TM   Giugno/Luglio 2025

Più chiarezza sul “verde”

Da inizio anno, chi si definisce “green” in Svizzera deve poterlo comprovare, a tutela dei consumatori, della trasparenza e della concorrenza leale fra aziende. L’Opinione di Marco Robbiani, Avvocato e notaio, studio legale Barchi Nicoli Trisconi Gianini, Lugano.

Marco Robbiani

di Marco Robbiani

Avvocato e notaio, studio legale Barchi Nicoli Trisconi Gianini, Lugano

La Legge federale contro la concorrenza sleale (Lcsi) ha – dalla sua nascita – il nobile intento di proteggere la concorrenza leale e, di conseguenza, anche la buona fede nei rapporti commerciali, nonché le pratiche commerciali leali. Ora, negli ultimi anni, quell’impianto normativo ha intrapreso un percorso concreto per rafforzare e adattare alle evoluzioni dei tempi odierni gli strumenti di contrasto alla concorrenza sleale. Dopo l’entrata in vigore, dal primo dicembre 2022, della modifica all’articolo 8a della Lcsi, che ha vietato le clausole di imposizione dei prezzi nei contratti tra le piattaforme di prenotazione online e le aziende alberghiere, il focus si è spostato su un fenomeno di grande attualità e spesso insidioso: il greenwashing.

Nella primavera 2023 è quindi stata proposta e poi approvata una nuova modifica alla Lcsi per arginare le pratiche ingannevoli legate alla sostenibilità ambientale. La disposizione è entrata in vigore all’inizio di quest’anno e rappresenta una svolta significativa per la tutela dei consumatori e la regolazione del mercato “green”.

Dal primo gennaio 2025 è pertanto considerato sleale (quindi illegale) rilasciare dichiarazioni false o non comprovate sull’impatto climatico di prodotti o servizi. Le aziende devono corroborare tutte le dichiarazioni ambientali con dati oggettivi e verificabili. Ciò non riguarda soltanto le grandi imprese, già soggette all’obbligo di pubblicare i rapporti sulla sostenibilità, ma anche le dichiarazioni pubblicitarie e le singole affermazioni volontarie.

Il greenwashing, come noto, si riferisce a dichiarazioni di carattere ambientale ingannevoli utilizzate dagli attori sul mercato per apparire più sostenibili di quanto lo siano realmente. Dall’oggetto biodegradabile che non lo è, all’indicazione “carbon neutral” priva di basi scientifiche, queste strategie di marketing creano un vantaggio sleale rispetto a chi investe realmente in processi sostenibili, distorcendo la concorrenza e tradendo la fiducia del consumatore, oggi sempre più attento all’impatto ambientale delle proprie scelte.

Chi desidera promuovere prodotti o servizi come sostenibili dovrà dotarsi di dati certi, studi seri e certificati, rispettivamente trasparenza documentale. Le espressioni vaghe come “eco-friendly”, “a basso impatto” o “rispettoso dell’ambiente” non saranno più accettabili se non comprovate attraverso dati oggettivi e verificabili.

La nuova disposizione della Legge federale contro la concorrenza sleale impone l’obbligo di fornire prove verificabili, oggettive e scientificamente fondate per ogni dichiarazione riferita alle ripercussioni sull’ecosistema. In assenza di tali elementi, quell’agire è considerato ingannevole e costituisce concorrenza sleale.

Si tratta di un chiaro cambio di paradigma: non sarà più un terzo a dover dimostrare che l’azienda non agisce in modo trasparente e corretto, ma sarà quest’ultima a dover giustificare – ab initio – ogni attestazione di carattere ecologico.

Per le imprese, si apre una nuova fase di regolamentazione. Chi desidera promuovere prodotti o servizi come sostenibili dovrà dotarsi di dati certi, studi seri e certificati, rispettivamente trasparenza documentale. Le espressioni vaghe come “eco-friendly”, “a basso impatto” o “rispettoso dell’ambiente” non saranno più accettabili se non comprovate attraverso dati oggettivi e verificabili. La nuova normativa impone rigore e coerenza da una parte, ma offre – dall’altra – anche l’opportunità di effettivamente distinguersi per chi investe seriamente nella sostenibilità. Da qui l’incentivo per una concorrenza che deve agire in modo corretto, quindi leale.

Per tutti gli attori, consumatori inclusi, questa modifica rappresenta pertanto una tutela concreta. In un mercato in cui la sostenibilità è spesso solo apparente, disporre garanzie legali (quindi anche azionabili in giudizio) sulla veridicità delle dichiarazioni ambientali consente di fare scelte idealmente più consapevoli e responsabili, tagliando i ponti con strategie pubblicitarie scorrette e manipolatorie.

Come già avvenuto con l’abolizione delle clausole di parità tariffaria per gli hotel, anche questo recente intervento normativo si inserisce nella strategia del nostro legislatore volta a garantire condizioni di concorrenza realmente eque tra operatori economici. Se la prima misura ha corretto uno squilibrio nei rapporti contrattuali tra imprese e piattaforme digitali, l’estensione della Legge federale contro la concorrenza sleale alla comunicazione ambientale mira ora a evitare distorsioni derivanti da pratiche di greenwashing.

Si interviene dunque non per regolamentare il mercato in senso restrittivo, ma per garantirne l’effettiva apertura e correttezza.

In un sistema liberale, la libertà d’impresa deve poggiare su regole condivise e su un’informazione commerciale veritiera e trasparente. Chi si definisce “green”, oggi, deve dunque poterlo dimostrare, non solo per compiacere il consumatore, ma soprattutto per rispettare tutti gli attori del mercato e favorire quindi il consolidarsi di una concorrenza efficace, sana e leale.

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