l’ultimo rialzo di settembre ’23 per contrastare l’impennata dell’inflazione. Con l’avvio del ciclo di tagli della Bce nel giugno ’24 e a fronte di una situazione energetica stabilizzata è probabile l’Europa possa finalmente vedere la tanto attesa ripresa (Pil di consenso per il 2025 +1,2%). Sulle prospettive di più lungo periodo, l’Europa necessita di riforme strutturali per sperare a un potenziale di crescita più elevato, come ben analizzato dal rapporto Draghi.
Azioni. Dal punto di vista azionario, i capitoli più rilevanti dell’agenda di Trump sono la riduzione delle tasse e il programma di deregolamentazione, soprattutto di fronte a un’amministrazione interamente repubblicana. Sono quindi favorite le società ad alta tassazione marginale (tipicamente le piccole/medie capitalizzazioni) e quelle società che beneficiano della riduzione della regolamentazione.
Tra queste ultime, i settori per i quali l’impatto potrebbe essere maggiore sono quello finanziario, quello energetico/estrattivo e quello farmaceutico. Le tariffe hanno una duplice chiave di lettura. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, ci saranno dei settori penalizzati (chi fa uso di semilavorati) e settori che vedranno nascere opportunità grazie al fenomeno del reshoring industriale, ossia il rientro in patria delle filiere produttive. A livello geografico, i listini caratterizzati da titoli concentrati sull’export verso gli Stati Uniti potrebbero subire ripercussioni.
A livello settoriale globale sembra logico mantenere una strategia barbell, sovrappesando quindi il finanziario, più ciclico, al pari delle Utility, fortemente difensive. Il comparto finanziario dovrebbe poter beneficiare di solidi margini, contenute insolvenze, e un atteso miglioramento della domanda di prestiti, senza trascurare che il bancario è al momento il settore meno costoso a livello globale. Le Utility presentano invece la dinamica più positiva tra i settori difensivi, e offrono un interessante dividend yield, di circa il 4%.
Maggiore cautela nei confronti del Giappone, dunque una posizione neutrale, a seguito della recente sconfitta elettorale del potente Lpd, che ha perso il controllo della camera bassa del Parlamento, come non accadeva da metà degli anni Cinquanta. Le attuali valutazioni escono da una sovraperformance durata qualche anno, ma è anche tra i pochi a registrare una stretta monetaria, e una crescita debole, che unita a scarsi margini di ulteriore deprezzamento dello yen rendono improbabile un’ulteriore corsa.
Valute. Benché buona parte delle principali Banche Centrali stia tagliando i tassi, è probabile che emergeranno divergenze. Già per dicembre si attende una revisione delle stime della Fed sul tasso ‘terminale’ a un livello più alto rispetto alle ultime previsioni e più vicino alle stime ‘hawkish’ del mercato. Le difficoltà che sta riscontrando, e continuerà a farlo, l’Eurozona sono in parte scontate dal mercato, il che dovrebbe controbilanciare la possibilità di un differenziale tassi ancora elevato rispetto agli Usa. È verosimile la Bce porti gli interessi al di sotto del tasso neutrale del 2%, diversamente dalla Fed.
Mantenendo un atteggiamento neutrale verso le altre valute, l’oro può invece continuare a essere una buona fonte di diversificazione. È stato infatti uno degli asset di rischio vincenti del 2024, con guadagni vicini al 30%. Una fase di assestamento è fisiologica, ma il trend sembra intatto. Da quando è aumentato il rischio geopolitico, le Banche Centrali, soprattutto emergenti, hanno aumentato strutturalmente l’allocazione in oro per proteggersi dal rischio di sanzioni. Finché le condizioni di fondo non cambieranno (una distensione del rischio geopolitico sarebbe sicuramente dannosa per i prezzi di questa attività finanziaria), è difficile prevedere un’inversione di tendenza.
Obbligazioni. Nonostante gli spread creditizi stretti, i bilanci societari appaiono infatti in salute, così come più in generale quelli dei consumatori, in particolare negli Stati Uniti, e i tassi di insolvenza si presentano bassi e in calo. Le analisi mostrano che i ritorni attesi sul credito sono altamente correlati al rendimento, il che permette agli investitori di trascurare i tassi di insolvenza, anche nell’High Yield. Nel frattempo, il debito emergente offre un carry interessante di fronte a una Fed, che a prescindere dal tasso terminale è in territorio accomodante. Dunque, un investimento da avere in portafoglio.
Per quanto riguarda il debito sovrano, è bene rimanere neutrali sulla maggior parte dei Paesi sviluppati. Il quadro è leggermente più confuso per i Treasury: se la vittoria di Trump rappresenta un aspetto negativo, il recente aumento dei premi a termine, e la notevole riduzione dei tagli dei tassi impliciti da parte della Fed fino alla fine del 2025 sono importanti fattori di offset da tenere in considerazione. Le valutazioni suggeriscono che le obbligazioni sono sostanzialmente al fair value. È probabile possano essere dunque un elemento molto utile per la diversificazione dei portafogli nel corso del prossimo anno, ma non strutturalmente presenti.
L’anno si conclude quindi con una fase di transizione sino all’insediamento di Trump il 20 gennaio. Le nomine sono state quasi tute annunciate. Il Segretario del Tesoro che è stato scelto, Scott Bessent, riporta la speranza di una gestione più prudente della spesa. Per l’anno prossimo è probabile il ritorno alla ‘normalità’ del regime di correlazioni. Ciò spinge a una costruzione di portafoglio più tradizionale, con una maggiore esposizione obbligazionaria, da gestire però attivamente (tra regioni, emittenti e durata finanziaria).
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