Un crescente senso di pessimismo continua ad appannare le prospettive di crescita dell’economia dell’Eurozona. Dopo un inizio d’anno promettente, che ha visto l’economia crescere dello 0,3% nel primo trimestre e dello 0,2% nel secondo, una serie di dati deboli ha riacceso i timori che lo slancio economico stia diminuendo. Sembra che l’Europa debba affrontare numerose sfide strutturali che ne limitano il potenziale economico rispetto ad esempio agli Stati Uniti.
Tuttavia, l’economia dell’Eurozona continua a registrare un trend di miglioramento e la crescita potrebbe presto avvicinarsi al suo potenziale di circa l’1%. Inoltre, vi sono una serie di spinte cicliche che potrebbero accelerare la crescita. Tra questi, i solidi ‘fondamentali’ dei consumatori, grazie anche all’aumento dei salari e alla solidità dei rispettivi bilanci, oltre ai prezzi dell’energia più bassi e il calo dei tassi d’interesse. Inoltre, si nota che le preoccupazioni attuali per la stretta fiscale, il commercio e il mercato immobiliare sono probabilmente eccessive.
Pertanto, sebbene la base di partenza sia un modesto miglioramento della crescita nel tempo, l’economia potrebbe registrare risultati migliori rispetto alle basse aspettative. Questo risultato, a oggi non scontato, porterebbe a un rafforzamento della moneta unica rispetto al dollaro americano e favorirebbe i titoli a piccola e media capitalizzazione in Europa.
Rischio dazi. I timori per il contesto commerciale globale, un ambito in cui l’Eurozona gode di un deciso surplus con il resto del mondo e che rappresenta circa un terzo della produzione, sono aumentati in seguito alle minacce di tensioni crescenti e all’aumento della concorrenza nei mercati chiave. Le preoccupazioni si sono giustamente concentrate sulle prospettive del commercio di beni, in quanto è qui che la concorrenza è maggiore e i dazi potrebbero andare a colpire.
Tuttavia, se il commercio di beni è fondamentale, non bisogna trascurare l’importanza dei servizi, che valgono circa un terzo dell’export europeo. Ed è questo l’ambito che ha registrato la crescita più forte dopo la pandemia.
La concorrenza nel commercio di beni è da tempo una minaccia per l’Europa, da qui diverse delocalizzazioni. La crisi energetica ha provocato un altro spostamento, in quanto i beni europei sono diventati meno competitivi sul piano dei prezzi, seppur tale fenomeno si sia concentrato nei settori a basso valore aggiunto. La forte concorrenza estera a livello di beni e merci rende difficile per l’Europa conservare o accrescere le sue quote di mercato in diversi settori in cui è oggi leader, ma è probabilmente parte di una naturale tendenza che vedrà lo scambio di servizi crescere per importanza.
L’export di servizi dovrebbe in ogni caso continuare a rappresentare un punto di forza per la ripresa. In primo luogo, la crescita globale dovrebbe rimanere robusta anche nei prossimi trimestri e la domanda di servizi stabile. È anche probabile che i servizi non siano soggetti a dazi, risentendo meno di potenziali tensioni. Da ultimo, nel post-Covid l’export di servizi tende a concentrarsi nei settori in cui c’è maggiore domanda, dunque l’It vale oggi un quinto del totale, e anche il turismo è tornato ai livelli pre-pandemici.
Quindi, anche se le tensioni commerciali potrebbero creare qualche danno, è improbabile possano colpire troppo duro, grazie alla componente servizi. Inoltre, la minaccia rafforzatasi e proveniente da Oltreoceano non è nuova, ma è una minaccia che l’Europa dovrebbe continuare a gestire concentrandosi su prodotti a più alto valore aggiunto.
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